martedì 7 giugno 2011

"Il brigantaggio dell'acqua" di Nicola Salerno



Il tema dell’acqua scuote le coscienze dell’opinione pubblica in modo trasversale ed
a tutti i livelli dall’operaio, all’impiegato, all’artista, al maestro, al professore, al dirigente, all’imprenditore, al precario, etc...
Il tema in se meriterebbe ovviamente una trattazione ampissima che esula dagli obiettivi di questa breve riflessione. In una estrema sintesi, risulta intuitivo la ragione alla base di una attenzione così spiccata. L’acqua è vita e la vita stessa è acqua. Tutta la storia dell’umanità e della vita in generale è la storia anche dell’acqua. Dal punto di vista umano, tutte le grandi civiltà, dalla preistoria fino ai giorni nostri, sono nate e si sono sviluppate intorno ai grandi corsi d’acqua. Ridurre l’acqua alla stregua di un bene economico risulta in una semplificazione che non è accettabile. L’acqua è la vita stessa in tutte le sue forme. Noi stessi come esseri appartenenti alla natura (ricordo che l’85% del nostro corpo è acqua) siamo, almeno materialmente, l’acqua che beviamo. Attraverso il suo eterno ciclo e i suoi stati, possiamo dire che l’acqua rappresenta allo stesso tempo l’unità e la diversità. L’unità perché quando evapora si libera di tutte le sostanze (anche nocive) che la rendono diversa da luogo a luogo, purificandola e restituendole la struttura che è poi alla base di tutte le acque di tutti i luoghi del pianeta. La diversità perché quando ricade in forma fluida l’acqua è ricettrice della biodiversità dei diversi luoghi della terra assumendone le particolarità proprie di ogni luogo. In questo senso si potrebbe attribuire all’acqua anche un carattere identitario. Personalmente non avevo mai riflettuto sull’acqua, penso come capita un po’ a molti. Forse perché abbiamo perso la percezione del legame profondo e direi sacro e inscindibile che ci unisce in modo cosi intimo con l’acqua. Risulta un po’ improbabile d'altronde che una tale percezione possa venire ispirata da una bottiglietta di plastica da mezzo litro. E’ interessante riportare che mentre prendeva forma, prima nei pensieri e poi nelle parole, la riflessione sul tema, avevo la sensazione che non sarebbero bastati interi tomi per esaurirne la trattazione. E più ti immergi nella riflessione più ti rendi conto che narrare dell’acqua ti porta molto lontano nello spazio e nel tempo, in un viaggio senza fine. E d'altronde non può che essere così. Realizzi che riflettere sull’acqua e come riflettere sulla vita stessa. Ne segue che non è molto lontano dalla realtà l’affermazione secondo la quale controllare l’acqua equivalga a controllare la vita. Viene da sé che perderne il controllo (anche della sola gestione) potrebbe drammaticamente rappresentare una forma di schiavitù che tra l’altro molti popoli già sperimentano sul nostro pianeta.
In vista del referendum, anche se i nostri media televisivi sembrano interessati ad altro, si discute animatamente delle modalità di gestione del sistema di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua. In un paese normale, la dialettica vedrebbe opporsi diversi modelli che hanno come estremi da un lato la gestione completamente pubblica e dall’altro la completa privatizzazione. Ovviamente come sappiamo ogni sistema presenta i suoi vantaggi e svantaggi. Ma questo vale quando si tratta di una merce o della gestione di un servizio comune. L’acqua però è qualcosa di più di una merce o un bene economico. E quindi una prima riflessione dovrebbe riguardare appunto la modalità stessa di affrontare una tale questione. Ma su questo poco si può fare.
In aggiunta alla dialettica di superficie, ritengo sia importante fare delle riflessioni anche dall’angolo visuale del meridionalismo. A tal fine le domande alle quali questo contributo cerca di dare una risposta sono le seguenti: dal punto di vista del meridione, l’impostazione della dialettica, basata sulla dicotomia pubblico-privato, è sufficiente? Oppure, il tema stesso, posto solo su queste basi (gestione pubblica - gestione privata), non rischia di risultare fuorviante se non addirittura un banale specchio per le allodole, fornendo ai meridionali la chimera che siano loro a decidere del proprio destino? E infine, cosa comporterebbe per i meridionali (e non solo) una gestione privata e quindi direi liberista dell’acqua?
