lunedì 8 settembre 2008

Insorgenza: una resistenza dimenticata


Di Oscar SANGUINETTI


tratto da: Il Timone, anno 3 (2001) luglio/agosto, n. 14, p. 24-25.


Le insorgenze popolari anti-napoleoniche: resistenza alla modernità, estremo sussulto di vitalità della cristianità e cartina al tornasole dell'identità italiana.


Se è vero che una parte degli italiani - gli intellettuali progressisti e gli aristocratici e i borghesi più influenzati dalla cultura illuministica - esulta di fronte all'autentico terremoto che poco più di duecento anni fa provoca l'irruzione degli eserciti del Direttorio rivoluzionario di Parigi nella Penisola, è altrettanto vero che molti di essi, soprattutto nei ceti umili, leggono negativamente il crollo delle antiche istituzioni e le novità politiche introdotte dai francesi, dando vita a quell'insieme di manifestazioni di resistenza e di lotta - che va dalla disobbedienza civile a vere e proprie insurrezioni popolari, dalla guerriglia fino alla guerra a fianco degli eserciti anti-napoleonici - che va ormai sotto il nome di «Insorgenza».

Gli italiani sono per lo più all'oscuro di questa pagina di storia, perché nei manuali scolastici se ne parla appena e quelle poche volte per censurarla, non essendo infatti interesse della cultura «egemone» che ci si soffermi troppo sui movimenti di opposizione che accompagnano il processo risorgimentale fin dalle sue origini. Solo da poco essa inizia a essere narrata, soprattutto dopo i bicentenario dei moti del 1796-1799, che ha ridato impulso agli studi, pur nell'indifferenza dei Circuiti culturali ufficiali, quali hanno significativamente preferito celebrare - unico paese in Europa, oltre alla Francia - l'esperienza delle repubbliche giacobine e Napoleone. Si scopre così che, contrariamente all'immagine convenzionale, durante gli anni della dominazione napoleonica, dalle valli alpine alle marine adriatiche, dalla pianura padana alle colline appenniniche, la mappa della nostra penisola è punteggiata da innumerevoli «fuochi» di rivolta di diversa ampiezza e durata.

Rivolte spontanee, con ampia mobilitazione dei ceti rurali, scoppiano a Pavia, nel Lucchese e a Lugo di Romagna già nel 1796, per riprendere e intensificarsi l'anno seguente in Valtellina, nel Montefeltro pontificio, durante le cosiddette «Pasque Veronesi» e ancora nel moto ligure del «Viva Maria».

Mentre nel 1798 insorgono tutto il Lazio e le Marche pontifici, all'inizio del 1799 si solleva l'Abruzzo borbonico e i popolani di Napoli per tre giorni difendono la capitale contro i francesi invasori, morendo a centinaia.

Nel 1799 tutta l'Italia, dalla Valtellina alla Calabria, insorge e, a prezzo di una furibonda e sanguinosa guerriglia, caccia i francesi e abbatte le effimere repubbliche da questi erette. E il momento dei maggiori movimenti d'insorgenza, che coinvolgono in maniera organizzata migliaia di combattenti: la rivolta contadina della Massa Cristiana in Piemonte, il complesso «Viva Maria» aretino e toscano e la Santa Fede, guidata dal cardinale Ruffo nel Regno di Napoli. Altrettanto estesa e impetuosa sarà la grande insurrezione dell'estate del 1809, che investe tutto il Veneto e le zone padane, in contemporanea con il moto tirolese di Andreas Hofer.

Per la mentalità degl'italiani di antico regime è pressoché automatico ribellarsi quando subiscono le spoliazioni dei commissari rivoluzionari, allorché assistono sgomenti alle profanazioni dei giacobini e dei soldati francesi, nel vedere nella polvere i leoni e le aquile, emblemi di regni e principati plurisecolari, nell'avvertire il lacerarsi di tutta una complessa e antica trama di rapporti sociali nati «dal basso» e consolidati dalla tradizione, nell'accorgersi di avere perso dall'oggi al domani le libertà sancite negli statuti particolari, mentre debbono sperimentare uno schiacciante carico fiscale, la nuova burocrazia, il peso della leva obbligatoria e la crescente scristianizzazione della società.

