Un saggio autorevole dimostra che i problemi del  Sud nascono nel 1860
                                                                   di Angelo Forgione
                                            
                                                                                                                                                            
È il problema italiano per  antonomasia, si chiama “questione meridionale”, quel complesso di  criticità che investono il Sud del paese così staccato non solo dal  resto della nazione ma dall’intera Europa. Eppure la parte bassa dello  “stivale” gode di una posizione privilegiata nel mediterraneo ed è un  delitto che proprio questo settore d’Europa porti con sé delle  problematiche così gravi da non consentirgli di spiccare il volo.
La  “questione meridionale” è una frase fatta, un luogo comune della  politica che non si preoccupa di trovargli soluzione e, per ovvi motivi,  determinarne le cause. Il fenomeno non nasce dal nulla ma ha una sua  origine che fino ad oggi nessuno si è preoccupato di determinare con  certezza. Come se il Meridione fosse atavicamente malmesso, dimenticato  da Dio per destino. La realtà è ben diversa e se c’è qualcuno che ha  dimenticato il Sud semmai sono gli uomini, quelli che hanno fatto la  Nazione e che da esso hanno attinto risorse riscrivendo in positivo la  propria storia e in negativo quella altrui, non certo la storia di un  unico popolo italico mai veramente esistito. In questi anni che ci hanno  portato alle imminenti e poco sentite celebrazioni del  centocinquantennale dell’Unità d’Italia, si è levata sempre più alta la  voce dei “meridionalisti” consapevoli, quelli che tentano di far  riconoscere le verità storiche di un Risorgimento indicato come  spartiacque per i destini di un Sud prospero e per questo invaso e  depredato dal Nord. Un coro sempre più ampio, ormai arginabile a fatica,  che trova sempre più vigore abbracciando i più giovani delle nostre  latitudini che avvertono l’esigenza antropologica di capire cosa è  accaduto realmente un secolo e mezzo fa nelle proprie terre, al proprio  popolo progenitore e a quelle circa 5.000 fabbriche meridionali in cui  si realizzavano tra le tante cose navi, ferrovie, motori a vapore,  guanti, tute per palombari, pianoforti, lavatrici, profumi e persino  quel sapone che invece qualcuno ha inteso propagandare come prodotto  portato dal Nord ai meridionali che invece di usarlo per igiene lo  avrebbero mangiato, loro che invece già conoscevano il bidet e i servizi  igienici ai settentrionali sconosciuti.
Ma se la  contrapposizione tra “meridionalisti” e “risorgimentalisti” è risultato  sin qui un confronto anche aspro tra due scuole di pensiero, non può  invece essere confutato il dato storico-economico-sociologico offerto  dal pisano Paolo Malanima, direttore dell’Istituto di Studi sulle  Società del Mediterraneo del CNR e dal Prof. Vittorio Daniele  dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro. Malanima e Daniele, con uno  studio approfondito sul Prodotto del Nord e del Sud d’Italia a partire  dal 1861, anno dell’Unità d’Italia, fino ad oggi, danno ragione ai  “meridionalisti” smentendo l’idea di un Regno delle Due Sicilie feudale e  povero e dimostrano inconfutabilmente che l’atavica “questione  meridionale” ha un inizio ben preciso datato 1861, stabilendo che il  divario attuale parte dopo il 1940.
Il saggio dal titolo “Il prodotto  delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)” evidenzia  che nel 1861 il Prodotto interno lordo pro-capite del Sud era pari a  quello del Nord per poi assottigliarsi sino a ridursi alla metà.
Analizzando  i dati del valore del Pil pro-capite nei diversi decenni, gli autori  del saggio traggono delle precise conclusioni. La prima è che in Italia  la crescita ineguale si è presentata da subito, cioè dal momento stesso  dell’unità politica del paese. Altresì i rilevanti divari fra le  regioni, in termini di prodotto pro-capite, non sussistevano prima  dell’Unità, periodo in cui il Meridione era persino in vantaggio in  alcuni settori sociali ed economici, e questo squilibrio si sia  manifestato sin dall’avvio della modernizzazione economica, fra il 1880 e  la “Grande Guerra”, accentuandosi gravemente nel “ventennio” fascista.  Nonostante poi il divario si sia ridotto sensibilmente fra il 1951 e il  1973, si è poi aggravato di nuovo in seguito alla riduzione dei tassi di  sviluppo dell’economia dai primi anni ’70 in poi.