Prima di proseguire, consentitemi, una breve premessa. Nell’esporre il tema, mi capiterà di porre un accento negativo, magari nei confronti del Nord e più specificatamente nei confronti dell’apparato industriale del nord o centro nord. Desidero precisare, se mai ce ne fosse bisogno, che qui nessuno e così fesso da augurarsi o desiderare che l’industria del nord o il nord stesso fallisca. La riflessione ovviamente è sul sistema. Su un sistema completamente sbilenco e squilibrato che pone a motore dello sviluppo del centro nord il sottosviluppo del mezzogiorno. Su un sistema miope, guidato più dalla paura e dall’interesse di parrocchia che dall’intraprendenza e dall’interesse generale, che non coglie nel reale sviluppo delle regioni meridionali un’ opportunità anche per le regioni settentrionali. Stando alla realtà attuale, può piacere o no, dal punto di vista sociale, neanche si può più parlare di nord e sud tanti sono i milioni di meridionali che vivono e lavorano nel nord. Non penso di affermare il falso se dico che per milioni di padri che stanno giù, ci sono almeno altrettanti milioni di figli che stanno su.
A meno di non voler affermare che i padri desiderano la rovina dei figli (caso tra l’altro presente in natura, ma solo come eccezione) non si può pensare che un movimento meridionalista, anche se radicale quanto si voglia, possa fondarsi sull’odio e il disprezzo del nord. Si può sostenere la stessa cosa per la Lega Nord? Penso che basterebbe questa semplice riflessione per dimostrare la completa asimmetria dell’universo meridionalista rispetto alla Lega Nord. E soprattutto basterebbe per risparmiarsi le fatiche della stesura di certi libri che vorrebbero subdolamente porre sullo stesso piano il neo meridionalismo e la Lega Nord. Fine della premessa.
Cercherò, nei limiti di chi scrive, di fornire, attraverso il racconto di vicende apparentemente diverse, ma a mio avviso tutte appartenenti allo stesso cliché, sia una minima prospettiva storica che un inquadramento in uno schema più generale che poi è il ritornello che si ripete da 150 anni.
Iniziamo allora da alcuni fatterelli risorgimentali, tanto per cambiare.
Abolizione della dogana daziaria. Principio ispiratore è stato il libero scambio. Le conseguenze per il meridione sono state lo smantellamento dell'apparato industriale tessile dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie. Avendo raggiunto uno stadio non ancora maturo per affrontare la concorrenza delle avanzate potenze inglesi e francesi, per poter continuare a svilupparsi aveva bisogno ancora di protezione e soprattutto di un avvicinamento graduale al libero scambio (come tra l’altro avveniva in Francia e Inghilterra e nello stesso Nord Italia venti anni dopo). Niente da fare. L’ industria meridionale andava sacrificata all'altare del libero scambio. L'affermazione di un così nobile ideale era tanto imperante (debito cavourriano verso l’Inghilterra e la Francia?) che la norma fu una delle prime emanazioni del nuovo parlamento italiano con sede a Torino.
Corso forzoso. Principio ispiratore in questo caso era l'affermazione dell'ideale unitario che doveva trasfigurarsi anche nella immediata creazione di una banca centrale nazionale. Conseguenze per il meridione sono state il drenaggio (furto?) dell'immenso capitale circolante (oro e argento, non carta straccia) dall'ormai ex Regno delle due Sicilie e il conseguente smantellamento dei Banchi di Napoli e Di Sicilia e quindi del sistema bancario meridionale. Unico vero volano in grado di sostenere in modo equilibrato ed efficace il sistema industriale e la progressiva industrializzazione dell'agricoltura nel meridione (che in fatti poi non c'è più stata). Le modalità (armi e leggi del nascente regno italiano) con le quali si è creata la banca nazionale possono essere considerate come una delle cause prime della genesi del sottosviluppo del meridione. L'onda lunga del corso forzoso ha portato al nefasto (per la Terronia ovviamente) sistema bancario nord-centrico, che oltre a non asservire al ruolo di sistema creditizio a supporto dello sviluppo anche delle regioni del meridione, propugnava e propugna ancora oggi una politica vampiresca con interessi da capogiro nei confronti degli imprenditori e delle famiglie meridionali. La giustificazione universalmente accettata dall' "establishment" politico (destra, centro e sinistra, la Lega Nord era scontata) è che il rischio di investimenti (quali?) al sud è più alto a causa della più elevata penetrazione della criminalità organizzata che a sua volta si alimenta anche con i proventi dell' usura. Alimentando così un terribile circolo vizioso: sottosviluppo - criminalità - tassi di interessi elevati - usura – più criminalità – più sottosviluppo - …
Per nostra sfortuna, l’elenco degli esempi circa la nefasta gestione del meridione nel corso degli ultimi centocinquanta anni è lunghissima. Per cui ve li risparmio e salto subito ai giorni nostri.
