lunedì 19 marzo 2012

Paolo Saggese, “Crescita zero. L’Italia del terzo millennio…”

A colloquio con Paolo Saggese
di Antonietta Gnerre

Il libro - Crescita zero. L’Italia del Terzo Millennio vista da una provincia del Sud, Delta 3 edizioni, Grottaminarda, 2011 - si apre con un prologo dal titolo La colpa è tutta nostra, che consiste in una riflessione accorata sulla crisi italiana che stiamo vivendo.

“In effetti, questa mia riflessione vuole porre l’accento su un concetto, a cui tengo molto: la crisi finanziaria, che stiamo vivendo, è, a mio avviso, innanzitutto una crisi politica, etica, culturale, di cui siamo tutti direttamente o indirettamente colpevoli. La “celebrazione” dell’immoralità e il senso d’impotenza nei confronti del degrado morale e culturale della Nazione sono alla base della “crisi” attuale: questi aspetti sono molto più preoccupanti degli indicatori puramente finanziari. E di questa crisi siamo tutti colpevoli.”

Dal libro emerge un’Italia che ha smarrito l’idea del bene comune e di un progetto ideale.
“Infatti, per poter riemergere dalla crisi occorre, a mio avviso, una rigenerazione intellettuale, morale e culturale della Nazione e un ritorno alla politica intesa come civismo, come “servizio”, come realizzazione del “bene comune” in quanto il “pubblico” è la “casa comune”, che tutti dobbiamo costruire, ponendo da parte gli interessi personali e gli egoismi delle varie piccole o grandi consorterie. Intanto, la nostra civiltà - lo ha posto in rilievo con acume e forza ideale, tra gli altri, Erich Fromm - e la nostra “economia” sono state organizzate e concepite, strutturate idealmente secondo principî ben diversi, diametralmente opposti: egoismi, arrivismi, fame di potere e di denaro, “la sacra fame dell’oro” di virgiliana e dantesca memoria, hanno sempre di più, oggi più di ieri, posto il denaro e il potere come unici “valori” esistenziali da perseguire, ad ogni costo. L’Italia, più delle altre Nazioni, mi sembra contaminata da questo virus distruttivo.”
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Segue la Prefazione di Pino Aprile che ha dedicato, tra l’altro, un intero capitolo del suo ultimo libro, Giù al Sud (Piemme 2011), al Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, fondato da te e da Giuseppe Iuliano.
“Sì, siamo grati a Pino Aprile, perché ha compreso come l’esclusione della poesia del Sud dalla storia nazionale sia un effetto di questa crisi italiana, che è alimentata da una contrapposizione netta tra Nord, Sud e Centro, purtroppo gravemente “sostenuta” da una politica diseducativa, che ha cavalcato il localismo e purtroppo anche il razzismo. Tuttavia, occorre dirlo, il Centro è sostenuto da tanti intellettuali italiani quali Ugo Piscopo, Giuseppe Panella, Francesco D’Episcopo, Alessandro Di Napoli, Enzo Rega, Alfonso Nannariello, Franca Molinaro, Salvatore Salvatore, Vincenzo D’Alessio e centinaia di altri, che hanno dedicato il loro pensiero alla valorizzazione del dialogo tra le culture e al confronto libero e basato sull’accoglienza e la reciprocità, rivolti sia all’Italia e all’Europa, ma anche a tutte le culture del Mediterraneo. In tal senso e non solo, sposiamo l’idea di Fernand Braudel del Mediterraneo come “ponte” tra civiltà.”

