Ricevo e posto:
n. 16, maggio 2009
DUE SICILIE: 22-23 MAGGIO, INSIEME NEL RICORDO DI FERDINANDO II
(Lettera Napoletana) Due giorni nel ricordo di Ferdinando II, grande Re e grande Napoletano, due giorni di festa tra Portici e Napoli nel programma delle celebrazioni organizzate dall’Editoriale Il Giglio e dal Movimento Neoborbonico. Si comincia venerdì 22 maggio alle 18 a Villa San Gennariello (Portici). Nell’antica fagianeria della Reggia Ferdinando II sarà commemorato con gli interventi di Marina Carrese, del Giglio, e del prof. Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico. Introdurrà la serata il dottor Giuseppe Nuzzo, presidente dell’Editoriale Il Giglio. L’Inno di Paisiello sarà eseguito al pianoforte dal maestro Ida Tramontano, che ha diretto l’ensemble “Nuove Armonie” nel cd inciso dal Giglio, e dalla pianista Concetta Di Somma, per accompagnare il soprano Stefania Tedesco. Seguirà un concerto con musiche di Paisiello e canzoni napoletane classiche. Una cena buffet concluderà la serata. Tutti i dettagli del programma e le informazione sulla serata sono disponibili sul sito www.editorialeilgiglio.it
Sabato 23 maggio, a Napoli, alle 16.30 davanti al Palazzo Reale un Picchetto d’onore saluterà l’anniversario dei 150 anni della morte del Re delle Due Sicilie ed il Cambio della Guardia riporterà i soldati borbonici, guidati da Alessandro Romano, al Largo di Palazzo.
Alle 18.00 nella Chiesa di San Ferdinando di Palazzo, antica parrocchia dei Re di Napoli, sarà celebrata la Missa de Angelis in suffragio del Sovrano delle Due Sicilie. L’Inno di Paisiello sarà cantato dal soprano Stefania Tedesco, all’organo il maestro Giuseppe Perucatti. (LN16/09)
DUE SICILIE: COME MORI’ FERDINANDO II, NUOVE IPOTESI SUL COMPLOTTO
(Lettera Napoletana) Non c’è da sperare in una storiografia accademica più oggettiva ed equilibrata neanche a 150 anni dalla morte di Ferdinando II, ma le ricerche di studiosi indipendenti, uniti ad una memoria popolare mai estinta e sempre più diffusa, continuano a rivalutare il Sovrano. Intanto, sulle ragioni della morte di Ferdinando II si affacciano nuove ipotesi che alimentano i dubbi sull’origine della malattia che lo stroncò il 22 maggio 1859, a 50 anni non ancora compiuti, e danno forza alla tesi dell’avvelenamento. Su questi argomenti Lettera Napoletana ha intervistato il prof. Gennaro De Crescenzo, studioso e presidente del Movimento Neoborbonico.
D. Possiamo sperare in una storiografia meno faziosa sulla figura e le opere di questo Re?
R. I 150 anni trascorsi possono fare sperare in una storiografia più equilibrata su Ferdinando II e sulla stessa unificazione italiana: ma non parliamo della storiografia ufficiale. Quella, purtroppo, continua a raccontarci una storia piena di retorica, di mistificazioni e di omissioni. E Ferdinando II è ancora quello delle leggende nere (e tutte false). La verità storica, invece, si diffonde sempre più grazie alle ricerche compiute dagli storici non “professionisti” ma spesso più scrupolosi e attendibili di quelli delle università o degli istituti di cultura lautamente finanziati con pubblico denaro.
D. Che cosa ha significato per il Regno delle Due Sicilie il governo di Ferdinando II ?
R. Considerati i pochi mesi di governo di Francesco II, Ferdinando fu l’ultimo vero Re delle Due Sicilie: l’ultimo Re a rappresentare un Sud forte, autonomo, ricco di primati positivi che camminava sulle sue gambe e a testa, altissima, in Italia e nel resto dell’Europa e del mondo. Conosciuti, rispettati e temuti, gli antichi Popoli delle Due Sicilie si sentivano rappresentati da quel Re che somigliava a loro e che, come loro, parlava usando la lingua napoletana.
Parliamo del Re della Napoli-Portici, delle opere pubbliche e delle bonifiche, dei ponti sospesi in ferro o delle grandi fabbriche metalmeccaniche di Pietrarsa o di Mongiana, delle grandi flotte mercantili e militari o dei cantieri di Castellammare, del Re che seppe regalarci i primati di un’industrializzazione e di un sistema fiscale tra i meno pesanti al mondo…
D. È opinione diffusa che, se Ferdinando II non fosse morto a soli 49 anni, l’invasione piemontese e garibaldina sarebbe stata fermata. Si può concordare su questo giudizio?