Privatizzazione delle ferrovie dello stato. Principio ispiratore: efficienza e riduzione degli oneri per lo stato. Conseguenze per il meridione sono il continuo smantellamento della rete ferroviaria e abolizione di molti treni di lunga percorrenza che, a parte gli impatti negativi e non trascurabili sul flebile sviluppo economico del meridione, per i Terroni costituivano l'unico cordone ombelicale (a meno di non accettare i tempi biblici della SA-RC o i costi esorbitanti dei voli di linea) con i luoghi di provenienza e i padri/madri nonni/nonne rimasti nel paese di origine. La privatizzazione delle ferrovie dello stato da licenza all'attuale amministratore di affermare che: le tratte ferroviarie e i treni che non forniscono un dovuto tornaconto in termini di ricavi devono essere abolite. Invertendo il principio universalmente accettato che invece stabilisce che le aree sottosviluppate necessitano degli investimenti per la realizzazione delle infrastrutture (ivi compresi sistemi efficienti di comunicazione ferroviaria) affinché si possano realizzare le condizione di sviluppo. Qualche anno addietro tale principio era sacrosanto tanto è che l' arretratezza, dalla quale bisognava affrancare il Regno delle Due Sicilie, era dimostrata con la prova inconfutabile della angosciosa carenza di infrastrutture ferroviarie. Oggi che il meridione rivendica, con spirito salveminiano, parità infrastrutturale con il resto della penisola, tale principio viene invertito e negato. Mi piace immaginarlo come un principio con scadenza (da consumarsi preferibilmente entro) e che adesso purtroppo (per i Terroni) è scaduto.
Assicurazioni (soprattutto RC auto). Costo medio, a parità di condizioni, per molte aree del meridione di quasi il doppio rispetto alla media del nord. Il razionale in questo caso è che il numero di denuncie per truffa in quelle aree è molto più elevato e quindi il rischio assicurativo è più alto. Senza considerare che si dovrebbero considerare non il numero di denuncie (fatte spesso dalle agenzie assicurative stesse tra l'altro), ma il numero di sentenze passate in giudicato, uno si chiede perché il principio del garantismo, tanto rivendicato dalla nostra amata casta, non debba applicarsi anche ai poveri cristi meridionali. E poi, l' assicurazione di turno ha tutti i dati dei suoi assicurati. Se un padre di famiglia terrone per anni non ha mai fatto un incidente e/o tentato una truffa, per quale strana ragione deve pagare il doppio, o comunque di più, rispetto allo stesso povero padre di famiglia polentone? Mistero assicurativo o semplicemente sistema assicurativo sbilenco e squilibrato - nord centrico?
Ovviamente si possono citare anche per i giorni attuali innumerevoli altri casi di sperequazione tra centro-nord e sud, ma penso che per inquadrare la questione siano già sufficienti quelli citati e quindi veniamo al punto.
Privatizzazione dell'acqua. Principio ispiratore è sempre e comunque il solito ideale teorico indiscutibile (per le industrie del nord o quelle francesi?): efficienza della rete idrica e conseguente riduzione degli oneri dello stato.
Riuscite già ad immaginare le potenziali conseguenze per i Terroni? Proviamo ad incamminarci seguendo il solco della tradizione. Diamo la parola ad una ipotetica azienda appaltatrice (del nord?) che attraverso i media (va bene anche questi del nord), recapita alla nazione una serie di messaggini del tipo: la gestione della rete idrica nelle regioni del sud è più onerosa a causa dei maggiori interessi pagati per il credito dalle ditte appaltatrici (che poi saranno del Nord. E quindi attingeranno al credito nelle regioni dove hanno sede legale); a causa della solita maggiore penetrazione criminale, il rischio economico per la manutenzione, l’assicurazione e la gestione ordinaria della rete è più elevato nelle regioni meridionali.
