lunedì 19 luglio 2010

Il ritorno al Sud di Saviano "Omertà è non voler capire"


Lo scrittore in Puglia dopo 2 anni «I criminali temono la scrittura»




Di PASQUALE LORUSSO

POLIGNANO A MARE (BARI)
«Oggi ha senso raccontare il sud Italia per rompere l’atteggiamento di cinismo che fa credere di non poter cambiare le cose. Quel sud Italia troppo spesso marginalizzato dalle politiche nazionali e considerato un freno allo sviluppo». Parola di Roberto Saviano, tornato ieri al Sud dopo due anni di assenza, accolto da una piazza gremita di gente, dove applausi e acclamazione si confondevano in un caloroso abbraccio di bentornato.

Saviano torna nella stessa piazza che lo ospitò quattro anni fa a Polignano a Mare, vicino Bari, quando ancora lo conoscevano in pochi, ospite della rassegna “Il libro possibile”, e dialoga con lo scrittore pugliese Mario Desiati su attualità e letteratura.

«Il terrore vero che la criminalità ha della scrittura – sostiene Saviano – sta nei lettori: tanti occhi che valutano», che comprendono i meccanismi, rompendo il “clima epico” che aleggia attorno ai clan e che li rende temibili. «Dire che chi scrive di criminalità diffama il nostro Paese è come dire che l’oncologia diffonde il cancro», continua lo scrittore, che si è detto sconvolto di come importanti inchieste, come quella recente su Nicola Cosentino, passino inosservate alle cronache nazionali.

Saviano ha ricordato il suo stupore iniziale per i primi posti in classifica di Gomorra in paesi come l’Estonia o il Vietnam, ma «poi ho capito che anche quei paesi hanno forti problemi di mafia, ma pochi ne parlano, perciò hanno bisogno di capire i meccanismi dalla mafia più antica, la nostra».

Spesso la criminalità adotta il meccanismo della delegittimazione, diffondendo notizie false per screditare le sue vittime, «come ha fatto col giornalista Pippo Fava, di cui si disse a 24 ore dalla morte che toccava bambine, o con Don Peppe Diana, di cui diffusero la voce che nascondeva armi in sacrestia». Dicerie, a cui «il lettore medio crede facilmente».

Ed è per questo che bisogna difendere chi scrive perché «l’omertà non è solo non denunciare un reato che vedi coi tuoi occhi, ma è soprattutto non voler sapere, capire, conoscere». È un discorso appassionato quello di Saviano, che racconta un Paese che «si sta dividendo sempre più in banditi e persone sane». Un discorso, in cui cita Salman Rushdie e Varlam Salamov, di cui ricorda l’aneddoto in cui lo scrittore russo, sopravvissuto ai gulag, rifiuta di dare l’anima ai soldati che gliela avevano chiesta, subendo una punizione durissima per aver difeso qualcosa che fino ad allora credeva inesistente. «Come tutti i meridionali provo amore estremo e odio profondo per la mia terra», ha concluso lo scrittore, lanciando con i versi di Danilo Dolci un messaggio di speranza al Paese, che «può cambiare e crescere solo se sognato».

Fonte:La Stampa

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Lo scrittore in Puglia dopo 2 anni «I criminali temono la scrittura»




Di PASQUALE LORUSSO

POLIGNANO A MARE (BARI)
«Oggi ha senso raccontare il sud Italia per rompere l’atteggiamento di cinismo che fa credere di non poter cambiare le cose. Quel sud Italia troppo spesso marginalizzato dalle politiche nazionali e considerato un freno allo sviluppo». Parola di Roberto Saviano, tornato ieri al Sud dopo due anni di assenza, accolto da una piazza gremita di gente, dove applausi e acclamazione si confondevano in un caloroso abbraccio di bentornato.

Saviano torna nella stessa piazza che lo ospitò quattro anni fa a Polignano a Mare, vicino Bari, quando ancora lo conoscevano in pochi, ospite della rassegna “Il libro possibile”, e dialoga con lo scrittore pugliese Mario Desiati su attualità e letteratura.

«Il terrore vero che la criminalità ha della scrittura – sostiene Saviano – sta nei lettori: tanti occhi che valutano», che comprendono i meccanismi, rompendo il “clima epico” che aleggia attorno ai clan e che li rende temibili. «Dire che chi scrive di criminalità diffama il nostro Paese è come dire che l’oncologia diffonde il cancro», continua lo scrittore, che si è detto sconvolto di come importanti inchieste, come quella recente su Nicola Cosentino, passino inosservate alle cronache nazionali.

Saviano ha ricordato il suo stupore iniziale per i primi posti in classifica di Gomorra in paesi come l’Estonia o il Vietnam, ma «poi ho capito che anche quei paesi hanno forti problemi di mafia, ma pochi ne parlano, perciò hanno bisogno di capire i meccanismi dalla mafia più antica, la nostra».

Spesso la criminalità adotta il meccanismo della delegittimazione, diffondendo notizie false per screditare le sue vittime, «come ha fatto col giornalista Pippo Fava, di cui si disse a 24 ore dalla morte che toccava bambine, o con Don Peppe Diana, di cui diffusero la voce che nascondeva armi in sacrestia». Dicerie, a cui «il lettore medio crede facilmente».

Ed è per questo che bisogna difendere chi scrive perché «l’omertà non è solo non denunciare un reato che vedi coi tuoi occhi, ma è soprattutto non voler sapere, capire, conoscere». È un discorso appassionato quello di Saviano, che racconta un Paese che «si sta dividendo sempre più in banditi e persone sane». Un discorso, in cui cita Salman Rushdie e Varlam Salamov, di cui ricorda l’aneddoto in cui lo scrittore russo, sopravvissuto ai gulag, rifiuta di dare l’anima ai soldati che gliela avevano chiesta, subendo una punizione durissima per aver difeso qualcosa che fino ad allora credeva inesistente. «Come tutti i meridionali provo amore estremo e odio profondo per la mia terra», ha concluso lo scrittore, lanciando con i versi di Danilo Dolci un messaggio di speranza al Paese, che «può cambiare e crescere solo se sognato».

Fonte:La Stampa

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