domenica 21 dicembre 2008

Savoia senza vergogna


Chiuso nella sua cella nel carcere di Potenza, la sera del 21 giugno Vittorio Emanuele di Savoia è in vena di raccontar di sé al coimputato Rocco Migliardi. Parte dai suoi precedenti giudiziari, che sono certamente un argomento adatto alla situazione. Anche perché lui, il Savoia, ha di che vantarsi. Racconta quella storia di quasi trent'anni fa, quando lo accusarono di aver ammazzato un uomo, anzi un ragazzo, all'isola di Cavallo in Corsica, durante una lite tra yachtmen, in cui tra l'altro la vittima non c'entrava niente. Fu assolto, Vittorio Emanuele.

E ora, davanti al compagno di cella, ci ride sopra a quella assoluzione: «Anche se avevo torto, devo dire che li ho fregati». Parla dei giudici francesi: «Eccezionale... Venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità pubbliche. Il procuratore aveva chiesto cinque anni e sei mesi. Ma ero sicuro di vincere. Ero più che sicuro».

Nella cella c'era una microspia, l'aveva fatta mettere il pm Henry John Woodcock per continuare a indagare sul giro di corruzione e tangenti che aveva portato Savoia in carcere. Tutto quello che Vittorio Emanuele diceva finiva su un nastro magnetico. Il suo racconto di quel 18 agosto 1978, quando per un tender scomparso andò a litigare con il medico romano Niki Pende, suo vicino di panfilo nel porto di Cavallo, portandosi appresso la carabina.

Sparò in aria, poi un secondo colpo raggiunse il diciannovenne Dirk Hamer, addormentato sul ponte di un'altra barca, che per quella ferita morì mesi dopo in ospedale. Savoia ricorda ancora tutto molto bene, dinamica della lite e calibro del fucile: «Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga. Pallottola trenta zero tre».

Adesso questo racconto Vittorio Emanuele se lo ritrova pari pari nell'ordinanza con la quale il gip Rocco Pavese motiva la decisione di non revocare il divieto di espatrio imposto all'imputato dal tribunale di Potenza dopo la scarcerazione. E se lo ritrova come uno dei motivi che hanno orientato il giudice. Pavese conferma quello che già scrisse il Riesame, e cioè che il pericolo di fuga era favorito dalla «disponibilità di abitazioni all'estero, le ingenti risorse economiche dell'indagato e la fitta rete di rapporti internazionali da lui instaurati con persone, enti e governi», ma ci aggiunge anche altro, proprio in considerazione dell'ascolto di quei nastri.

Scrive che Vittorio Emanuele dimostra «cinismo e disprezzo per la legittima attività investigativa e giurisdizionale» e che questo suo atteggiamento è una «ulteriore dimostrazione del persistere dell'esigenza cautelare».

Anche perché non c'è soltanto quell'intercettazione tra le carte che riempiono il fascicolo dedicato a Savoia. Ce n'è un'altra, per esempio, in cui l'imputato, dopo la scarcerazione, parla al telefono con un conoscente. È il 28 luglio, e Vittorio Emanuele parla di quelli che indagano su di lui: «Sono dei poveretti, degli invidiosi, degli stronzi», dice pur sapendo di essere tenuto sotto controllo.

Infatti subito aggiunge: «Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando... Sono dei morti di fame, non hanno un soldo, devono rimanere tutta la giornata ad ascoltare, mentre probabilmente la moglie gli fa le corna».
Nel frattempo lui deve rimanere in Italia. Nonostante dissenta, affidando al portavoce di famiglia una nota in cui è scritto che sarà presentato appello contro la decisione del gip, che le intercettazioni del racconto in cella riguardano vicende che «non sono attinenti con le indagini in corso», e che comunque si tratta di frasi «estrapolate dal loro contesto».

Dagospia 10 Settembre 2006

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Commento di Antonio Ciano (10/06/06 23:18:50)