Bisogna anche riflettere attentamente sulla reale possibilità della montagna di denaro sporco che verrebbe lavato con l’infiltrazione criminale nella gestione dell’acqua (esempi già arrivano dalle Serre calabresi). Immagino inoltre che verranno abolite le reti che non procureranno un adeguato ricavo (solo mania di persecuzione, o la storia che si ripete?). La disponibilità idrica per abitante è maggiore nelle regioni del nord (vero e di gran lunga) e quindi, benché comunque sufficiente, ci porteranno l'acqua da su (giù la stanno inquinando tra l’altro), perché su è più economica (per chi la porta si intende), ma poi c'è il trasporto e quindi comunque non comporterà riduzione di costi per il padre di famiglia terrone. Eccetera, eccetera…
Pur volendo essere benevoli, come avviene da più di centocinquanta anni, un’ennesima legge imposta al meridione che (magari per la restante parte del paese potrebbe forse andare bene, anche se dopo l’esempio toscano, dove si è privatizzata in maniera massiccia la gestione dell’acqua, con costi lievitati e servizi rimasti tali e quali se non peggiorati, ne dubito) non tiene affatto in considerazioni la realtà e le condizioni socioeconomiche specifiche del sud. Con il risultato di avere conseguenze devastanti e delle cui responsabilità verranno come sempre accusati i meridionali stessi per il solo torto di averla subita.
Difendere l'acqua pubblica quindi, soprattutto per i terroni, è qualcosa che va al di là della diatriba acqua pubblica - acqua privata. La lotta per l'acqua è lotta di resistenza, o se preferite, un fronte del brigantaggio moderno a cui siamo chiamati a prendere parte (nelle forme consentite dal nostro ordinamento e, se chiamati a governare, rendendo efficiente la gestione pubblica, evitando così di porgere il fianco al cinismo liberista) se non vogliamo che le parole di Franceschiello:
" …non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere!" si rivelino come una profezia ottimistica. Perché oltre l'acqua, dopo le banche, le industrie, l'economia, la terra e l’aria inquinata, rimarrà solo l'anima. Ma solo per chi ci crede...

Nicola Salerno


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Il tema dell’acqua scuote le coscienze dell’opinione pubblica in modo trasversale ed
a tutti i livelli dall’operaio, all’impiegato, all’artista, al maestro, al professore, al dirigente, all’imprenditore, al precario, etc...
Il tema in se meriterebbe ovviamente una trattazione ampissima che esula dagli obiettivi di questa breve riflessione. In una estrema sintesi, risulta intuitivo la ragione alla base di una attenzione così spiccata. L’acqua è vita e la vita stessa è acqua. Tutta la storia dell’umanità e della vita in generale è la storia anche dell’acqua. Dal punto di vista umano, tutte le grandi civiltà, dalla preistoria fino ai giorni nostri, sono nate e si sono sviluppate intorno ai grandi corsi d’acqua. Ridurre l’acqua alla stregua di un bene economico risulta in una semplificazione che non è accettabile. L’acqua è la vita stessa in tutte le sue forme. Noi stessi come esseri appartenenti alla natura (ricordo che l’85% del nostro corpo è acqua) siamo, almeno materialmente, l’acqua che beviamo. Attraverso il suo eterno ciclo e i suoi stati, possiamo dire che l’acqua rappresenta allo stesso tempo l’unità e la diversità. L’unità perché quando evapora si libera di tutte le sostanze (anche nocive) che la rendono diversa da luogo a luogo, purificandola e restituendole la struttura che è poi alla base di tutte le acque di tutti i luoghi del pianeta. La diversità perché quando ricade in forma fluida l’acqua è ricettrice della biodiversità dei diversi luoghi della terra assumendone le particolarità proprie di ogni luogo. In questo senso si potrebbe attribuire all’acqua anche un carattere identitario. Personalmente non avevo mai riflettuto sull’acqua, penso come capita un po’ a molti. Forse perché abbiamo perso la percezione del legame profondo e direi sacro e inscindibile che ci unisce in modo cosi intimo con l’acqua. Risulta un po’ improbabile d'altronde che una tale percezione possa venire ispirata da una bottiglietta di plastica da mezzo litro. E’ interessante riportare che mentre prendeva forma, prima nei pensieri e poi nelle parole, la riflessione sul tema, avevo la sensazione che non sarebbero bastati interi tomi per esaurirne la trattazione. E più ti immergi nella riflessione più ti rendi conto che narrare dell’acqua ti porta molto lontano nello spazio e nel tempo, in un viaggio senza fine. E d'altronde non può che essere così. Realizzi che riflettere sull’acqua e come riflettere sulla vita stessa. Ne segue che non è molto lontano dalla realtà l’affermazione secondo la quale controllare l’acqua equivalga a controllare la vita. Viene da sé che perderne il controllo (anche della sola gestione) potrebbe drammaticamente rappresentare una forma di schiavitù che tra l’altro molti popoli già sperimentano sul nostro pianeta.