Il libro strutturato in quattro capitoli è impreziosito anche dalla postfazione di Dario Meninno, RSU FIOM CGIL dell’Iribus - Iveco di Flumeri, che racconta la fine della battaglia degli operai in difesa del lavoro.
“In effetti, il libro, che si occupa di questa crisi da vari punti di indagine, offre uno spaccato di una vicenda che ha del paradossale. La Irisbus Iveco di Valle Ufita, con quasi settecento operai, e con un indotto, che conta altrettanti lavoratori, è stata chiusa dalla FIAT. Eppure, questo stabilimento è l’unico in Italia a costruire pullman, di cui il nostro Paese ha urgentemente bisogno, dal momento che possiede un “parco autobus” obsoleto e altamente inquinante, per il quale l’Unione Europea ha richiesto uno svecchiamento immediato. Eppure, nonostante questo stabilimento fornisca un prodotto necessario al Paese, la politica e le economie aziendali hanno preferito altro! Quando, insomma, una Nazione rinuncia anche a prodotti “utili” e indispensabili, dimostra tra l’altro di non avere una guida, un progetto, una politica industriale degni di questo nome.”
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Entriamo nel cuore del libro, il primo capitolo, Poeti cafoni e meridionali criminali, è incentrato sulla damnatio memoriae della Poesia del Sud, la cui produzione novecentesca è lasciata fuori dalle recenti Indicazioni nazionali emanate a seguito del riordino dei Licei (DPR 89/2010).
“In questo capitolo, stigmatizzo un aspetto che pare sia sfuggito a molti: infatti, nelle “Indicazioni nazionali” emanate a seguito del riordino dei Licei, relativamente ai poeti e scrittori del Novecento, su diciassette autori menzionati, nessuno è meridionale. Non compare neanche Salvatore Quasimodo, Premio Nobel della Letteratura! Forse è casuale che compaiano solo scrittori e poeti lombardi, veneti, liguri, piemontesi, toscani, e tutte le altre regioni siano poco o per nulla rappresentate? Ma, al di là della polemica, a noi è sembrato sacrosanto segnalare la questione ed invitare tutte le scuole italiane a chiedere una integrazione delle “Indicazioni” includendo autori provenienti anche dalle altre regioni. È vero, si potrà obiettare, che le “Indicazioni” sono appunto semplicemente indicative, ma l’elenco così proposto con il tempo creerà un “canone” e indurrà le case editrici ad adeguarsi a questo elenco a nostro avviso incompleto se non discriminante.”
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Il secondo capitolo - I giovani e la crisi, affronta il tema principale della crisi etica prima che economica dell’Italia - analizza il destino dei giovani meridionali condannati all’emigrazione.
“La realtà del Sud è ancora più drammatica di quella del Nord e del Centro. Si tratta effettivamente di un’intera generazione abbandonata, condannata ad una vita peggiore di quella dei propri nonni e dei propri genitori. Parlo dei giovani tra i quindici e i trentacinque anni: tranne i privilegiati, il resto dovrà ricominciare d’accapo, “accontentandosi” di un lavoro sottopagato e precario. Il problema è sempre lo stesso: il modello dell’homo oeconomicus produce sviluppo - spesso distruttivo -, ma non il progresso, tanto meno la felicità. Crea un mondo, piuttosto, sempre più ingiusto!”
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La riflessione che emerge è il sostanziale fallimento delle politiche per l’industrializzazione soprattutto successive al terremoto del 23 novembre 1980.
“Nel libro, tento di affrontare le questioni da un punto di vista locale, nazionale e internazionale. Relativamente all’Irpinia, il grande progetto dell’”industria in montagna” elaborato dopo il terremoto del 23 novembre 1980 è stato in parte un fallimento. Ci sono casi di grande successo - analizzo quello della SEVES -, ma in genere i risultati sono stati inferiori alle attese. Ripensare quel periodo deve essere un obiettivo dell’oggi, per evitare gli errori del passato. Già Manlio Rossi-Doria, del resto, nei mesi immediatamente successivi al terremoto aveva dato delle indicazioni preziose, che furono in buona parte trascurate dalla politica.”