Tutto ciò fu  avviato dal nuovo Governo Italiano, ovvero il Governo Piemontese “in  carriera” che con la sua politica di asfissia economica del Sud a favore  della crescita del Nord stabilì a tavolino le future gerarchie della  nascente nazione.
Il Sud era terra di primati anche internazionali e  nel corso di dieci anni la situazione fu rovesciata con una strategia  studiata a tavolino. Dei 668 milioni di lire totali di tutti i banchi  italiani, ben 443 erano del Meridione che li vide sfumare lentamente a  favore del Piemonte indebitato dalle sue guerre perse e, in generale, di  tutto il Nord.
Il Sud, inteso come nazione duosiciliana, era una  concreta potenza d’Europa e lo dimostra il premio come terzo paese al  mondo per sviluppo industriale (primo in Italia) ottenuto nel 1856  all’Esposizione Internazionale di Parigi. Ed era pronto a spiccare il  volo con l’apertura del del Canale di Suez, i cui lavori di scavo  partirono nel 1859, che avrebbe consentito di creare un produttivo  sistema di commercio integrato con le nascenti ferrovie che non erano un  lusso dei Borbone ma un complesso progetto di rete di trasporto  stroncato e cancellato dai piemontesi sotto una regia internazionale,  Inghilterra su tutte, preoccupata dell’espansione di uno stato  meridionale che faceva clamorosi passi da gigante. Che l’Unità d’Italia  sia avvenuta subito dopo non fu un caso.
La definizione  “questione meridionale” fu partorita nel 1873 durante una seduta del  Parlamento italiano quando la si usò per la prima volta per descrivere  le critiche condizioni economiche in cui il Mezzogiorno d’Italia era  piombato in conseguenza all’unificazione del paese. Da allora quella  definizione non è mai cambiata ed è divenuta sempre più inflazionata,  talmente cronicizzata e sclerotizzata da non destare più turbamento  alcuno. È anzi diventato, dal dopoguerra in poi, il cavallo di battaglia  delle cicliche e ripetitive campagne elettorali delle classi politiche  abituate al gioco delle promesse da non mantenere al fine di poterle  riformulare sempre uguali, identiche, alla successiva tornata  elettorale.
La verità è che la “questione meridionale” è l’Italia  stessa, è nata con l’Italia e ha la sua stessa età: 150 anni.
È  frutto marcio di una repressione della popolazione meridionale  battezzata “brigante” solo perchè difendeva patriotticamente la propria  terra da un’invasione che lo stesso Gramsci definì nel 1920 «una  dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia Meridionale e le  isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che  scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti».
È  frutto marcio della radicalizzazione delle mafie che hanno preso il  posto dello Stato nelle regioni Meridionali già dal giorno in cui  Garibaldi se ne servì per imporre il “suo” ordine pubblico al suo arrivo  a Napoli.
È frutto marcio di un’emigrazione che il Sud non aveva mai  conosciuto prima del 1860 e che è costata la perdita di risorse umane a  vantaggio di altri territori.
È frutto marcio di un progressivo  degrado paesaggistico e architettonico che ha trasformato la splendida  “Magna Grecia” in un territorio violentato da abusi e speculazioni.
È  frutto marcio del drenaggio delle risorse economiche delle banche del  Sud a quelle del Nord attuato con l’apertura al Sud di filiali della  Banca Nazionale mentre al Banco di Napoli era vietata l’apertura al  Nord, la prima vera truffa finanziaria della storia d’Italia alla quale  seguì quella ancor più grande chiamata “Legge sul corso forzoso” che  stabilì l’inconvertibilità della moneta della Banca Nazionale e la  convertibilità di quella del Banco di Napoli al fine di trasferire l’oro  del Sud al Nord che non ne aveva affatto.