In vista del referendum, anche se i nostri media televisivi sembrano interessati ad altro, si discute animatamente delle modalità di gestione del sistema di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua. In un paese normale, la dialettica vedrebbe opporsi diversi modelli che hanno come estremi da un lato la gestione completamente pubblica e dall’altro la completa privatizzazione. Ovviamente come sappiamo ogni sistema presenta i suoi vantaggi e svantaggi. Ma questo vale quando si tratta di una merce o della gestione di un servizio comune. L’acqua però è qualcosa di più di una merce o un bene economico. E quindi una prima riflessione dovrebbe riguardare appunto la modalità stessa di affrontare una tale questione. Ma su questo poco si può fare.
In aggiunta alla dialettica di superficie, ritengo sia importante fare delle riflessioni anche dall’angolo visuale del meridionalismo. A tal fine le domande alle quali questo contributo cerca di dare una risposta sono le seguenti: dal punto di vista del meridione, l’impostazione della dialettica, basata sulla dicotomia pubblico-privato, è sufficiente? Oppure, il tema stesso, posto solo su queste basi (gestione pubblica - gestione privata), non rischia di risultare fuorviante se non addirittura un banale specchio per le allodole, fornendo ai meridionali la chimera che siano loro a decidere del proprio destino? E infine, cosa comporterebbe per i meridionali (e non solo) una gestione privata e quindi direi liberista dell’acqua?
Prima di proseguire, consentitemi, una breve premessa. Nell’esporre il tema, mi capiterà di porre un accento negativo, magari nei confronti del Nord e più specificatamente nei confronti dell’apparato industriale del nord o centro nord. Desidero precisare, se mai ce ne fosse bisogno, che qui nessuno e così fesso da augurarsi o desiderare che l’industria del nord o il nord stesso fallisca. La riflessione ovviamente è sul sistema. Su un sistema completamente sbilenco e squilibrato che pone a motore dello sviluppo del centro nord il sottosviluppo del mezzogiorno. Su un sistema miope, guidato più dalla paura e dall’interesse di parrocchia che dall’intraprendenza e dall’interesse generale, che non coglie nel reale sviluppo delle regioni meridionali un’ opportunità anche per le regioni settentrionali. Stando alla realtà attuale, può piacere o no, dal punto di vista sociale, neanche si può più parlare di nord e sud tanti sono i milioni di meridionali che vivono e lavorano nel nord. Non penso di affermare il falso se dico che per milioni di padri che stanno giù, ci sono almeno altrettanti milioni di figli che stanno su.
A meno di non voler affermare che i padri desiderano la rovina dei figli (caso tra l’altro presente in natura, ma solo come eccezione) non si può pensare che un movimento meridionalista, anche se radicale quanto si voglia, possa fondarsi sull’odio e il disprezzo del nord. Si può sostenere la stessa cosa per la Lega Nord? Penso che basterebbe questa semplice riflessione per dimostrare la completa asimmetria dell’universo meridionalista rispetto alla Lega Nord. E soprattutto basterebbe per risparmiarsi le fatiche della stesura di certi libri che vorrebbero subdolamente porre sullo stesso piano il neo meridionalismo e la Lega Nord. Fine della premessa.
Cercherò, nei limiti di chi scrive, di fornire, attraverso il racconto di vicende apparentemente diverse, ma a mio avviso tutte appartenenti allo stesso cliché, sia una minima prospettiva storica che un inquadramento in uno schema più generale che poi è il ritornello che si ripete da 150 anni.
Iniziamo allora da alcuni fatterelli risorgimentali, tanto per cambiare.