R. Se Ferdinando non fosse morto nel 1859, Garibaldi non sarebbe mai sbarcato in Sicilia e l’Italia non sarebbe stata unificata (e certamente non nel 1860). La consapevolezza, la fermezza e la lucidità di Ferdinando avrebbero impedito leggerezze e tradimenti e noi oggi, forse, continueremmo a essere Napoletani con la maiuscola. I carteggi dell’ambasciatore piemontese a Napoli con Cavour e la stampa internazionale dimostrano che i nemici del Regno aspettavano e favorirono la fine di quel Re troppo cattolico e troppo napoletano con il quale non si poteva trattare o scendere a patti o a compromessi. È significativa l’ironia di Ferdinando che, dopo l’attentato di Agesilao Milano, si preoccupa di “avvisare Torino delle sue ottime condizioni di salute”… Alla notizia, invece, che il granduca di Toscana aveva lasciato la sua città per una rivolta militare reagì gridando: «imbecille, è andato, non è degno di ritornarci» (il che ci rende l’idea di come si sarebbe comportato all’arrivo di Garibaldi a Napoli, ammesso che lo avesse mai fatto arrivare…. )
D. Lei sta studiando l’attentato di Agesilao Milano, episodio legato al sospetto di un avvelenamento di Re Ferdinando. Ci sono elementi nuovi che emergono?
R. Storici come Giacinto de’ Sivo o letterati come Ferdinando Russo hanno sostenuto la tesi dell’avvelenamento e del complotto. Ho microfilmato un opuscolo raro conservato nella Biblioteca di Firenze di un tale Catanoso, che descrive nei dettagli l’avvelenamento organizzato dai “settari”, riferendosi in particolare a quel Monsignor Michele Caputo che ospitò ad Ariano Irpino il Re nel gennaio 1859, durante il viaggio verso Bari per accogliere Maria Sofia di Wittelsbach, sposa di Francesco. Da quella notte i sintomi della malattia di sarebbero manifestati fino a portare alla morte Ferdinando dopo quattro mesi di agonia. Si tratta di quel Monsignor Caputo che si mise fuori dalla Chiesa e passò con Garibaldi vantandosi spesso di avere avvelenato il Re… Gli elementi di certezza per affermare che il Re morì avvelenato si potrebbero, però, avere solo da esami sui resti del corpo conservato a Santa Chiara. Più certa, invece è la tesi del complotto che da anni si stava organizzando per eliminare fisicamente l’ostacolo maggiore che si opponeva e si sarebbe opposto all’unificazione-conquista piemontese. Dal quadro clinico che ho sottoposto recentemente al prof. Gino Fornaciari, docente di Anatomia Patologica e Paleopatologia dell’Università di Pisa, risulterebbe, invece, una morte causata da un “ascesso saccato” procuratogli dalla ferita del famoso attentato subìto l’8 dicembre del 1856 per opera di Agesilao Milano. Finora la storiografia ufficiale ha minimizzato l’episodio e spesso lo ha giustificato come il gesto di un folle, ma il quadro appare molto più complesso e inquietante. Quello che emerge dallo studio delle carte sull’inchiesta ed il processo contro Agesilao Milano è un quadro sostanzialmente inedito in cui figurano, più volte, liberali, inglesi, massoni e murattiani insieme a figure come quelle di Cavour e di Mazzini. Un vero e proprio giallo internazionale: il Piemonte che “finge” di non sapere e di non intervenire (con la stessa tecnica del 1860), la massoneria che coordina e finanzia con il denaro britannico, alcuni generali dell’esercito napoletano coinvolti nell’inchiesta e artefici di un processo stranamente troppo rapido che portò alla morte di Milano dopo cinque giorni… Di fatto si trattò di un complotto andato a buon fine con qualche anno di ritardo che probabilmente era stato ordito più volte. Ne viene fuori l’immagine di un Regno la cui fine fu senz’altro eterodiretta. Altro che “implosione”, come si continua a raccontare nelle scuole, e altro che “risorgimento italiano”: siamo di fronte ad azioni terroristiche e regicidi tutt’altro che in linea con la retorica alla quale ci hanno abituati. (LN16/09)
DUE SICILIE: PER DE TRAZEGNIES UNA LAPIDE A SAN GIOVANNI INCARICO
(Lettera Napoletana) Una lapide in marmo adesso ricorda a S. Giovanni Incarico (Frosinone), in quella che era l’Alta Terra di Lavoro delle Due Sicilie, il legittimista belga Alfred de Trazegnies che venne a combattere per Francesco II di Borbone e fu catturato e fucilato dai piemontesi l’11 novembre 1861. La lapide è stata inaugurata il 9 maggio scorso in viale Rimembranza con una cerimonia alla presenza del sindaco di San Giovanni Incarico, Antonio Salvati, dell’assessore alla cultura, Daniele Piccirilli, che più di tutti ha creduto in questa operazione di recupero della memoria storica, di altre autorità locali e di legittimisti, borbonici, e di studiosi della storia delle Due Sicilie giunti da diverse regioni. Presente anche un discendente del generoso nobile belga, Olivier de Trazegnies. La banda “Vincenzo Bellini” ha eseguito l’Inno di Paisiello, un sacerdote ha benedetto la lapide ed ha recitato una preghiera alla memoria dello sfortunato difensore della legittimità in un’atmosfera commossa. L’iniziativa della lapide è stata ideata dal dottor Giovanni Salemi e da un gruppo di studiosi della storia delle Due Sicilie. Tra essi, l’avvocato Ferdinando Corradini ed il giornalista Fernando Riccardi. Un convegno nel Centro culturale polivalente di S. Giovanni Incarico ha ricostruito la vicenda ideale ed umana di Alfred de Trazegnies ed i fatti d’armi del 1861 in Alta di Terra Lavoro.