È frutto marcio dello  smantellamento delle industrie nostrane, prime fra tutte le celebri  officine di Pietrarsa, architettato dal banchiere e imprenditore  genovese Carlo Bombrini, prima sostenitore delle aspirazioni di Cavour e  poi, per questo, Governatore della Banca Nazionale, che presentando il  piano economico-finanziario che avrebbe alienato tutti i beni del Regno  delle Due Sicilie, così disse: «Non dovranno mai essere più in grado di  intraprendere». Lui intraprese e fu tra i fondatori dell’Ansaldo che  beneficiò della neutralizzazione di Pietrarsa.
È frutto marcio  della denigrazione sistematica e immotivata del “Sudico” che è divenuto  “Sudicio”, una forma di razzismo che arriva ai giorni nostri in cui  molti degli stessi Meridionali sono convinti di essere veramente sudici  per stirpe.
Tutti problemi che ancora oggi persistono senza  soluzione di continuità e che non trovano misure di contrasto reali, al  di là di quelle propagandate con scarsa sostanzialità.
L’italia non  fu fatta con la volontà popolare ma prima con una guerra militare senza  dichiarazione da parte di un Nord che ha invaso il Sud, e poi con una  guerra militare-civile che ha mietuto vittime tra le donne, gli anziani e  i bambini. L’Italia fu fatta con il saccheggio e la distruzione di  interi paesi del Sud, con lo sterminio di migliaia di Meridionali  deportati al Forte di Fenestrelle, il primo vero campo di concentramento  della storia dove i corpi venivano fatti morire di freddo e fame per  poi essere gettati nella calce viva, privi di sepoltura. L’Italia fu  fatta con la “Legge Pica - Peruzzi”, prima vera legge razziale della  Destra storica nazionale che consentì la persecuzione dei Meridionali  perché tali. Altro che nazismo hitleriano che da tutto ciò attinse,  altro che prosopopea risorgimentale!
La “questione meridionale” è  una vasta voglia cutanea, una cicatrice presente da sempre sul corpo  d’Italia; si manifesta sulla sua parte inferiore quando nasce la nazione  italica e getta la parte più assolata del paese nell’arretratezza.  Diciamolo senza timore di smentita dal momento che anche gli studi lo  dimostrano, affermiamolo con certezza ora che le celebrazioni del  centocinquantennale dell’Unità d’Italia si avvicinano. Si abbia dunque  il coraggio di svuotare la ricorrenza di retorica e di rivestirla di  verità, affrontando quel “mostro” nascosto che è nel passato di tutti  gli italiani. Si ha forse timore di acclarare la vera storia per timore  che gli “invasi” scoprano di aver avuto un passato migliore e comincino a  pretenderne la restituzione?
La politica si assuma le sue reali  responsabilità di fronte ad un paese spaccato in due che è chiamato ad  amministrare e che tale resterà se non si farà luce sui misfatti dei  padri della nazione che invadono con nomi e monumenti le piazze e le  strade più importanti delle nostre città. E se le assumano anche i due  popoli d’Italia; quello settentrionale smettendo di denigrare il Sud  considerandolo una palla al piede e quello meridionale uscendo dallo  scoramento indotto e riappropriandosi della propria dignità sottratta.  Solo così si potrebbe ripartire verso un riequilibrio delle condizioni  di vita delle diverse parti del paese, nella ricerca reale di una vera  unità del popolo che non è mai stata.
«Abbiamo fatto l’Italia.  Ora si tratta di fare gli italiani», disse Massimo D’Azeglio subito dopo  l’unificazione; quegli italiani, dopo 150 anni, non si sono ancora  fatti e di questo passo forse mai si faranno. È specchio della nazione  il romanzo “Il Gattopardo” che già sul finire degli anni ’50 tradusse il  divario esistente tra Nord e Sud con una constatazione impietosa: «Mai  siamo stati tanto divisi come da quando siamo uniti».
saggio di  Vittorio Daniele e Paolo Malanima
http://www.paolomalanima.it/default_file/Articles/Daniele_%20Malanima.pdfdibattito  in radio sulla “questione meridionale” in chiave risorgimentale
http://www.youtube.com/watch?v=txTL4xgLN34Fonte: 
Napoli.com.