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Uno spazio centrale del libro è dedicato all’Irisbus e alla sua chiusura, documentata attraverso alcune riflessioni, che partono dai livelli internazionali per arrivare al locale.
“Nelle riflessioni dedicate all’Irisbus, ho posto in evidenza come la FIAT abbia accentuato la sua propensione globale e continuerà sempre di più negli anni a venire a guardare all’Asia e all’America e meno all’Italia. Dunque, in tal modo si spiega anche la dismissione della Irisbus, che al contrario avrebbe potuto essere - come in realtà è - uno stabilimento particolarmente prezioso non solo per il destino dell’Irpinia, ma anche per il piano industriale dell’Italia in Europa.”
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Il terzo capitolo, Politici, è dedicato ai politici della Seconda Repubblica, così lontani da un “politico dei princìpi”, desanctisiano, che risponde al nome di Gerardo Bianco. La cui figura di uomo retto e coerente può essere un simbolo per una nuova scommessa. Per un rinnovo della politica?
“La crisi della politica è davanti agli occhi di tutti, da quando le classi dirigenti sono state selezionate non sulla base delle qualità intellettuali o etiche ma spesso sulla base di valutazioni altre, che non hanno nulla a che vedere con il vero fine della politica, da intendersi come “risoluzione dei problemi della pólis”. L’omaggio a Gerardo Bianco è stato un modo per proporre un modello ideale, di politico desanctisiano, che rappresenta paradossalmente il futuro, nel senso che i giovani dovrebbero ritornare alla politica guardando a questi modelli ideali.”
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Infine, l’ultimo capitolo, Intellettuali e cultura, con tre paragrafi dedicati ad Antonio La Penna, Giuseppe Iuliano e Franco Arminio, riespone un’idea di intellettualità militante, che supera l’elitismo dorsiano per arrivare ad una visione della questione meridionale come questione di popolo.
“Sì, per risolvere la “questione meridionale” e in generale la crisi italiana, bisognerebbe ritornare ad un civismo diffuso, in cui tutti indistintamente si sentano chiamati a dare il loro contributo per il “bene comune”. Soluzioni elitiste o elitarie sono condannate al fallimento, come anche soluzioni che possano venire dall’alto. Un civismo dal basso è la soluzione che prospetto.”
Secondo te una culturale collettiva può portare ad una nuova prospettiva per l’intero Paese?
“Certo. Gramsci pensava ad un “intellettuale collettivo”, che fosse il partito. Mutuando da Gramsci questo concetto, potremmo affermare che il Paese si salva se il popolo, non più massa, sarà in grado di divenire “intellettuale collettivo”, unione di uomini e donne, che in nome del “bene comune”, dei valori della giustizia, della solidarietà, del rispetto reciproco e della pace possano pensare e progettare un futuro insieme.”
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Il libro si chiude con una pars construens, che consiste nella proposta di una virtù civica comune, che può rappresentare una svolta possibile per l’Irpinia, il Sud e l’Italia.
“In effetti, noi abbiamo costituito - dietro suggerimento del Presidente dell’UPI, Università Popolare d’Irpinia, Michele Ciasullo, che firma anche l’Introduzione al libro - le “Sentinelle dell’Irpinia”, un’associazione, che è un modo di essere, che ognuno dovrebbe assumere per il bene delle proprie comunità. Ecco, se gli Italiani divenissero tutti “Sentinelle dell’Italia” nel senso che pongano gli interessi, le bellezze, le ricchezze, il bene comune della Nazione al primo posto, avremmo risolto la “crisi” prima di tutto etica, politica e civile, che ci “condanna”. Allora, saremmo veramente forti e potremmo affrontare con slancio, con forza, con la convinzione del vero ottimismo, le sfide che ci attendono, e dare un futuro ai nostri giovani.”

