giovedì 4 settembre 2008

Sull'accordo con la Libia parla Angelo del Boca, lo storico del colonialismo italiano



Di Tommaso Di Francesco



Berlusconi annuncia dal vertice di Bengasi con Gheddafi l'accordo «storico» che «pone fine a 40 anni di malintesi» e a risarcimento del «periodo coloniale italiano».
Verranno corrisposti a Tripoli «cinque miliardi di dollari, 250 milioni all'anno per 20 anni», con l'impegno a costruire un'autostrada costiera dal confine tunisino a quello egiziano.

Dunque, dopo quattordici anni di promesse sue e dei governi di centrosinistra, il Cavaliere c'è riuscito.

Ne parliamo con lo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca.

Quali sono le novità di questo accordo, dopo anni di promesse e annunci?

L'accordo è importante anche per la cifra, anche se so che c'è stata una lunga contrattazione. I libici insistevano per sei miliardi di dollari - a proposito, si tratta di dollari o di euro? Ma soprattutto bisogna capire se si tratta di un accordo «commerciale» che tiene conto della nuova dimensione internazionale di Stato «non più canaglia» per gli Stati uniti che ormai fanno la fila con le loro multinazionali per il metano e il petrolio di Tripoli, oppure di un patto di amicizia come si era ventilato negli ultimi giorni. Sono due cose assai diverse. Perché se fosse ufficialmente un «trattato di amicizia», penso che finalmente l'Italia con questo atto avrebbe pronunciato una condanna definitiva del colonialismo, che la Libia ha vanamente atteso in tutto il dopoguerra.
È molto importante stabilire questo. Perché cinque miliardi di dollari non si risolvono il nodo delle nostre responsabilità storiche. Il colonialismo italiano è costato alla Libia 100.000 morti, quando gli abitanti erano 800.000.
Vuol dire che un libico su otto è stato ucciso per difendere il proprio paese.

L'Italia è davvero consapevole di questo passato coloniale africano?

Ci dicono che le cose non stanno così l'iniziativa provocatoria di Calderoni due anni fa con la sua maglietta anti-islamica e quella di Gianfranco Fini che come vice-premier pretendeva solo quattro anni fa che Tripoli non celebrasse più la sconfitta italiana subita a Sciara Sciat nel 1911.
Una conferma di questo «revisionismo storico» governativo viene in questi giorni anche dalla decisione di cambiare il nome dell'aeroporto Pio La Torre di Comiso: si chiamerà Vincenzo Magliocco, dal nome del generale dell'aviazione responsabile dei bombardamenti all'iprite contro l'Etiopia.
Un criminale di guerra famigerato in tutta l'Africa e da noi riabilitato come un eroe perché venne giustiziato nel 1936 dai partigiani etiopi.

Che cosa è stato quello che Berlusconi chiama «periodo coloniale»?

La nostra occupazione militare è durata dal 1911 al 1943, ha portato non solo una devastazione, con migliaia di caduti in combattimento contro una guerra di guerriglia conclusasi solo nel 1932 con la vittoria delle truppe fasciste, di fucilati, di impiccati. È stato un modello di moderno genocidio con il tentativo di distruggere una cultura e una storia.
Fra le barbarie dell'occupazione italiana vale la pena ricordare la creazione nella Sirtica di tredici campi di concentramento dove fu radunata tutta la popolazione della Cirenaica per impedire che aiutasse i combattenti di Omar al Mukhtar, leader della lotta di liberazione libica impiccato dagli italiani a Soluch nel 1931. In 100.000 furono trasferiti in maniera coatta, molti venivano deportati dalla Marmarica, regione presso l'Egitto, con un cammino di più di mille chilometri, anche d'inverno, e chi non resisteva agli stenti veniva abbattuto sul posto.
Alla fine nel 1932 i campi di concentramento dopo la vittoria sulla resistenza libica vennero chiusi e risultarono morte 40.000 persone, di fame, malattie e decimazioni subite ad ogni attacco dei combattenti libici.
Senza contare i più di quattromila deportati nei penitenziari italiani, sulle isole come Favignana e Ustica; una realtà per la quale esiste un buon accordo già dal 1998 realizzato dall'allora ministro degli esteri Dini e voluto direttamente da Gheddafi, che ha impegnato l'istituto storico dell'Isiao alla ricostruzione della loro storia.In cambio dei finanziamenti italiani, che però dovrebbero essere risarcimenti per il passato, secondo Berlusconi la Libia si impegna «a rafforzare il pattugliamento anti-clandestini».
Per il ministro Maroni è cosa fatta già dai prossimi giorni.

Cosa pensa di questo «scambio»?

Ho qualche perplessità su questa immediatezza.
Può trattarsi solo di un processo lungo. E poi dai primi resoconti, si dice che «alcune questioni sono in discussione», c'è una commissione bilaterale che tratta. Strano per un accordo «storico». Come per lo sminamento, un impegno preso a parole da almeno trent'anni.
Che non sarebbe un atto simbolico: si pensi che è ancora minata buona parte della Cirenaica, che ogni anno 50 persone muoiono saltando sulle mine, che lo stesso Gheddafi è rimasto ferito da una mina italiana. Ora con il super-controllo dell'immigrazione chiediamo alla Libia di fare una cosa molto pesante.
Perché gli immigrati disperati fuggono dalla miseria della grande Africa centrale, che praticamente non ha confini con la Libia, e che la stessa Libia è costituita da un a parte di popolazione immigrata.
Ora, immemori dei «campi» coloniali, chiediamo di fare nuovi campi d'accoglienza che altro non sono che nuovi, piccoli campi di concentramento
.

ilmanifesto.it 30/08/08
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Di Tommaso Di Francesco



Berlusconi annuncia dal vertice di Bengasi con Gheddafi l'accordo «storico» che «pone fine a 40 anni di malintesi» e a risarcimento del «periodo coloniale italiano».
Verranno corrisposti a Tripoli «cinque miliardi di dollari, 250 milioni all'anno per 20 anni», con l'impegno a costruire un'autostrada costiera dal confine tunisino a quello egiziano.