Le insorgenze, pur manifestando la realtà delle mille «piccole patrie» italiane, ed essendo legate ai diversi momenti e situazioni concrete, evidenziano però alcuni lineamenti comuni che consentono di individuare in esse un fenomeno non frammentario ed estemporaneo, bensì unitario, omogeneo ed epocale.

L'elemento che scatena la reazione è quasi ovunque religioso, ma non di rado esso è la forma espressiva dell'astio verso un regime che non si limita a sopprimere gli ordini religiosi e a demolire monasteri e chiese, ma impone, con modi brutali, una radicale «rifondazione» della società su presupposti allora nuovi e sconvolgenti: il laicismo, l'individualismo giuridico, il cosmopolitismo. D'altro canto, in positivo, dietro agl'insorgenti, anche se rivendicano ovunque la restaurazione della religione e dei sovrani legittimi, si leggono in filigrana progetti che vanno al di là del puro e semplice ripristino dell'assolutismo illuminato e mirano invece al ristabilimento delle antiche libertà e di forme politiche più concretamente partecipative.

L'insorgenza, a mo' di cartina al tornasole, rivela il volto dell'Italia profonda, formatasi spontaneamente nei secoli dall'eredità romana arricchita dalla linfa germanica, fuse e lievitate sotto l'influsso evangelico.

Una fisionomia antica che, dopo aver sedotto l'Europa «delle corti», alla fine dei Settecento è al tramonto, ma che di fronte alla rottura rivoluzionaria conosce un estremo sussulto di vitalità prima di cadere nelle mani di chi, con una operazione «chirurgica» destinata a protrarsi fino a poco fa, le darà connotati nuovi, diversi e più «moderni», ripulendosi da ogni «ruga» storica quale indubbiamente l'insorgenza è nella prospettiva della modernità.
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Di Oscar SANGUINETTI


tratto da: Il Timone, anno 3 (2001) luglio/agosto, n. 14, p. 24-25.


Le insorgenze popolari anti-napoleoniche: resistenza alla modernità, estremo sussulto di vitalità della cristianità e cartina al tornasole dell'identità italiana.


Se è vero che una parte degli italiani - gli intellettuali progressisti e gli aristocratici e i borghesi più influenzati dalla cultura illuministica - esulta di fronte all'autentico terremoto che poco più di duecento anni fa provoca l'irruzione degli eserciti del Direttorio rivoluzionario di Parigi nella Penisola, è altrettanto vero che molti di essi, soprattutto nei ceti umili, leggono negativamente il crollo delle antiche istituzioni e le novità politiche introdotte dai francesi, dando vita a quell'insieme di manifestazioni di resistenza e di lotta - che va dalla disobbedienza civile a vere e proprie insurrezioni popolari, dalla guerriglia fino alla guerra a fianco degli eserciti anti-napoleonici - che va ormai sotto il nome di «Insorgenza».

Gli italiani sono per lo più all'oscuro di questa pagina di storia, perché nei manuali scolastici se ne parla appena e quelle poche volte per censurarla, non essendo infatti interesse della cultura «egemone» che ci si soffermi troppo sui movimenti di opposizione che accompagnano il processo risorgimentale fin dalle sue origini. Solo da poco essa inizia a essere narrata, soprattutto dopo i bicentenario dei moti del 1796-1799, che ha ridato impulso agli studi, pur nell'indifferenza dei Circuiti culturali ufficiali, quali hanno significativamente preferito celebrare - unico paese in Europa, oltre alla Francia - l'esperienza delle repubbliche giacobine e Napoleone. Si scopre così che, contrariamente all'immagine convenzionale, durante gli anni della dominazione napoleonica, dalle valli alpine alle marine adriatiche, dalla pianura padana alle colline appenniniche, la mappa della nostra penisola è punteggiata da innumerevoli «fuochi» di rivolta di diversa ampiezza e durata.