Nel 1863 sulle montagne tra Arienzo e Santa Maria a Vico fu preso Antonio Orsolino, nato a Casalnuovo Monterotaro di Foggia, pastore ancora in erba, di anni 12 (dodici), processato per brigantaggio dal tribunale di guerra di Caserta e condannato alla fucilazione immediata secondo gli articoli 596& 1 e 247 PARAGRAFO 1 DEL CODICE MILITARE.Il Ragazzino andò fiero davanti al plotone di esecuzione, certo di imitare i suaoi eroi, certo di aver difeso le sue pecore dalle ruberie dei soldati savoiardi, certo di essersi comportato da vero brigante,cioè da vero partigiano delle due sicilie contro i piemontesi invasori ed assassini.
Nel Sud nel 1860 e dintorni i meridionali morti fucilati furono circa un milione, le città distrutte ed eccidiate un centinaio, tutti i raccolti bruciati, gli armenti sequestrati, il Sud messo a ferro e fuoco in una guerra civile che quegli assassini e criminali di guerra dei savoia appellarono Lotta di Repressione del Brigantaggio. Vittorio Emaneuele secondo invase l''ex Regno delle Due Sicilie senza dichiarazione di guerra e perciò criminale di guerra.
Quel Savoia era figlio di un macellaio di Firenze, certo Tanaca, che all'età di sei anni sostituì il vero Vittorio Emanuele morto in un incendio nella sua culla. Cmq da figlio di macellaio il Vittorione divenne un vero Chianghiere, le sue colpe sono tremende, e spero, la sua salma venga presto tolta dal Pantheo in quanto la puzza arriva fino a Gaeta che mise a ferro e fuoco con 160 mila bombe.
Gli avi di questo sig Vittorio emanuele savoia si macchiarono di colpe orrende. Assaltarono il centro sud mietendo morte e dolore, fame e disperazione, e soprattutto una emigrazione biblica che paghiamo ancora: 25 milioni di perosne han dovuto abbandonare le nostre terre per colpa di quella invasione assassina. Questo signore ha ucciso una sola persona, tale Dirk Hammer,e sembra avere nel DNA la ferocia del Chianghiere di famiglia, questi ce l'hanno nel loro DNA.

Se volete sapere di quante stragi si son macchiati questi assassini potete consultare un libro in circolazione da poco:"Le stragi e gli eccidi dei savoia". Antonio Orsolino, di anni 12 andò fiero verso il plotone di esecuzione per aver difeso il suo gregge, questo signore, il Sig. Emanuele Savoia, Principe di Napoli? si vergognasse di essere un principe, se lo fosse si siuciderebbe per la vergogna, si è dimostrato solo un magnaccia. Dovrebbe marcire in un carcere a vita, in Francia, patria delle Revolution liberal massonica avrebbero dovuto tagliargli la testa, in Italia è ancora oggi osannato e portato sul piccolo schermo da piccoli massoni come lui, ogni riferimento piduista e puramente casuale. Kossiga alla notizia del suo arresto sbavò un comunicato contro il PM di Potenza, non conosceva per intero le intercettazioni, il Savoia praticamente gli ha detto che puzza di capra, lui che è bisnipote di macellai, parlo del savoia, se ne intende.

Grazie per la vostra ospitalità.

Fonte:Marcello Saponaro

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Chiuso nella sua cella nel carcere di Potenza, la sera del 21 giugno Vittorio Emanuele di Savoia è in vena di raccontar di sé al coimputato Rocco Migliardi. Parte dai suoi precedenti giudiziari, che sono certamente un argomento adatto alla situazione. Anche perché lui, il Savoia, ha di che vantarsi. Racconta quella storia di quasi trent'anni fa, quando lo accusarono di aver ammazzato un uomo, anzi un ragazzo, all'isola di Cavallo in Corsica, durante una lite tra yachtmen, in cui tra l'altro la vittima non c'entrava niente. Fu assolto, Vittorio Emanuele.

E ora, davanti al compagno di cella, ci ride sopra a quella assoluzione: «Anche se avevo torto, devo dire che li ho fregati». Parla dei giudici francesi: «Eccezionale... Venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità pubbliche. Il procuratore aveva chiesto cinque anni e sei mesi. Ma ero sicuro di vincere. Ero più che sicuro».

Nella cella c'era una microspia, l'aveva fatta mettere il pm Henry John Woodcock per continuare a indagare sul giro di corruzione e tangenti che aveva portato Savoia in carcere. Tutto quello che Vittorio Emanuele diceva finiva su un nastro magnetico. Il suo racconto di quel 18 agosto 1978, quando per un tender scomparso andò a litigare con il medico romano Niki Pende, suo vicino di panfilo nel porto di Cavallo, portandosi appresso la carabina.

Sparò in aria, poi un secondo colpo raggiunse il diciannovenne Dirk Hamer, addormentato sul ponte di un'altra barca, che per quella ferita morì mesi dopo in ospedale. Savoia ricorda ancora tutto molto bene, dinamica della lite e calibro del fucile: «Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga. Pallottola trenta zero tre».

Adesso questo racconto Vittorio Emanuele se lo ritrova pari pari nell'ordinanza con la quale il gip Rocco Pavese motiva la decisione di non revocare il divieto di espatrio imposto all'imputato dal tribunale di Potenza dopo la scarcerazione. E se lo ritrova come uno dei motivi che hanno orientato il giudice. Pavese conferma quello che già scrisse il Riesame, e cioè che il pericolo di fuga era favorito dalla «disponibilità di abitazioni all'estero, le ingenti risorse economiche dell'indagato e la fitta rete di rapporti internazionali da lui instaurati con persone, enti e governi», ma ci aggiunge anche altro, proprio in considerazione dell'ascolto di quei nastri.