Dunque, dopo quattordici anni di promesse sue e dei governi di centrosinistra, il Cavaliere c'è riuscito.

Ne parliamo con lo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca.

Quali sono le novità di questo accordo, dopo anni di promesse e annunci?

L'accordo è importante anche per la cifra, anche se so che c'è stata una lunga contrattazione. I libici insistevano per sei miliardi di dollari - a proposito, si tratta di dollari o di euro? Ma soprattutto bisogna capire se si tratta di un accordo «commerciale» che tiene conto della nuova dimensione internazionale di Stato «non più canaglia» per gli Stati uniti che ormai fanno la fila con le loro multinazionali per il metano e il petrolio di Tripoli, oppure di un patto di amicizia come si era ventilato negli ultimi giorni. Sono due cose assai diverse. Perché se fosse ufficialmente un «trattato di amicizia», penso che finalmente l'Italia con questo atto avrebbe pronunciato una condanna definitiva del colonialismo, che la Libia ha vanamente atteso in tutto il dopoguerra.
È molto importante stabilire questo. Perché cinque miliardi di dollari non si risolvono il nodo delle nostre responsabilità storiche. Il colonialismo italiano è costato alla Libia 100.000 morti, quando gli abitanti erano 800.000.
Vuol dire che un libico su otto è stato ucciso per difendere il proprio paese.

L'Italia è davvero consapevole di questo passato coloniale africano?

Ci dicono che le cose non stanno così l'iniziativa provocatoria di Calderoni due anni fa con la sua maglietta anti-islamica e quella di Gianfranco Fini che come vice-premier pretendeva solo quattro anni fa che Tripoli non celebrasse più la sconfitta italiana subita a Sciara Sciat nel 1911.
Una conferma di questo «revisionismo storico» governativo viene in questi giorni anche dalla decisione di cambiare il nome dell'aeroporto Pio La Torre di Comiso: si chiamerà Vincenzo Magliocco, dal nome del generale dell'aviazione responsabile dei bombardamenti all'iprite contro l'Etiopia.
Un criminale di guerra famigerato in tutta l'Africa e da noi riabilitato come un eroe perché venne giustiziato nel 1936 dai partigiani etiopi.

Che cosa è stato quello che Berlusconi chiama «periodo coloniale»?

La nostra occupazione militare è durata dal 1911 al 1943, ha portato non solo una devastazione, con migliaia di caduti in combattimento contro una guerra di guerriglia conclusasi solo nel 1932 con la vittoria delle truppe fasciste, di fucilati, di impiccati. È stato un modello di moderno genocidio con il tentativo di distruggere una cultura e una storia.
Fra le barbarie dell'occupazione italiana vale la pena ricordare la creazione nella Sirtica di tredici campi di concentramento dove fu radunata tutta la popolazione della Cirenaica per impedire che aiutasse i combattenti di Omar al Mukhtar, leader della lotta di liberazione libica impiccato dagli italiani a Soluch nel 1931. In 100.000 furono trasferiti in maniera coatta, molti venivano deportati dalla Marmarica, regione presso l'Egitto, con un cammino di più di mille chilometri, anche d'inverno, e chi non resisteva agli stenti veniva abbattuto sul posto.
Alla fine nel 1932 i campi di concentramento dopo la vittoria sulla resistenza libica vennero chiusi e risultarono morte 40.000 persone, di fame, malattie e decimazioni subite ad ogni attacco dei combattenti libici.
Senza contare i più di quattromila deportati nei penitenziari italiani, sulle isole come Favignana e Ustica; una realtà per la quale esiste un buon accordo già dal 1998 realizzato dall'allora ministro degli esteri Dini e voluto direttamente da Gheddafi, che ha impegnato l'istituto storico dell'Isiao alla ricostruzione della loro storia.In cambio dei finanziamenti italiani, che però dovrebbero essere risarcimenti per il passato, secondo Berlusconi la Libia si impegna «a rafforzare il pattugliamento anti-clandestini».
Per il ministro Maroni è cosa fatta già dai prossimi giorni.

Cosa pensa di questo «scambio»?

Ho qualche perplessità su questa immediatezza.
Può trattarsi solo di un processo lungo. E poi dai primi resoconti, si dice che «alcune questioni sono in discussione», c'è una commissione bilaterale che tratta. Strano per un accordo «storico». Come per lo sminamento, un impegno preso a parole da almeno trent'anni.
Che non sarebbe un atto simbolico: si pensi che è ancora minata buona parte della Cirenaica, che ogni anno 50 persone muoiono saltando sulle mine, che lo stesso Gheddafi è rimasto ferito da una mina italiana. Ora con il super-controllo dell'immigrazione chiediamo alla Libia di fare una cosa molto pesante.
Perché gli immigrati disperati fuggono dalla miseria della grande Africa centrale, che praticamente non ha confini con la Libia, e che la stessa Libia è costituita da un a parte di popolazione immigrata.
Ora, immemori dei «campi» coloniali, chiediamo di fare nuovi campi d'accoglienza che altro non sono che nuovi, piccoli campi di concentramento
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ilmanifesto.it 30/08/08

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