Abolizione della dogana daziaria. Principio ispiratore è stato il libero scambio. Le conseguenze per il meridione sono state lo smantellamento dell'apparato industriale tessile dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie. Avendo raggiunto uno stadio non ancora maturo per affrontare la concorrenza delle avanzate potenze inglesi e francesi, per poter continuare a svilupparsi aveva bisogno ancora di protezione e soprattutto di un avvicinamento graduale al libero scambio (come tra l’altro avveniva in Francia e Inghilterra e nello stesso Nord Italia venti anni dopo). Niente da fare. L’ industria meridionale andava sacrificata all'altare del libero scambio. L'affermazione di un così nobile ideale era tanto imperante (debito cavourriano verso l’Inghilterra e la Francia?) che la norma fu una delle prime emanazioni del nuovo parlamento italiano con sede a Torino.
Corso forzoso. Principio ispiratore in questo caso era l'affermazione dell'ideale unitario che doveva trasfigurarsi anche nella immediata creazione di una banca centrale nazionale. Conseguenze per il meridione sono state il drenaggio (furto?) dell'immenso capitale circolante (oro e argento, non carta straccia) dall'ormai ex Regno delle due Sicilie e il conseguente smantellamento dei Banchi di Napoli e Di Sicilia e quindi del sistema bancario meridionale. Unico vero volano in grado di sostenere in modo equilibrato ed efficace il sistema industriale e la progressiva industrializzazione dell'agricoltura nel meridione (che in fatti poi non c'è più stata). Le modalità (armi e leggi del nascente regno italiano) con le quali si è creata la banca nazionale possono essere considerate come una delle cause prime della genesi del sottosviluppo del meridione. L'onda lunga del corso forzoso ha portato al nefasto (per la Terronia ovviamente) sistema bancario nord-centrico, che oltre a non asservire al ruolo di sistema creditizio a supporto dello sviluppo anche delle regioni del meridione, propugnava e propugna ancora oggi una politica vampiresca con interessi da capogiro nei confronti degli imprenditori e delle famiglie meridionali. La giustificazione universalmente accettata dall' "establishment" politico (destra, centro e sinistra, la Lega Nord era scontata) è che il rischio di investimenti (quali?) al sud è più alto a causa della più elevata penetrazione della criminalità organizzata che a sua volta si alimenta anche con i proventi dell' usura. Alimentando così un terribile circolo vizioso: sottosviluppo - criminalità - tassi di interessi elevati - usura – più criminalità – più sottosviluppo - …
Per nostra sfortuna, l’elenco degli esempi circa la nefasta gestione del meridione nel corso degli ultimi centocinquanta anni è lunghissima. Per cui ve li risparmio e salto subito ai giorni nostri.
Privatizzazione delle ferrovie dello stato. Principio ispiratore: efficienza e riduzione degli oneri per lo stato. Conseguenze per il meridione sono il continuo smantellamento della rete ferroviaria e abolizione di molti treni di lunga percorrenza che, a parte gli impatti negativi e non trascurabili sul flebile sviluppo economico del meridione, per i Terroni costituivano l'unico cordone ombelicale (a meno di non accettare i tempi biblici della SA-RC o i costi esorbitanti dei voli di linea) con i luoghi di provenienza e i padri/madri nonni/nonne rimasti nel paese di origine. La privatizzazione delle ferrovie dello stato da licenza all'attuale amministratore di affermare che: le tratte ferroviarie e i treni che non forniscono un dovuto tornaconto in termini di ricavi devono essere abolite. Invertendo il principio universalmente accettato che invece stabilisce che le aree sottosviluppate necessitano degli investimenti per la realizzazione delle infrastrutture (ivi compresi sistemi efficienti di comunicazione ferroviaria) affinché si possano realizzare le condizione di sviluppo. Qualche anno addietro tale principio era sacrosanto tanto è che l' arretratezza, dalla quale bisognava affrancare il Regno delle Due Sicilie, era dimostrata con la prova inconfutabile della angosciosa carenza di infrastrutture ferroviarie. Oggi che il meridione rivendica, con spirito salveminiano, parità infrastrutturale con il resto della penisola, tale principio viene invertito e negato. Mi piace immaginarlo come un principio con scadenza (da consumarsi preferibilmente entro) e che adesso purtroppo (per i Terroni) è scaduto.
