sabato 27 settembre 2008

Il popolo contro i giacobini


Di Massimo VIGLIONE


tratto da: Avvenire, 19.2.1999.



La rivolta italiana all'invasore francese: perché gli storici hanno dimenticato le «insorgenze»? Parla Viglione
Intervista di Maurizio Cecchetti
Trecentomila si mobilitarono e centomila perirono in difesa del cattolicesimo. Un fenomeno che offusca anche il Risorgimento. La sinistra lo scopre (per minimizzarlo)


"Il giacobinismo domina da cinquant'anni la nostra storia repubblicana, non per gli aspetti del terrore, ma certamente nella mentalità". Un parere così reciso lo s'immagina in un uomo di lunga militanza, uno che la Repubblica l'ha vissuta fin dalla sua nascita, invece viene da un giovane, agguerrito e documentato storico italiano, Massimo Viglione, che lavora all'Università di Cassino ed è ferratissimo nel dibattito italiano sulla Rivoluzione francese. Con lui parliamo di questo a partire da un libro che aggiunge una pietra storiografica nella conoscenza di un fenomeno peraltro poco studiato."Volutamente ignorato per decenni", ribatte Viglione, che nel saggio «Rivolte dimenticate», appena edito da Città Nuova (pagine 344, lire 38.000) affronta la questione delle "insorgenze degli italiani dalle origini al 1815".

Bisogna subito intendersi sul termine: che cosa sono le insorgenze?
"C'è una data chiave nella storia delle insorgenze - spiega Viglione - ed è quella del 1796, l'anno in cui Napoleone invade l'Italia. Da quel momento fino al 1799, mentre l'invasione si allarga verso il Sud sboccando nei tragici fatti di Napoli, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini italiani che appoggiavano le istanze della Rivoluzione francese".

Fu un fenomeno circoscritto?
"Tutt'altro. Gli insorti furono, alla fine, oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono ancor più eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più. Lo storico Rodolico riporta una lettera del generale Thiéboult, uno degli ufficiali che stava insieme allo Championnet, dove dichiara che nei cinque mesi della Repubblica partenopea sono morti 60 mila italiani nella guerra insurrezionale. Ma attenzione: parla soltanto di uomini combattenti e non considera donne e bambini. Le stragi compiute dai francesi furono inaudite, a Isernia in un giorno furono passate a fil di spada 1500 persone..."

Migliaia di persone insorgono contro Napoleone e i giacobini. Eppure molti storici sostengono che la «reazione» fu opera del popolo ottuso sobillato da clero e nobiltà, appoggiati dalla delinquenza locale.
"Questo è uno stereotipo che non regge più. La popolazione era cosciente che Napoleone non costituiva un invasore come gli altri, tant'è vero che gli italiani gli invasori quasi mai li hanno combattuti. Aveva capito che il francese veniva a sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica. Sulla questione del brigantaggio le porto un esempio che viene da Parigi: quando nella capitale francese arrivò la notizia che la regione Vandea non era d'accordo nel diventare atea e repubblicana, che si rifiutava di massacrare i cattolici, tutti i vandeani vennero chiamati briganti: donne, vecchi, bambini, nobili, ricchi, tutti. Fu un escamotage ideologico per dire: tutti quelli che non stanno con noi, sono delinquenti. In Italia questo era più difficile perché a ribellarsi non fu una piccola regione, ma tutte quante, eccetto la Sicilia. Non era facile far passare tutto il popolo italiano per brigante..."

Lei parla di controrivoluzione e ci vede un fenomeno anzitutto cattolico di difesa civile.
"Sì, fu anzitutto un evento cattolico. Ma non bisogna meravigliarsi: i francesi coi giacobini hanno fatto fuggire un papa, hanno arrestato il suo successore, hanno serrato le chiese, violentato le suore, fatto strage di frati e di monache, hanno calpestato le ostie consacrate, hanno portato fino in fondo una politica di laicizzazione dello stato in una società ancora impregnata dalla cultura della Controriforma. Agli italiani giunse l'eco di quel che era accaduto qualche anno prima in Vandea, quindi è ovvio che l'insurrezione partisse prima di tutto in difesa della religione. Le loro bandiere erano quelle papaline anche fuori dallo stato pontificio, le loro grida di guerra "Viva Gesù", "Viva Maria", il vero emblema della rivolta italiana, tant'è che gli stessi storici di parte laicista e marxista chiamano "Viva Maria" gli insorgenti della Toscana e della Liguria che portavano sui loro berretti lo stemma della Madonna".