Un saggio autorevole dimostra che i problemi del  Sud nascono nel 1860
                                                                   di Angelo Forgione
                                            
                                                                                                                                                            
È il problema italiano per  antonomasia, si chiama “questione meridionale”, quel complesso di  criticità che investono il Sud del paese così staccato non solo dal  resto della nazione ma dall’intera Europa. Eppure la parte bassa dello  “stivale” gode di una posizione privilegiata nel mediterraneo ed è un  delitto che proprio questo settore d’Europa porti con sé delle  problematiche così gravi da non consentirgli di spiccare il volo.
La  “questione meridionale” è una frase fatta, un luogo comune della  politica che non si preoccupa di trovargli soluzione e, per ovvi motivi,  determinarne le cause. Il fenomeno non nasce dal nulla ma ha una sua  origine che fino ad oggi nessuno si è preoccupato di determinare con  certezza. Come se il Meridione fosse atavicamente malmesso, dimenticato  da Dio per destino. La realtà è ben diversa e se c’è qualcuno che ha  dimenticato il Sud semmai sono gli uomini, quelli che hanno fatto la  Nazione e che da esso hanno attinto risorse riscrivendo in positivo la  propria storia e in negativo quella altrui, non certo la storia di un  unico popolo italico mai veramente esistito. In questi anni che ci hanno  portato alle imminenti e poco sentite celebrazioni del  centocinquantennale dell’Unità d’Italia, si è levata sempre più alta la  voce dei “meridionalisti” consapevoli, quelli che tentano di far  riconoscere le verità storiche di un Risorgimento indicato come  spartiacque per i destini di un Sud prospero e per questo invaso e  depredato dal Nord. Un coro sempre più ampio, ormai arginabile a fatica,  che trova sempre più vigore abbracciando i più giovani delle nostre  latitudini che avvertono l’esigenza antropologica di capire cosa è  accaduto realmente un secolo e mezzo fa nelle proprie terre, al proprio  popolo progenitore e a quelle circa 5.000 fabbriche meridionali in cui  si realizzavano tra le tante cose navi, ferrovie, motori a vapore,  guanti, tute per palombari, pianoforti, lavatrici, profumi e persino  quel sapone che invece qualcuno ha inteso propagandare come prodotto  portato dal Nord ai meridionali che invece di usarlo per igiene lo  avrebbero mangiato, loro che invece già conoscevano il bidet e i servizi  igienici ai settentrionali sconosciuti.
Ma se la  contrapposizione tra “meridionalisti” e “risorgimentalisti” è risultato  sin qui un confronto anche aspro tra due scuole di pensiero, non può  invece essere confutato il dato storico-economico-sociologico offerto  dal pisano Paolo Malanima, direttore dell’Istituto di Studi sulle  Società del Mediterraneo del CNR e dal Prof. Vittorio Daniele  dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro. Malanima e Daniele, con uno  studio approfondito sul Prodotto del Nord e del Sud d’Italia a partire  dal 1861, anno dell’Unità d’Italia, fino ad oggi, danno ragione ai  “meridionalisti” smentendo l’idea di un Regno delle Due Sicilie feudale e  povero e dimostrano inconfutabilmente che l’atavica “questione  meridionale” ha un inizio ben preciso datato 1861, stabilendo che il  divario attuale parte dopo il 1940.
Il saggio dal titolo “Il prodotto  delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)” evidenzia  che nel 1861 il Prodotto interno lordo pro-capite del Sud era pari a  quello del Nord per poi assottigliarsi sino a ridursi alla metà.
Analizzando  i dati del valore del Pil pro-capite nei diversi decenni, gli autori  del saggio traggono delle precise conclusioni. La prima è che in Italia  la crescita ineguale si è presentata da subito, cioè dal momento stesso  dell’unità politica del paese. Altresì i rilevanti divari fra le  regioni, in termini di prodotto pro-capite, non sussistevano prima  dell’Unità, periodo in cui il Meridione era persino in vantaggio in  alcuni settori sociali ed economici, e questo squilibrio si sia  manifestato sin dall’avvio della modernizzazione economica, fra il 1880 e  la “Grande Guerra”, accentuandosi gravemente nel “ventennio” fascista.  Nonostante poi il divario si sia ridotto sensibilmente fra il 1951 e il  1973, si è poi aggravato di nuovo in seguito alla riduzione dei tassi di  sviluppo dell’economia dai primi anni ’70 in poi.