Scrive che Vittorio Emanuele dimostra «cinismo e disprezzo per la legittima attività investigativa e giurisdizionale» e che questo suo atteggiamento è una «ulteriore dimostrazione del persistere dell'esigenza cautelare».

Anche perché non c'è soltanto quell'intercettazione tra le carte che riempiono il fascicolo dedicato a Savoia. Ce n'è un'altra, per esempio, in cui l'imputato, dopo la scarcerazione, parla al telefono con un conoscente. È il 28 luglio, e Vittorio Emanuele parla di quelli che indagano su di lui: «Sono dei poveretti, degli invidiosi, degli stronzi», dice pur sapendo di essere tenuto sotto controllo.

Infatti subito aggiunge: «Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando... Sono dei morti di fame, non hanno un soldo, devono rimanere tutta la giornata ad ascoltare, mentre probabilmente la moglie gli fa le corna».
Nel frattempo lui deve rimanere in Italia. Nonostante dissenta, affidando al portavoce di famiglia una nota in cui è scritto che sarà presentato appello contro la decisione del gip, che le intercettazioni del racconto in cella riguardano vicende che «non sono attinenti con le indagini in corso», e che comunque si tratta di frasi «estrapolate dal loro contesto».

Dagospia 10 Settembre 2006

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Commento di Antonio Ciano (10/06/06 23:18:50)

Nel 1863 sulle montagne tra Arienzo e Santa Maria a Vico fu preso Antonio Orsolino, nato a Casalnuovo Monterotaro di Foggia, pastore ancora in erba, di anni 12 (dodici), processato per brigantaggio dal tribunale di guerra di Caserta e condannato alla fucilazione immediata secondo gli articoli 596& 1 e 247 PARAGRAFO 1 DEL CODICE MILITARE.Il Ragazzino andò fiero davanti al plotone di esecuzione, certo di imitare i suaoi eroi, certo di aver difeso le sue pecore dalle ruberie dei soldati savoiardi, certo di essersi comportato da vero brigante,cioè da vero partigiano delle due sicilie contro i piemontesi invasori ed assassini.
Nel Sud nel 1860 e dintorni i meridionali morti fucilati furono circa un milione, le città distrutte ed eccidiate un centinaio, tutti i raccolti bruciati, gli armenti sequestrati, il Sud messo a ferro e fuoco in una guerra civile che quegli assassini e criminali di guerra dei savoia appellarono Lotta di Repressione del Brigantaggio. Vittorio Emaneuele secondo invase l''ex Regno delle Due Sicilie senza dichiarazione di guerra e perciò criminale di guerra.
Quel Savoia era figlio di un macellaio di Firenze, certo Tanaca, che all'età di sei anni sostituì il vero Vittorio Emanuele morto in un incendio nella sua culla. Cmq da figlio di macellaio il Vittorione divenne un vero Chianghiere, le sue colpe sono tremende, e spero, la sua salma venga presto tolta dal Pantheo in quanto la puzza arriva fino a Gaeta che mise a ferro e fuoco con 160 mila bombe.
Gli avi di questo sig Vittorio emanuele savoia si macchiarono di colpe orrende. Assaltarono il centro sud mietendo morte e dolore, fame e disperazione, e soprattutto una emigrazione biblica che paghiamo ancora: 25 milioni di perosne han dovuto abbandonare le nostre terre per colpa di quella invasione assassina. Questo signore ha ucciso una sola persona, tale Dirk Hammer,e sembra avere nel DNA la ferocia del Chianghiere di famiglia, questi ce l'hanno nel loro DNA.

Se volete sapere di quante stragi si son macchiati questi assassini potete consultare un libro in circolazione da poco:"Le stragi e gli eccidi dei savoia". Antonio Orsolino, di anni 12 andò fiero verso il plotone di esecuzione per aver difeso il suo gregge, questo signore, il Sig. Emanuele Savoia, Principe di Napoli? si vergognasse di essere un principe, se lo fosse si siuciderebbe per la vergogna, si è dimostrato solo un magnaccia. Dovrebbe marcire in un carcere a vita, in Francia, patria delle Revolution liberal massonica avrebbero dovuto tagliargli la testa, in Italia è ancora oggi osannato e portato sul piccolo schermo da piccoli massoni come lui, ogni riferimento piduista e puramente casuale. Kossiga alla notizia del suo arresto sbavò un comunicato contro il PM di Potenza, non conosceva per intero le intercettazioni, il Savoia praticamente gli ha detto che puzza di capra, lui che è bisnipote di macellai, parlo del savoia, se ne intende.

Grazie per la vostra ospitalità.

Fonte:Marcello Saponaro

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