Lei documenta la rivolta regione per regione, fornendo un'ampia documentazione. Quest'anno cade il bicentenario della rivoluzione partenopea. Una parte della storiografia insiste nel dire che la «reazione» vinse sui giacobini grazie ai patti sottobanco del cardinale Ruffo con la delinquenza locale. Due giorni fa Maria Antonietta Macciocchi sul «Corriere» ha addirittura documentato un caso di stupro perpetrato dalle truppe del Cardinale a danno di un convento di suore...
"Quando cade il regno di Napoli e il re scappa in Sicilia, il cardinale Ruffo prende, va a Palermo e dice al sovrano: io vi riconquisto il regno, datemi dei soldati. Il re lo prende per pazzo e per toglierselo di torno gli dà una nave e otto uomini. Il Ruffo riparte e sbarca a Pizzo Calabro, sotto Scilla, il 7 febbraio 1799. All'inizio, dunque, erano in otto: una settimana dopo se ne contavano 1500, due mesi dopo decine di migliaia. È innegabile che nel mezzo ci fossero anche i furfanti, ma esistono lettere di Maria Carolina che invitano il Ruffo e i suoi ufficiali a impiccare i briganti. La vastità della rivolta dimostra semmai l'attaccamento popolare al re e alla religione. Ciò non toglie che vi possa esser stato anche opportunismo da parte dei sovrani e del Ruffo..."

Per decenni ci hanno raccontato una storia della Repubblica dove i cattivi stavano da una parte e i buoni dall'altra. Poi, in anni recenti, si è imposto il concetto della «guerra civile» e anche sulla resistenza italiana sono emersi lati molto dubbi. Lei sostiene che sulle insorgenze è accaduto qualcosa di molto simile, un muro di silenzio che tuttavia comincia a cadere.
"Fino agli anni Trenta erano fatti documentati dagli storici. Il primo a raccontarle, del resto, fu lo stesso Vincenzo Cuoco che su questo punto non mente: siamo stati travolti dagli insorgenti, scrive. Poi, all'inizio di questo secolo, se ne occupavano storici come Colletta e Papi e anche risorgimentisti come Tivaroni, Lemmi, Fiorini, Rota e soprattutto Giacomo Lumbroso e Nicolò Rodolico. Con la seconda guerra mondiale e la vittoria ideologica di una certo mondo universitario ed editoriale italiano non se ne parla più".

Qual è la ragione di questo silenzio?
"Le rigiro la domanda: si può accettare dal punto di vista della verità storica che l'insorgenza cattolica e monarchica ebbe l'appoggio di centinaia di migliaia d'italiani schierati contro gli ideali della Rivoluzione francese, quando si sa benissimo che la pecca più grande del Risorgimento fu proprio la passività del popolo? Il risorgimento testimonia, come fenomeno d'élite, ciò che è il problema di tutti i rivoluzionari in ogni tempo: il popolo non è mai con loro. Eleonora de Fonseca Pimentel, stretta d'assedio dai Lazzari, scrive allo Championnet: sbrigati a venire a Napoli, perché questi ci ammazzano tutti. La sua lettera si chiude con queste parole: non la nazione, ma il popolo è contro i francesi. È una frase impressionante, perché equivaleva a dire: noi trenta, chiusi qui dentro, siamo tutta la nazione, i quattro milioni che stanno fuori sono il popolo e non valgono niente".

È il noto pregiudizio degli intellettuali...
"Degli intellettuali di sinistra, precisiamo; che sono contro il popolo, perché il popolo non li segue. Recentemente è uscito un lavoro dell'Istituto Gramsci diretto da Anna Maria Rao: è la prima volta che la cultura filogiacobina prende posizione su questo argomento. Come mai? Non posso non arrivare a concludere che siccome da vent'anni si sono moltiplicati gli studi anche la sinistra ha deciso di prendere posizione non potendo più occultare il fenomeno. Ma ancora una volta il pregiudizio ideologico la vince: le insorgenze avvennero per motivi localistici, per fame, fu una rivolta sociale contro gli sfruttatori, nella quale la religione ebbe un ruolo secondario. Non sarà, invece, che a scatenare la rivolta fu l'attacco alla civiltà italiana, in quanto profondamente cattolica?".

Fonte: Storia libera
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Di Massimo VIGLIONE


tratto da: Avvenire, 19.2.1999.