Paolo Saggese (Torella dei Lombardi, Av, 1967), laureato in Lettere classiche presso l’Università degli Studi di Firenze, Dottore di ricerca in filologia greca e latina presso lo stesso Ateneo, già docente di Letteratura latina presso le SICSI dell’Università di Salerno, insegna da più di quindici anni latino e greco presso i Licei della provincia di Avellino. Autore o curatore di una trentina di volumi dedicati alla poesia latina ed italiana, alla storia del Novecento e alla politica, fondatore con Giuseppe Iuliano del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud e condirettore artistico con lo stesso del “Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo”, si è occupato di recente di Giuseppe Marotta, valorizzando le origini irpine dello scrittore de L’oro di Napoli. Ha, inoltre, pubblicato le poesie dedicate al terremoto dell’Irpinia (La polvere e la luna. I poeti del 23 novembre, Delta 3 edizioni, 2010), ha curato il poemetto La prigione di Francesco De Sanctis, ed ha appena concluso il saggio meridionalista Dorso, Gramsci, Sturzo: un dialogo “spezzato” (e altri saggi dorsiani), volume di prossima pubblicazione per i tipi della Delta 3 edizioni.

Fonte: Rainews24


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A colloquio con Paolo Saggese
di Antonietta Gnerre

Il libro - Crescita zero. L’Italia del Terzo Millennio vista da una provincia del Sud, Delta 3 edizioni, Grottaminarda, 2011 - si apre con un prologo dal titolo La colpa è tutta nostra, che consiste in una riflessione accorata sulla crisi italiana che stiamo vivendo.

“In effetti, questa mia riflessione vuole porre l’accento su un concetto, a cui tengo molto: la crisi finanziaria, che stiamo vivendo, è, a mio avviso, innanzitutto una crisi politica, etica, culturale, di cui siamo tutti direttamente o indirettamente colpevoli. La “celebrazione” dell’immoralità e il senso d’impotenza nei confronti del degrado morale e culturale della Nazione sono alla base della “crisi” attuale: questi aspetti sono molto più preoccupanti degli indicatori puramente finanziari. E di questa crisi siamo tutti colpevoli.”

Dal libro emerge un’Italia che ha smarrito l’idea del bene comune e di un progetto ideale.
“Infatti, per poter riemergere dalla crisi occorre, a mio avviso, una rigenerazione intellettuale, morale e culturale della Nazione e un ritorno alla politica intesa come civismo, come “servizio”, come realizzazione del “bene comune” in quanto il “pubblico” è la “casa comune”, che tutti dobbiamo costruire, ponendo da parte gli interessi personali e gli egoismi delle varie piccole o grandi consorterie. Intanto, la nostra civiltà - lo ha posto in rilievo con acume e forza ideale, tra gli altri, Erich Fromm - e la nostra “economia” sono state organizzate e concepite, strutturate idealmente secondo principî ben diversi, diametralmente opposti: egoismi, arrivismi, fame di potere e di denaro, “la sacra fame dell’oro” di virgiliana e dantesca memoria, hanno sempre di più, oggi più di ieri, posto il denaro e il potere come unici “valori” esistenziali da perseguire, ad ogni costo. L’Italia, più delle altre Nazioni, mi sembra contaminata da questo virus distruttivo.”
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Segue la Prefazione di Pino Aprile che ha dedicato, tra l’altro, un intero capitolo del suo ultimo libro, Giù al Sud (Piemme 2011), al Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, fondato da te e da Giuseppe Iuliano.
“Sì, siamo grati a Pino Aprile, perché ha compreso come l’esclusione della poesia del Sud dalla storia nazionale sia un effetto di questa crisi italiana, che è alimentata da una contrapposizione netta tra Nord, Sud e Centro, purtroppo gravemente “sostenuta” da una politica diseducativa, che ha cavalcato il localismo e purtroppo anche il razzismo. Tuttavia, occorre dirlo, il Centro è sostenuto da tanti intellettuali italiani quali Ugo Piscopo, Giuseppe Panella, Francesco D’Episcopo, Alessandro Di Napoli, Enzo Rega, Alfonso Nannariello, Franca Molinaro, Salvatore Salvatore, Vincenzo D’Alessio e centinaia di altri, che hanno dedicato il loro pensiero alla valorizzazione del dialogo tra le culture e al confronto libero e basato sull’accoglienza e la reciprocità, rivolti sia all’Italia e all’Europa, ma anche a tutte le culture del Mediterraneo. In tal senso e non solo, sposiamo l’idea di Fernand Braudel del Mediterraneo come “ponte” tra civiltà.”