Tutto ciò fu  avviato dal nuovo Governo Italiano, ovvero il Governo Piemontese “in  carriera” che con la sua politica di asfissia economica del Sud a favore  della crescita del Nord stabilì a tavolino le future gerarchie della  nascente nazione.
Il Sud era terra di primati anche internazionali e  nel corso di dieci anni la situazione fu rovesciata con una strategia  studiata a tavolino. Dei 668 milioni di lire totali di tutti i banchi  italiani, ben 443 erano del Meridione che li vide sfumare lentamente a  favore del Piemonte indebitato dalle sue guerre perse e, in generale, di  tutto il Nord.
Il Sud, inteso come nazione duosiciliana, era una  concreta potenza d’Europa e lo dimostra il premio come terzo paese al  mondo per sviluppo industriale (primo in Italia) ottenuto nel 1856  all’Esposizione Internazionale di Parigi. Ed era pronto a spiccare il  volo con l’apertura del del Canale di Suez, i cui lavori di scavo  partirono nel 1859, che avrebbe consentito di creare un produttivo  sistema di commercio integrato con le nascenti ferrovie che non erano un  lusso dei Borbone ma un complesso progetto di rete di trasporto  stroncato e cancellato dai piemontesi sotto una regia internazionale,  Inghilterra su tutte, preoccupata dell’espansione di uno stato  meridionale che faceva clamorosi passi da gigante. Che l’Unità d’Italia  sia avvenuta subito dopo non fu un caso.
La definizione  “questione meridionale” fu partorita nel 1873 durante una seduta del  Parlamento italiano quando la si usò per la prima volta per descrivere  le critiche condizioni economiche in cui il Mezzogiorno d’Italia era  piombato in conseguenza all’unificazione del paese. Da allora quella  definizione non è mai cambiata ed è divenuta sempre più inflazionata,  talmente cronicizzata e sclerotizzata da non destare più turbamento  alcuno. È anzi diventato, dal dopoguerra in poi, il cavallo di battaglia  delle cicliche e ripetitive campagne elettorali delle classi politiche  abituate al gioco delle promesse da non mantenere al fine di poterle  riformulare sempre uguali, identiche, alla successiva tornata  elettorale.
La verità è che la “questione meridionale” è l’Italia  stessa, è nata con l’Italia e ha la sua stessa età: 150 anni.
È  frutto marcio di una repressione della popolazione meridionale  battezzata “brigante” solo perchè difendeva patriotticamente la propria  terra da un’invasione che lo stesso Gramsci definì nel 1920 «una  dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia Meridionale e le  isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che  scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti».
È  frutto marcio della radicalizzazione delle mafie che hanno preso il  posto dello Stato nelle regioni Meridionali già dal giorno in cui  Garibaldi se ne servì per imporre il “suo” ordine pubblico al suo arrivo  a Napoli.
È frutto marcio di un’emigrazione che il Sud non aveva mai  conosciuto prima del 1860 e che è costata la perdita di risorse umane a  vantaggio di altri territori.
È frutto marcio di un progressivo  degrado paesaggistico e architettonico che ha trasformato la splendida  “Magna Grecia” in un territorio violentato da abusi e speculazioni.
È  frutto marcio del drenaggio delle risorse economiche delle banche del  Sud a quelle del Nord attuato con l’apertura al Sud di filiali della  Banca Nazionale mentre al Banco di Napoli era vietata l’apertura al  Nord, la prima vera truffa finanziaria della storia d’Italia alla quale  seguì quella ancor più grande chiamata “Legge sul corso forzoso” che  stabilì l’inconvertibilità della moneta della Banca Nazionale e la  convertibilità di quella del Banco di Napoli al fine di trasferire l’oro  del Sud al Nord che non ne aveva affatto.