La rivolta italiana all'invasore francese: perché gli storici hanno dimenticato le «insorgenze»? Parla Viglione
Intervista di Maurizio Cecchetti
Trecentomila si mobilitarono e centomila perirono in difesa del cattolicesimo. Un fenomeno che offusca anche il Risorgimento. La sinistra lo scopre (per minimizzarlo)


"Il giacobinismo domina da cinquant'anni la nostra storia repubblicana, non per gli aspetti del terrore, ma certamente nella mentalità". Un parere così reciso lo s'immagina in un uomo di lunga militanza, uno che la Repubblica l'ha vissuta fin dalla sua nascita, invece viene da un giovane, agguerrito e documentato storico italiano, Massimo Viglione, che lavora all'Università di Cassino ed è ferratissimo nel dibattito italiano sulla Rivoluzione francese. Con lui parliamo di questo a partire da un libro che aggiunge una pietra storiografica nella conoscenza di un fenomeno peraltro poco studiato."Volutamente ignorato per decenni", ribatte Viglione, che nel saggio «Rivolte dimenticate», appena edito da Città Nuova (pagine 344, lire 38.000) affronta la questione delle "insorgenze degli italiani dalle origini al 1815".

Bisogna subito intendersi sul termine: che cosa sono le insorgenze?
"C'è una data chiave nella storia delle insorgenze - spiega Viglione - ed è quella del 1796, l'anno in cui Napoleone invade l'Italia. Da quel momento fino al 1799, mentre l'invasione si allarga verso il Sud sboccando nei tragici fatti di Napoli, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini italiani che appoggiavano le istanze della Rivoluzione francese".

Fu un fenomeno circoscritto?
"Tutt'altro. Gli insorti furono, alla fine, oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono ancor più eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più. Lo storico Rodolico riporta una lettera del generale Thiéboult, uno degli ufficiali che stava insieme allo Championnet, dove dichiara che nei cinque mesi della Repubblica partenopea sono morti 60 mila italiani nella guerra insurrezionale. Ma attenzione: parla soltanto di uomini combattenti e non considera donne e bambini. Le stragi compiute dai francesi furono inaudite, a Isernia in un giorno furono passate a fil di spada 1500 persone..."

Migliaia di persone insorgono contro Napoleone e i giacobini. Eppure molti storici sostengono che la «reazione» fu opera del popolo ottuso sobillato da clero e nobiltà, appoggiati dalla delinquenza locale.
"Questo è uno stereotipo che non regge più. La popolazione era cosciente che Napoleone non costituiva un invasore come gli altri, tant'è vero che gli italiani gli invasori quasi mai li hanno combattuti. Aveva capito che il francese veniva a sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica. Sulla questione del brigantaggio le porto un esempio che viene da Parigi: quando nella capitale francese arrivò la notizia che la regione Vandea non era d'accordo nel diventare atea e repubblicana, che si rifiutava di massacrare i cattolici, tutti i vandeani vennero chiamati briganti: donne, vecchi, bambini, nobili, ricchi, tutti. Fu un escamotage ideologico per dire: tutti quelli che non stanno con noi, sono delinquenti. In Italia questo era più difficile perché a ribellarsi non fu una piccola regione, ma tutte quante, eccetto la Sicilia. Non era facile far passare tutto il popolo italiano per brigante..."

Lei parla di controrivoluzione e ci vede un fenomeno anzitutto cattolico di difesa civile.
"Sì, fu anzitutto un evento cattolico. Ma non bisogna meravigliarsi: i francesi coi giacobini hanno fatto fuggire un papa, hanno arrestato il suo successore, hanno serrato le chiese, violentato le suore, fatto strage di frati e di monache, hanno calpestato le ostie consacrate, hanno portato fino in fondo una politica di laicizzazione dello stato in una società ancora impregnata dalla cultura della Controriforma. Agli italiani giunse l'eco di quel che era accaduto qualche anno prima in Vandea, quindi è ovvio che l'insurrezione partisse prima di tutto in difesa della religione. Le loro bandiere erano quelle papaline anche fuori dallo stato pontificio, le loro grida di guerra "Viva Gesù", "Viva Maria", il vero emblema della rivolta italiana, tant'è che gli stessi storici di parte laicista e marxista chiamano "Viva Maria" gli insorgenti della Toscana e della Liguria che portavano sui loro berretti lo stemma della Madonna".