Il libro strutturato in quattro capitoli è impreziosito anche dalla postfazione di Dario Meninno, RSU FIOM CGIL dell’Iribus - Iveco di Flumeri, che racconta la fine della battaglia degli operai in difesa del lavoro.
“In effetti, il libro, che si occupa di questa crisi da vari punti di indagine, offre uno spaccato di una vicenda che ha del paradossale. La Irisbus Iveco di Valle Ufita, con quasi settecento operai, e con un indotto, che conta altrettanti lavoratori, è stata chiusa dalla FIAT. Eppure, questo stabilimento è l’unico in Italia a costruire pullman, di cui il nostro Paese ha urgentemente bisogno, dal momento che possiede un “parco autobus” obsoleto e altamente inquinante, per il quale l’Unione Europea ha richiesto uno svecchiamento immediato. Eppure, nonostante questo stabilimento fornisca un prodotto necessario al Paese, la politica e le economie aziendali hanno preferito altro! Quando, insomma, una Nazione rinuncia anche a prodotti “utili” e indispensabili, dimostra tra l’altro di non avere una guida, un progetto, una politica industriale degni di questo nome.”
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Entriamo nel cuore del libro, il primo capitolo, Poeti cafoni e meridionali criminali, è incentrato sulla damnatio memoriae della Poesia del Sud, la cui produzione novecentesca è lasciata fuori dalle recenti Indicazioni nazionali emanate a seguito del riordino dei Licei (DPR 89/2010).
“In questo capitolo, stigmatizzo un aspetto che pare sia sfuggito a molti: infatti, nelle “Indicazioni nazionali” emanate a seguito del riordino dei Licei, relativamente ai poeti e scrittori del Novecento, su diciassette autori menzionati, nessuno è meridionale. Non compare neanche Salvatore Quasimodo, Premio Nobel della Letteratura! Forse è casuale che compaiano solo scrittori e poeti lombardi, veneti, liguri, piemontesi, toscani, e tutte le altre regioni siano poco o per nulla rappresentate? Ma, al di là della polemica, a noi è sembrato sacrosanto segnalare la questione ed invitare tutte le scuole italiane a chiedere una integrazione delle “Indicazioni” includendo autori provenienti anche dalle altre regioni. È vero, si potrà obiettare, che le “Indicazioni” sono appunto semplicemente indicative, ma l’elenco così proposto con il tempo creerà un “canone” e indurrà le case editrici ad adeguarsi a questo elenco a nostro avviso incompleto se non discriminante.”
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Il secondo capitolo - I giovani e la crisi, affronta il tema principale della crisi etica prima che economica dell’Italia - analizza il destino dei giovani meridionali condannati all’emigrazione.
“La realtà del Sud è ancora più drammatica di quella del Nord e del Centro. Si tratta effettivamente di un’intera generazione abbandonata, condannata ad una vita peggiore di quella dei propri nonni e dei propri genitori. Parlo dei giovani tra i quindici e i trentacinque anni: tranne i privilegiati, il resto dovrà ricominciare d’accapo, “accontentandosi” di un lavoro sottopagato e precario. Il problema è sempre lo stesso: il modello dell’homo oeconomicus produce sviluppo - spesso distruttivo -, ma non il progresso, tanto meno la felicità. Crea un mondo, piuttosto, sempre più ingiusto!”
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La riflessione che emerge è il sostanziale fallimento delle politiche per l’industrializzazione soprattutto successive al terremoto del 23 novembre 1980.
“Nel libro, tento di affrontare le questioni da un punto di vista locale, nazionale e internazionale. Relativamente all’Irpinia, il grande progetto dell’”industria in montagna” elaborato dopo il terremoto del 23 novembre 1980 è stato in parte un fallimento. Ci sono casi di grande successo - analizzo quello della SEVES -, ma in genere i risultati sono stati inferiori alle attese. Ripensare quel periodo deve essere un obiettivo dell’oggi, per evitare gli errori del passato. Già Manlio Rossi-Doria, del resto, nei mesi immediatamente successivi al terremoto aveva dato delle indicazioni preziose, che furono in buona parte trascurate dalla politica.”
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Uno spazio centrale del libro è dedicato all’Irisbus e alla sua chiusura, documentata attraverso alcune riflessioni, che partono dai livelli internazionali per arrivare al locale.
“Nelle riflessioni dedicate all’Irisbus, ho posto in evidenza come la FIAT abbia accentuato la sua propensione globale e continuerà sempre di più negli anni a venire a guardare all’Asia e all’America e meno all’Italia. Dunque, in tal modo si spiega anche la dismissione della Irisbus, che al contrario avrebbe potuto essere - come in realtà è - uno stabilimento particolarmente prezioso non solo per il destino dell’Irpinia, ma anche per il piano industriale dell’Italia in Europa.”