È frutto marcio dello  smantellamento delle industrie nostrane, prime fra tutte le celebri  officine di Pietrarsa, architettato dal banchiere e imprenditore  genovese Carlo Bombrini, prima sostenitore delle aspirazioni di Cavour e  poi, per questo, Governatore della Banca Nazionale, che presentando il  piano economico-finanziario che avrebbe alienato tutti i beni del Regno  delle Due Sicilie, così disse: «Non dovranno mai essere più in grado di  intraprendere». Lui intraprese e fu tra i fondatori dell’Ansaldo che  beneficiò della neutralizzazione di Pietrarsa.
È frutto marcio  della denigrazione sistematica e immotivata del “Sudico” che è divenuto  “Sudicio”, una forma di razzismo che arriva ai giorni nostri in cui  molti degli stessi Meridionali sono convinti di essere veramente sudici  per stirpe.
Tutti problemi che ancora oggi persistono senza  soluzione di continuità e che non trovano misure di contrasto reali, al  di là di quelle propagandate con scarsa sostanzialità.
L’italia non  fu fatta con la volontà popolare ma prima con una guerra militare senza  dichiarazione da parte di un Nord che ha invaso il Sud, e poi con una  guerra militare-civile che ha mietuto vittime tra le donne, gli anziani e  i bambini. L’Italia fu fatta con il saccheggio e la distruzione di  interi paesi del Sud, con lo sterminio di migliaia di Meridionali  deportati al Forte di Fenestrelle, il primo vero campo di concentramento  della storia dove i corpi venivano fatti morire di freddo e fame per  poi essere gettati nella calce viva, privi di sepoltura. L’Italia fu  fatta con la “Legge Pica - Peruzzi”, prima vera legge razziale della  Destra storica nazionale che consentì la persecuzione dei Meridionali  perché tali. Altro che nazismo hitleriano che da tutto ciò attinse,  altro che prosopopea risorgimentale!
La “questione meridionale” è  una vasta voglia cutanea, una cicatrice presente da sempre sul corpo  d’Italia; si manifesta sulla sua parte inferiore quando nasce la nazione  italica e getta la parte più assolata del paese nell’arretratezza.  Diciamolo senza timore di smentita dal momento che anche gli studi lo  dimostrano, affermiamolo con certezza ora che le celebrazioni del  centocinquantennale dell’Unità d’Italia si avvicinano. Si abbia dunque  il coraggio di svuotare la ricorrenza di retorica e di rivestirla di  verità, affrontando quel “mostro” nascosto che è nel passato di tutti  gli italiani. Si ha forse timore di acclarare la vera storia per timore  che gli “invasi” scoprano di aver avuto un passato migliore e comincino a  pretenderne la restituzione?
La politica si assuma le sue reali  responsabilità di fronte ad un paese spaccato in due che è chiamato ad  amministrare e che tale resterà se non si farà luce sui misfatti dei  padri della nazione che invadono con nomi e monumenti le piazze e le  strade più importanti delle nostre città. E se le assumano anche i due  popoli d’Italia; quello settentrionale smettendo di denigrare il Sud  considerandolo una palla al piede e quello meridionale uscendo dallo  scoramento indotto e riappropriandosi della propria dignità sottratta.  Solo così si potrebbe ripartire verso un riequilibrio delle condizioni  di vita delle diverse parti del paese, nella ricerca reale di una vera  unità del popolo che non è mai stata.
«Abbiamo fatto l’Italia.  Ora si tratta di fare gli italiani», disse Massimo D’Azeglio subito dopo  l’unificazione; quegli italiani, dopo 150 anni, non si sono ancora  fatti e di questo passo forse mai si faranno. È specchio della nazione  il romanzo “Il Gattopardo” che già sul finire degli anni ’50 tradusse il  divario esistente tra Nord e Sud con una constatazione impietosa: «Mai  siamo stati tanto divisi come da quando siamo uniti».
saggio di  Vittorio Daniele e Paolo Malanima
http://www.paolomalanima.it/default_file/Articles/Daniele_%20Malanima.pdfdibattito  in radio sulla “questione meridionale” in chiave risorgimentale
http://www.youtube.com/watch?v=txTL4xgLN34Fonte: 
Napoli.com.
 
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