Lei documenta la rivolta regione per regione, fornendo un'ampia documentazione. Quest'anno cade il bicentenario della rivoluzione partenopea. Una parte della storiografia insiste nel dire che la «reazione» vinse sui giacobini grazie ai patti sottobanco del cardinale Ruffo con la delinquenza locale. Due giorni fa Maria Antonietta Macciocchi sul «Corriere» ha addirittura documentato un caso di stupro perpetrato dalle truppe del Cardinale a danno di un convento di suore...
"Quando cade il regno di Napoli e il re scappa in Sicilia, il cardinale Ruffo prende, va a Palermo e dice al sovrano: io vi riconquisto il regno, datemi dei soldati. Il re lo prende per pazzo e per toglierselo di torno gli dà una nave e otto uomini. Il Ruffo riparte e sbarca a Pizzo Calabro, sotto Scilla, il 7 febbraio 1799. All'inizio, dunque, erano in otto: una settimana dopo se ne contavano 1500, due mesi dopo decine di migliaia. È innegabile che nel mezzo ci fossero anche i furfanti, ma esistono lettere di Maria Carolina che invitano il Ruffo e i suoi ufficiali a impiccare i briganti. La vastità della rivolta dimostra semmai l'attaccamento popolare al re e alla religione. Ciò non toglie che vi possa esser stato anche opportunismo da parte dei sovrani e del Ruffo..."

Per decenni ci hanno raccontato una storia della Repubblica dove i cattivi stavano da una parte e i buoni dall'altra. Poi, in anni recenti, si è imposto il concetto della «guerra civile» e anche sulla resistenza italiana sono emersi lati molto dubbi. Lei sostiene che sulle insorgenze è accaduto qualcosa di molto simile, un muro di silenzio che tuttavia comincia a cadere.
"Fino agli anni Trenta erano fatti documentati dagli storici. Il primo a raccontarle, del resto, fu lo stesso Vincenzo Cuoco che su questo punto non mente: siamo stati travolti dagli insorgenti, scrive. Poi, all'inizio di questo secolo, se ne occupavano storici come Colletta e Papi e anche risorgimentisti come Tivaroni, Lemmi, Fiorini, Rota e soprattutto Giacomo Lumbroso e Nicolò Rodolico. Con la seconda guerra mondiale e la vittoria ideologica di una certo mondo universitario ed editoriale italiano non se ne parla più".

Qual è la ragione di questo silenzio?
"Le rigiro la domanda: si può accettare dal punto di vista della verità storica che l'insorgenza cattolica e monarchica ebbe l'appoggio di centinaia di migliaia d'italiani schierati contro gli ideali della Rivoluzione francese, quando si sa benissimo che la pecca più grande del Risorgimento fu proprio la passività del popolo? Il risorgimento testimonia, come fenomeno d'élite, ciò che è il problema di tutti i rivoluzionari in ogni tempo: il popolo non è mai con loro. Eleonora de Fonseca Pimentel, stretta d'assedio dai Lazzari, scrive allo Championnet: sbrigati a venire a Napoli, perché questi ci ammazzano tutti. La sua lettera si chiude con queste parole: non la nazione, ma il popolo è contro i francesi. È una frase impressionante, perché equivaleva a dire: noi trenta, chiusi qui dentro, siamo tutta la nazione, i quattro milioni che stanno fuori sono il popolo e non valgono niente".

È il noto pregiudizio degli intellettuali...
"Degli intellettuali di sinistra, precisiamo; che sono contro il popolo, perché il popolo non li segue. Recentemente è uscito un lavoro dell'Istituto Gramsci diretto da Anna Maria Rao: è la prima volta che la cultura filogiacobina prende posizione su questo argomento. Come mai? Non posso non arrivare a concludere che siccome da vent'anni si sono moltiplicati gli studi anche la sinistra ha deciso di prendere posizione non potendo più occultare il fenomeno. Ma ancora una volta il pregiudizio ideologico la vince: le insorgenze avvennero per motivi localistici, per fame, fu una rivolta sociale contro gli sfruttatori, nella quale la religione ebbe un ruolo secondario. Non sarà, invece, che a scatenare la rivolta fu l'attacco alla civiltà italiana, in quanto profondamente cattolica?".

Fonte: Storia libera

1 commento:

david santos ha detto...

Ciao Arrendo, come và? Spero tutto bene per te. Buon lavoro. Un abbraccio e un buon fine settimana.

 
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