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Il terzo capitolo, Politici, è dedicato ai politici della Seconda Repubblica, così lontani da un “politico dei princìpi”, desanctisiano, che risponde al nome di Gerardo Bianco. La cui figura di uomo retto e coerente può essere un simbolo per una nuova scommessa. Per un rinnovo della politica?
“La crisi della politica è davanti agli occhi di tutti, da quando le classi dirigenti sono state selezionate non sulla base delle qualità intellettuali o etiche ma spesso sulla base di valutazioni altre, che non hanno nulla a che vedere con il vero fine della politica, da intendersi come “risoluzione dei problemi della pólis”. L’omaggio a Gerardo Bianco è stato un modo per proporre un modello ideale, di politico desanctisiano, che rappresenta paradossalmente il futuro, nel senso che i giovani dovrebbero ritornare alla politica guardando a questi modelli ideali.”
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Infine, l’ultimo capitolo, Intellettuali e cultura, con tre paragrafi dedicati ad Antonio La Penna, Giuseppe Iuliano e Franco Arminio, riespone un’idea di intellettualità militante, che supera l’elitismo dorsiano per arrivare ad una visione della questione meridionale come questione di popolo.
“Sì, per risolvere la “questione meridionale” e in generale la crisi italiana, bisognerebbe ritornare ad un civismo diffuso, in cui tutti indistintamente si sentano chiamati a dare il loro contributo per il “bene comune”. Soluzioni elitiste o elitarie sono condannate al fallimento, come anche soluzioni che possano venire dall’alto. Un civismo dal basso è la soluzione che prospetto.”
Secondo te una culturale collettiva può portare ad una nuova prospettiva per l’intero Paese?
“Certo. Gramsci pensava ad un “intellettuale collettivo”, che fosse il partito. Mutuando da Gramsci questo concetto, potremmo affermare che il Paese si salva se il popolo, non più massa, sarà in grado di divenire “intellettuale collettivo”, unione di uomini e donne, che in nome del “bene comune”, dei valori della giustizia, della solidarietà, del rispetto reciproco e della pace possano pensare e progettare un futuro insieme.”
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Il libro si chiude con una pars construens, che consiste nella proposta di una virtù civica comune, che può rappresentare una svolta possibile per l’Irpinia, il Sud e l’Italia.
“In effetti, noi abbiamo costituito - dietro suggerimento del Presidente dell’UPI, Università Popolare d’Irpinia, Michele Ciasullo, che firma anche l’Introduzione al libro - le “Sentinelle dell’Irpinia”, un’associazione, che è un modo di essere, che ognuno dovrebbe assumere per il bene delle proprie comunità. Ecco, se gli Italiani divenissero tutti “Sentinelle dell’Italia” nel senso che pongano gli interessi, le bellezze, le ricchezze, il bene comune della Nazione al primo posto, avremmo risolto la “crisi” prima di tutto etica, politica e civile, che ci “condanna”. Allora, saremmo veramente forti e potremmo affrontare con slancio, con forza, con la convinzione del vero ottimismo, le sfide che ci attendono, e dare un futuro ai nostri giovani.”

Paolo Saggese (Torella dei Lombardi, Av, 1967), laureato in Lettere classiche presso l’Università degli Studi di Firenze, Dottore di ricerca in filologia greca e latina presso lo stesso Ateneo, già docente di Letteratura latina presso le SICSI dell’Università di Salerno, insegna da più di quindici anni latino e greco presso i Licei della provincia di Avellino. Autore o curatore di una trentina di volumi dedicati alla poesia latina ed italiana, alla storia del Novecento e alla politica, fondatore con Giuseppe Iuliano del Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud e condirettore artistico con lo stesso del “Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo”, si è occupato di recente di Giuseppe Marotta, valorizzando le origini irpine dello scrittore de L’oro di Napoli. Ha, inoltre, pubblicato le poesie dedicate al terremoto dell’Irpinia (La polvere e la luna. I poeti del 23 novembre, Delta 3 edizioni, 2010), ha curato il poemetto La prigione di Francesco De Sanctis, ed ha appena concluso il saggio meridionalista Dorso, Gramsci, Sturzo: un dialogo “spezzato” (e altri saggi dorsiani), volume di prossima pubblicazione per i tipi della Delta 3 edizioni.

Fonte: Rainews24


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