Il marchese Alfred de Trazegnies, nacque a Namur (Belgio) nel 1831. Cattolico, “totalmente devoto alla legittimità dei governi”, come ha ricordato il prof. Marco Sbardella, dell’Università di Cassino, (cfr. Studi Cassinati n.14/ 2000) giunse a Roma nell’ottobre 1861. La sua intenzione era quella di unirsi agli insorti borbonici che combattevano nelle Calabrie. Sulla propria divisa aveva fatto ricamare una croce, un cuore e la scritta “Dieu et le Roi”. Il 9 novembre, de Trazegnies si aggregò alla banda di Luigi Alonzi, detto Chiavone. L’11 novembre 1861 gli insorti borbonici attaccarono il castello di Isoletta, difeso da un distaccamento piemontese e lo conquistarono, poi occuparono San Giovanni Incarico, dove le abitazioni dei liberali furono date alle fiamme. Ma i piemontesi si riorganizzarono e due loro compagnie, lo stesso giorno, riconquistarono il paese dopo uno scontro nel quale gli insorti ebbero 57 caduti. Almeno 30 di essi, anche se le fonti non sono concordi, furono fucilati. Tra essi, il marchese Alfred de Trazegnies. I piemontesi gli negarono un rinvio di tre ore della esecuzione e decisero di fucilarlo alle spalle nonostante egli avesse chiesto di poter guardare in faccia il plotone di esecuzione. De Trazegnies fu colpito alla nuca da un colpo di fucile e gettato nudo, insieme ad altri insorti, in una fossa comune di un cimitero utilizzato per le vittime del colera, in via Matrice, a S. Giovanni Incarico. Con molta difficoltà le truppe francesi di stanza nello Stato Pontificio riuscirono a recuperarne il corpo dopo otto giorni. La salma fu tumulata a Roma, nella chiesa di San Gioacchino e Sant’Anna, in via del Quirinale. (LN16/09)
ABORTO: SONDAGGIO NEGLI USA, IL 51% È CONTRARIO
(Lettera Napoletana) Il 51% degli americani si definisce “pro-life” ed è contrario all’aborto, mentre solo il 42% si definisce “pro-choice” (per la libera scelta). Questo il risultato di un sondaggio Gallup condotto negli Usa tra il 7 ed il maggio scorsi. Il 51% di oppositori dell’aborto segna il punto più alto raggiunto dai difensori del diritto alla vita a partire dal 1995, mentre il livello di consenso alla “libertà di aborto” è il più basso dalla stessa data. Tra le donne, si dichiara contro l’aborto il 49%, mentre il 44% sostiene la “libera scelta”. Tra gli uomini gli antiabortisti sono il 54%, mentre i “pro-choice” sono il 39%. Ancora nel 2008 – rileva il sito Lifenews.com – i sondaggi della stessa Gallup davano una maggioranza del 6% agli abortisti. Aumenta anche il numero degli americani che ritiene l’aborto “illegale in ogni caso”, che tocca il 23%, la cifra più alta negli ultimi 15 anni. Il 53% ritiene invece che potrebbe essere ammesso solo in alcuni “casi eccezionali”. Il sondaggio Gallup non specifica tali casi, ma altri sondaggi – osserva Lifenews.com – mostrano che i casi considerati ammissibili sono solo quelli di pericolo di vita della madre, stupro ed incesto, che totalizzano il 2-3% degli aborti eseguiti negli Usa. (LN16/09).
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