A cura di Maria Carannante
Fonte: Unblognormale
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso. Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco documentati. L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività, rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni assiomi che sono nati sul tema.
Questa è la seconda delle tre parti in cui è diviso l’articolo.
La prima parte, è disponibile al seguente link: I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte prima.
5 - Quanto è stato stanziato?
148.243,132 miliardi di Lire correnti o 340.271,765 milioni di Euro a prezzi concatenati al 2008 dal 1951 al 1993, comprensivi degli sgravi contributivi. [12] Ma scritto così significa ben poco. Facendo riferimento alle quantità effettivamente erogate ogni anno è possibile calcolarne l’incidenza sul PIL, riportate nel seguente grafico.
Fonte: Unblognormale
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso. Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco documentati. L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività, rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni assiomi che sono nati sul tema.
Questa è la seconda delle tre parti in cui è diviso l’articolo.
La prima parte, è disponibile al seguente link: I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte prima.
5 - Quanto è stato stanziato?
148.243,132 miliardi di Lire correnti o 340.271,765 milioni di Euro a prezzi concatenati al 2008 dal 1951 al 1993, comprensivi degli sgravi contributivi. [12] Ma scritto così significa ben poco. Facendo riferimento alle quantità effettivamente erogate ogni anno è possibile calcolarne l’incidenza sul PIL, riportate nel seguente grafico.
Incidenza sul PIL dell’intervento straordinario. Anni 1951 - 1993. Elaborazione mia. [12]
Come
precedentemente scritto, la prima fase di intervento riguardava solo
gli investimenti diretti nel Mezzogiorno, quindi sono gli unici ad
essere considerati fino al 1967. Come si può notare gli investimenti
superano l’1% del PIL solo in un anno, il 1975 (1,23%), anno in cui
anche la spesa totale per l’intervento straordinario raggiunge il
massimo, con l’1,73% del PIL. Nei due anni successivi la spesa per
investimenti sfiora l’1%, così come nel 1954. L’andamento della serie
appare stazionario attorno alla sua media dello 0,73% circa.
La spesa per gli sgravi fiscali ha invece un andamento crescente, partendo dalla mastodontica cifra dello 0,01% del PIL erogata nel 1968, ma che non raggiunge mai lo 0,6% del PIL.
Infine il totale ha un andamento stazionario attorno alla sua media dell’1% circa, e le cui oscillazioni sono influenzate da quelle degli investimenti, con cui condivide il massimo, e le elevate osservazioni immediatamente successive, in cui raggiunge l’1,49% del PIL.
C’è da sottolineare che non si tratta di spesa aggiuntiva, come ha denunciato più volte la Corte dei Conti.3 Per tutta la loro esistenza, la Cassa prima e l’Agensud poi sono stati gli unici enti ad erogare fondi atti allo sviluppo del Mezzogiorno, in assenza di una politica ordinaria di spesa di cui lo Stato avrebbe dovuto farsi carico, in aggiunta e in completa indipendenza da questi enti. [12]
Per avere un’idea dell’effettiva magnitudo di quanto investito è doveroso citare un articolo di Pasquale Saraceno, relativo alla prima fase di preindustrializzazione:
6 - Fu un intervento di programmazione dall’alto.
Si distingue, all’interno delle politiche di sviluppo, lo sviluppo dall’alto e lo sviluppo dal basso, il primo realizzato attraverso politiche standardizzate e controllate da organismi centrali, l’altro, invece, realizzato attraverso politiche di incentivi generalizzati atti a favorire la natalità e la competitività delle imprese locali. [3]
Durante i quarant’anni dell’intervento straordinario si sono alternate fasi di sviluppo dall’alto e dal basso [3]:
7 - Ha apportato maggior crescita economica al Nord che al Sud.
Il condizionamento della classe imprenditoriale del Nord delle scelte di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno ha comportato una distorsione della natura dello stesso tale da apportare, nel lungo periodo, maggiori vantaggi al Nord rispetto al Sud.
La SVIMEZ, già nelle stime preliminari relative alla fase di preindustrializzazione, aveva previsto che gli effetti dell’intervento, così come definiti, sarebbero stati maggiormente favorevoli per il Nord.
Ma non è tutto. Le opere pubbliche, piccole o grandi che siano, devono essere realizzate da imprese private. E di certo le opere di preindustrializzazione del Mezzogiorno non erano realizzabili da imprese locali, semplicemente perché esse non esistevano.
Gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno, quindi, rappresentarono una ghiotta occasione di crescita per le imprese del Nord le quali, oltretutto, ebbero la possibilità di ottenere i finanziamenti senza gara d’appalto e di essere esonerate dall’obbligo di spendere l’intero importo erogato per la realizzazione dell’opera. [14] L’eccesso di discrezionalità da parte della Pubblica Amministrazione, a queste condizioni, appare evidente. Esse avevano la possibilità di scegliere arbitrariamente l’importo da erogare, le imprese appaltatrici e la localizzazione delle infrastrutture. Ciò ha comportato la nascita di opere inutili, quando completate, a costi abnormi e localizzate in ragione di convenienza politica.
Relativamente agli incentivi, nel seguente grafico sono riportati i valori medi per regione della ripartizione negli anni dal 1953 al 1970.
La spesa per gli sgravi fiscali ha invece un andamento crescente, partendo dalla mastodontica cifra dello 0,01% del PIL erogata nel 1968, ma che non raggiunge mai lo 0,6% del PIL.
Infine il totale ha un andamento stazionario attorno alla sua media dell’1% circa, e le cui oscillazioni sono influenzate da quelle degli investimenti, con cui condivide il massimo, e le elevate osservazioni immediatamente successive, in cui raggiunge l’1,49% del PIL.
C’è da sottolineare che non si tratta di spesa aggiuntiva, come ha denunciato più volte la Corte dei Conti.3 Per tutta la loro esistenza, la Cassa prima e l’Agensud poi sono stati gli unici enti ad erogare fondi atti allo sviluppo del Mezzogiorno, in assenza di una politica ordinaria di spesa di cui lo Stato avrebbe dovuto farsi carico, in aggiunta e in completa indipendenza da questi enti. [12]
Per avere un’idea dell’effettiva magnitudo di quanto investito è doveroso citare un articolo di Pasquale Saraceno, relativo alla prima fase di preindustrializzazione:
“Da tempo si è […] mostrato che il valore economico della protezione consentita dagli incentivi è inferiore a quello della protezione doganale al cui riparo è sorta l’industria delle regioni nord-occidentali del Paese. E notisi che quella industria ha fruito di altri benefici: i profitti straordinari consentiti dalle commesse belliche conseguenti alle due grandi guerre e poi il pratico annullamento dei debiti delle imprese reso possibile dalle due inflazioni postbelliche. E ciò non è neppure bastato: per il sostegno del sistema industriale che si andava formando sono infatti occorsi anche i ripetuti salvataggi industriali effettuati nel ventennio tra le due guerre, un tipo di intervento che è poi continuato anche dopo l’ultima guerra, con un ritmo e per entità che non trovano esempi nel resto del mondo occidentale. A fronte di questa vicenda si collocano i 1.100 miliardi, in lire 1972, di contributi in conto capitale impegnati e ancora in parte non erogati all’industria meridionale a tutto il 1974. Si tratta di un importo probabilmente minore dei sopraprofitti di una sola delle due guerre conseguiti dalle industrie del triangolo; lo stesso può dirsi per ciascuna delle due inflazioni belliche di cui hanno beneficiato gli investitori in impianti industriali del tempo che, come era normale, si fossero largamente finanziati con prestiti bancari. Non vi è modo ovviamente di procedere a valutazioni anche approssimate di tali benefici. Questa possibilità esiste però nei riguardi dei salvataggi bancari: la perdita assunta dallo Stato a seguito dei salvataggi bancari effettuati dopo la prima guerra mondiale fino all’operazione di risanamento effettuata dall’IRI nel 1934 è stata valutata in 10,5 miliardi del tempo, importo che si può far corrispondere a 1.400 miliardi del 1972. I contributi in conto capitale dati all’industria meridionale durante tutto l’intervento straordinario, ammontanti come detto sopra a 1.100 miliardi, sono dunque inferiori al costo dei soli salvataggi bancari, un costo, notisi, sopportato da una economia italiana certo molto più povera di quella odierna.” [13]Pur non potendo stimare le quantità, di certo non è stato solo il Mezzogiorno ad usufruire dell’intervento pubblico per l’industrializzazione.4 L’area del Nord Ovest fu, fino agli anni ‘60 del secolo scorso, l’unica in cui ci fosse una notevole presenza del settore secondario. Per questo motivo fu l’unica area che poté godere di tutte le politiche di incentivi e protezione doganale. E di certo gli interventi a favore dell’industria padana non cessarono con l’avvio della politica di intervento del Mezzogiorno. Per poterlo affermare serenamente è sufficiente contare tutte le volte in cui si è evitato il fallimento della FIAT.
6 - Fu un intervento di programmazione dall’alto.