Assicurazioni (soprattutto RC auto). Costo medio, a parità di condizioni, per molte aree del meridione di quasi il doppio rispetto alla media del nord. Il razionale in questo caso è che il numero di denuncie per truffa in quelle aree è molto più elevato e quindi il rischio assicurativo è più alto. Senza considerare che si dovrebbero considerare non il numero di denuncie (fatte spesso dalle agenzie assicurative stesse tra l'altro), ma il numero di sentenze passate in giudicato, uno si chiede perché il principio del garantismo, tanto rivendicato dalla nostra amata casta, non debba applicarsi anche ai poveri cristi meridionali. E poi, l' assicurazione di turno ha tutti i dati dei suoi assicurati. Se un padre di famiglia terrone per anni non ha mai fatto un incidente e/o tentato una truffa, per quale strana ragione deve pagare il doppio, o comunque di più, rispetto allo stesso povero padre di famiglia polentone? Mistero assicurativo o semplicemente sistema assicurativo sbilenco e squilibrato - nord centrico?
Ovviamente si possono citare anche per i giorni attuali innumerevoli altri casi di sperequazione tra centro-nord e sud, ma penso che per inquadrare la questione siano già sufficienti quelli citati e quindi veniamo al punto.
Privatizzazione dell'acqua. Principio ispiratore è sempre e comunque il solito ideale teorico indiscutibile (per le industrie del nord o quelle francesi?): efficienza della rete idrica e conseguente riduzione degli oneri dello stato.
Riuscite già ad immaginare le potenziali conseguenze per i Terroni? Proviamo ad incamminarci seguendo il solco della tradizione. Diamo la parola ad una ipotetica azienda appaltatrice (del nord?) che attraverso i media (va bene anche questi del nord), recapita alla nazione una serie di messaggini del tipo: la gestione della rete idrica nelle regioni del sud è più onerosa a causa dei maggiori interessi pagati per il credito dalle ditte appaltatrici (che poi saranno del Nord. E quindi attingeranno al credito nelle regioni dove hanno sede legale); a causa della solita maggiore penetrazione criminale, il rischio economico per la manutenzione, l’assicurazione e la gestione ordinaria della rete è più elevato nelle regioni meridionali.
Bisogna anche riflettere attentamente sulla reale possibilità della montagna di denaro sporco che verrebbe lavato con l’infiltrazione criminale nella gestione dell’acqua (esempi già arrivano dalle Serre calabresi). Immagino inoltre che verranno abolite le reti che non procureranno un adeguato ricavo (solo mania di persecuzione, o la storia che si ripete?). La disponibilità idrica per abitante è maggiore nelle regioni del nord (vero e di gran lunga) e quindi, benché comunque sufficiente, ci porteranno l'acqua da su (giù la stanno inquinando tra l’altro), perché su è più economica (per chi la porta si intende), ma poi c'è il trasporto e quindi comunque non comporterà riduzione di costi per il padre di famiglia terrone. Eccetera, eccetera…
Pur volendo essere benevoli, come avviene da più di centocinquanta anni, un’ennesima legge imposta al meridione che (magari per la restante parte del paese potrebbe forse andare bene, anche se dopo l’esempio toscano, dove si è privatizzata in maniera massiccia la gestione dell’acqua, con costi lievitati e servizi rimasti tali e quali se non peggiorati, ne dubito) non tiene affatto in considerazioni la realtà e le condizioni socioeconomiche specifiche del sud. Con il risultato di avere conseguenze devastanti e delle cui responsabilità verranno come sempre accusati i meridionali stessi per il solo torto di averla subita.
Difendere l'acqua pubblica quindi, soprattutto per i terroni, è qualcosa che va al di là della diatriba acqua pubblica - acqua privata. La lotta per l'acqua è lotta di resistenza, o se preferite, un fronte del brigantaggio moderno a cui siamo chiamati a prendere parte (nelle forme consentite dal nostro ordinamento e, se chiamati a governare, rendendo efficiente la gestione pubblica, evitando così di porgere il fianco al cinismo liberista) se non vogliamo che le parole di Franceschiello:
" …non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere!" si rivelino come una profezia ottimistica. Perché oltre l'acqua, dopo le banche, le industrie, l'economia, la terra e l’aria inquinata, rimarrà solo l'anima. Ma solo per chi ci crede...

Nicola Salerno


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