Rivolte spontanee, con ampia mobilitazione dei ceti rurali, scoppiano a Pavia, nel Lucchese e a Lugo di Romagna già nel 1796, per riprendere e intensificarsi l'anno seguente in Valtellina, nel Montefeltro pontificio, durante le cosiddette «Pasque Veronesi» e ancora nel moto ligure del «Viva Maria».

Mentre nel 1798 insorgono tutto il Lazio e le Marche pontifici, all'inizio del 1799 si solleva l'Abruzzo borbonico e i popolani di Napoli per tre giorni difendono la capitale contro i francesi invasori, morendo a centinaia.

Nel 1799 tutta l'Italia, dalla Valtellina alla Calabria, insorge e, a prezzo di una furibonda e sanguinosa guerriglia, caccia i francesi e abbatte le effimere repubbliche da questi erette. E il momento dei maggiori movimenti d'insorgenza, che coinvolgono in maniera organizzata migliaia di combattenti: la rivolta contadina della Massa Cristiana in Piemonte, il complesso «Viva Maria» aretino e toscano e la Santa Fede, guidata dal cardinale Ruffo nel Regno di Napoli. Altrettanto estesa e impetuosa sarà la grande insurrezione dell'estate del 1809, che investe tutto il Veneto e le zone padane, in contemporanea con il moto tirolese di Andreas Hofer.

Per la mentalità degl'italiani di antico regime è pressoché automatico ribellarsi quando subiscono le spoliazioni dei commissari rivoluzionari, allorché assistono sgomenti alle profanazioni dei giacobini e dei soldati francesi, nel vedere nella polvere i leoni e le aquile, emblemi di regni e principati plurisecolari, nell'avvertire il lacerarsi di tutta una complessa e antica trama di rapporti sociali nati «dal basso» e consolidati dalla tradizione, nell'accorgersi di avere perso dall'oggi al domani le libertà sancite negli statuti particolari, mentre debbono sperimentare uno schiacciante carico fiscale, la nuova burocrazia, il peso della leva obbligatoria e la crescente scristianizzazione della società.

Le insorgenze, pur manifestando la realtà delle mille «piccole patrie» italiane, ed essendo legate ai diversi momenti e situazioni concrete, evidenziano però alcuni lineamenti comuni che consentono di individuare in esse un fenomeno non frammentario ed estemporaneo, bensì unitario, omogeneo ed epocale.

L'elemento che scatena la reazione è quasi ovunque religioso, ma non di rado esso è la forma espressiva dell'astio verso un regime che non si limita a sopprimere gli ordini religiosi e a demolire monasteri e chiese, ma impone, con modi brutali, una radicale «rifondazione» della società su presupposti allora nuovi e sconvolgenti: il laicismo, l'individualismo giuridico, il cosmopolitismo. D'altro canto, in positivo, dietro agl'insorgenti, anche se rivendicano ovunque la restaurazione della religione e dei sovrani legittimi, si leggono in filigrana progetti che vanno al di là del puro e semplice ripristino dell'assolutismo illuminato e mirano invece al ristabilimento delle antiche libertà e di forme politiche più concretamente partecipative.

L'insorgenza, a mo' di cartina al tornasole, rivela il volto dell'Italia profonda, formatasi spontaneamente nei secoli dall'eredità romana arricchita dalla linfa germanica, fuse e lievitate sotto l'influsso evangelico.

Una fisionomia antica che, dopo aver sedotto l'Europa «delle corti», alla fine dei Settecento è al tramonto, ma che di fronte alla rottura rivoluzionaria conosce un estremo sussulto di vitalità prima di cadere nelle mani di chi, con una operazione «chirurgica» destinata a protrarsi fino a poco fa, le darà connotati nuovi, diversi e più «moderni», ripulendosi da ogni «ruga» storica quale indubbiamente l'insorgenza è nella prospettiva della modernità.

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