Si distingue, all’interno delle politiche di sviluppo, lo sviluppo dall’alto e lo sviluppo dal basso, il primo realizzato attraverso politiche standardizzate e controllate da organismi centrali, l’altro, invece, realizzato attraverso politiche di incentivi generalizzati atti a favorire la natalità e la competitività delle imprese locali. [3]
Durante i quarant’anni dell’intervento straordinario si sono alternate fasi di sviluppo dall’alto e dal basso [3]:
- La fase di preindustrializzazione è stata una politica di sviluppo dall’alto, essendo stata realizzata attraverso una serie di investimenti stabiliti dalla Cassa;
- La fase degli incentivi è stata una politica di sviluppo dal basso;
- La fase dell’industrializzazione esterna è stata una politica di sviluppo dall’alto, in quanto le scelte relative alla localizzazione delle imprese pubbliche erano prese a livello centrale;
- La fase di sviluppo assistito è stata una politica di sviluppo dal basso.
”Che gli industriali del Nord favorissero […] lo sviluppo dall’alto è […] chiaro solo se si consideri che lo sviluppo dall’alto favorisce le grandi imprese e che le grandi imprese settentrionali hanno interesse […] che al Sud non cresca un tessuto ricco di imprese industriali che faccia ad esse concorrenza; e hanno interesse, pertanto, che siano esse a «conquistare» i mercati del Sud, e non siano invece le imprese meridionali a sottrarre ad esse mercati.” [3]Lo sviluppo dall’alto, inoltre, è una politica di intervento che richiede un notevole intervento discrezionale da parte dell’amministrazione pubblica. È stato infatti proprio nelle due fasi dello sviluppo dall’alto, in particolare quella dell’industrializzazione esterna, che si sono verificate tutte le inefficienze legate all’ingerenza della classe politica nella politica industriale, quali la creazione di clientele e di favoritismi elettorali. Ciò garantì il consenso di questo tipo di intervento anche da parte degli esponenti politici locali, in una logica di convenienza personale e di classe a scapito dell’interesse pubblico. Grazie all’accordo tra la classe industriale del Nord e la classe politica del Mezzogiorno, l’intervento straordinario divenne uno strumento di consenso politico piuttosto che di sviluppo delle aree depresse. [3]
7 - Ha apportato maggior crescita economica al Nord che al Sud.
Il condizionamento della classe imprenditoriale del Nord delle scelte di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno ha comportato una distorsione della natura dello stesso tale da apportare, nel lungo periodo, maggiori vantaggi al Nord rispetto al Sud.
La SVIMEZ, già nelle stime preliminari relative alla fase di preindustrializzazione, aveva previsto che gli effetti dell’intervento, così come definiti, sarebbero stati maggiormente favorevoli per il Nord.
“La Svimez, applicando la teoria del moltiplicatore agli investimenti previsti per il primo biennio, era giunta alla conclusione che la spesa della Cassa avrebbe generato una domanda di beni di investimento e di consumo pari al 69% del suo ammontare; sarebbe avvenuta la localizzazione al Nord del 55% dei consumi, del 118% dei risparmi, del 51% dei tributi (indiceSud=100). L’incremento del reddito sarebbe stato più alto al Sud solo nel primo ciclo, mentre già al quinto ciclo sarebbe stato più alto al Nord” [11]Questa fase che, come riportato in precedenza, ha determinato la creazione di un mercato di consumo nel Mezzogiorno il quale, unito alla emigrazione di massa, legata sostanzialmente allo spopolamento delle zone rurali, fece da traino al “miracolo economico”5 verificatosi nel Centro - Nord nel decennio successivo. [14] Le politiche della prima fase di intervento, infatti, furono collocate nell’ottica dell’urbanizzazione dell’area e dell’abbandono delle campagne al fine di colmare lo squilibrio esistente nel mercato del lavoro. E poco importava la totale assenza di industrie nei centri urbani. Il fine dell’intervento era il raggiungimento della piena occupazione, che si poteva realizzare in entrambe le aree che formavano l’economia dualistica attraverso l’emigrazione di massa. [15] Pur non volendo enfatizzarne il ruolo si può affermare che il vero miracolo del Nord sia stato l’istituzione della Cassa.
Ma non è tutto. Le opere pubbliche, piccole o grandi che siano, devono essere realizzate da imprese private. E di certo le opere di preindustrializzazione del Mezzogiorno non erano realizzabili da imprese locali, semplicemente perché esse non esistevano.
Gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno, quindi, rappresentarono una ghiotta occasione di crescita per le imprese del Nord le quali, oltretutto, ebbero la possibilità di ottenere i finanziamenti senza gara d’appalto e di essere esonerate dall’obbligo di spendere l’intero importo erogato per la realizzazione dell’opera. [14] L’eccesso di discrezionalità da parte della Pubblica Amministrazione, a queste condizioni, appare evidente. Esse avevano la possibilità di scegliere arbitrariamente l’importo da erogare, le imprese appaltatrici e la localizzazione delle infrastrutture. Ciò ha comportato la nascita di opere inutili, quando completate, a costi abnormi e localizzate in ragione di convenienza politica.
Relativamente agli incentivi, nel seguente grafico sono riportati i valori medi per regione della ripartizione negli anni dal 1953 al 1970.
Incentivi. Valori medi per anno e regione. Anni 1953 - 1970. Elaborazione mia. [16]
Dal grafico è possibile notare un aumento nel tempo dell’erogazione degli incentivi per tutte le ripartizioni, ma, in tutti gli intervalli di tempo considerati, le imprese situate nel Nord - Ovest ne hanno usufruito in misura maggiore rispetto al resto del Paese.
In particolare nel primo periodo gli incentivi erogati mediamente in questa ripartizione furono in misura più che doppia rispetto alle altre ripartizioni. Nel secondo periodo, che indica il passaggio dalla prima alla seconda fase dell’intervento straordinario, ci fu un livellamento delle proporzioni degli incentivi nelle varie ripartizioni. Nel terzo intervallo di tempo considerato, infine, ci fu un nuovo dislivello a favore del Nord - Ovest e del Mezzogiorno, anche se in misura minore per quest’ultimo.
Quindi, anche sotto questo aspetto, è l’area del Nord - Ovest ad aver usufruito maggiormente delle politiche di intervento pubblico a favore dello sviluppo. Infatti nonostante nel Mezzogiorno si applicarono tassi di interesse agevolati, le imprese dell’area godettero di una quantità modesta di incentivi.6 Ciò era dovuto sostanzialmente alla delega alla Cassa di tutte le politiche di intervento, che permise all’amministrazione centrale di occuparsi quasi esclusivamente delle altre ripartizioni. [16]
Riferimenti:
[12] Soriero, G., “È stato giusto chiudere l’intervento straordinario? Alcune riflessioni sul dibattito parlamentare e culturale.”, in “Nord e Sud a 150 anni dall’Unità di Italia”, SVIMEZ, Roma, Marzo 2012.
[13] Saraceno, P., “È ancora valida la concezione del meridionalismo apparso nell’ultimo dopoguerra?”, in “Rivista Apulia, numero III - 75”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Luglio 1975.
[14] Redazione, “60 anni fa nasceva la CasMez un provvedimento proSud che ha fatto straricco il Nord.”, su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’8 Agosto 2010.
[15] Vita, C., “I modelli dualistici di sviluppo e il dibattito sul Mezzogiorno.”, in Realfonzo, R., Vita, C., “Sviluppo dualistico e Mezzogiorni d’Europa.”, Franco. Angeli, Milano 2006.
[16] Spadavecchia, A., “Regional and national industrial policies in Italy, 1950s – 1993. Where did the subsidies flow?”, in “University of Reading Working Paper No. 48. Sutcliffe, B.”, 2004.
3 Nella “Relazione sul Rendiconto generale dello Stato” del 1992 la Corte dei Conti fa notare di averlo già denunciato in precedenza.
4 Spesso si asserisce che la quota di investimenti destinata al Centro - Nord nel periodo dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno sia stata in media del 35% del PIL. Devo ammettere che non mi convince. Sebbene sia vero che in quel periodo si sia fatto un ampio ricorso all’indebitamento, ciò equivale ad affermare che la quasi totalità del gettito fiscale sia stata utilizzata per le spese in conto capitale.
Per gli anni dal 1996 al 2009 le spese in conto capitale sono state contabilizzate dal Dipartimento del Tesoro per adempiere ad obblighi a livello europeo. Da esse risulta che la spesa per investimenti e incentivi è stata in media del 2,78% del PIL nel Centro - Nord e dell’1,13% del PIL nel Mezzogiorno. In proporzione la spesa è stata del 29% nel Mezzogiorno e del 71% nel Centro - Nord. Volendo mantenere le stesse proporzioni per il periodo dell’intervento straordinario, si può assumere che nel Centro - Nord la spesa sia stata in media del 2,5% del PIL.
La quota del 35% è più probabilmente relativa agli investimenti fissi lordi, ovvero gli investimenti privati che concorrono alla formazione del PIL.
5 A proposito, sapevate che l’espressione “miracolo economico” fu coniata da una giornalista di The Economist che trovò lo sviluppo del Centro - Nord inspiegabile?
6 In media, nel periodo dal 1953 al 1970, la proporzione di incentivi sul totale per il Mezzogiorno fu del 30,5%. Una quota maggiore rispetto al Nord Est e al Centro, ma inferiore al peso demografico dell’area, intorno al 35%.
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