Di Natale Cuccurese*
Su La Stampa del 23 marzo 2023 leggiamo che il presidente della Regione Liguria, Toti, dichiara: “Più soldi pubblici a chi riesce a impiegarli in tempo, meno a chi è lento”. In altre parole più soldi a lui e alle Regioni “virtuose” (coi soldi degli altri) del Nord.
Come sto scrivendo da mesi in Italia, dal 2001 al 2021, i dipendenti comunali grazie alla spending review sono diminuiti da 450.000 a 320.000, un calo avvenuto, grazie alla propaganda leghista, in larghissima parte nel Mezzogiorno dove le città non hanno più personale per servizi essenziali e mancano i tecnici per il Pnrr.
Perché accanirsi contro il Sud? Chi pagherà? Il cittadino comune, soprattutto più fragile. Perché non attivare da subito azioni suppletive dello Stato, come previsto in Costituzione, visto che la situazione era ampiamente nota?
Evidentemente si è giocato alle tre carte su questo per favorire i soliti territori della “Locomotiva”. Così è più comodo dar voce al vittimismo predatorio di Sala/Fontana e ora anche di Toti. Questi signori sanno benissimo che il problema non è che il Sud è lento, ma che la gara del PNRR è truccata dal principio.
Resta inteso che nei prossimi decenni i cittadini del Sud, che riceveranno molto meno di quelli del Nord, dovranno ripagare il debito in egual misura…
Ecco perché la definizione “la truffa del Pnrr “è la più appropriata.
Nel frattempo, come ci informa il 21 marzo la Commissione europea, comunque nessun intervento Pnrr, con scadenza 31 marzo, è stato completato, nemmeno dalle Regioni che si autoproclamano “virtuose”, e dunque la terza rata da 19 miliardi del finanziamento è a forte rischio. La Commissione ha così attivato, nei confronti dell'Italia, 14 progetti nell'ambito dello strumento di sostegno tecnico (Sst), il programma Ue che fornisce agli Stati membri assistenza (da Nord a Sud…) su misura per attuare riforme Pnrr.
Così l’Italia con l’autonomia regionale differenziata, sprofonda sempre più nel ridicolo perché oltretutto con l’arlecchinesca regionalizzazione sarà impossibile realizzare politiche pubbliche nazionali e per le imprese le difficoltà aumenteranno causa il mercato interno frammentato. Non a caso pochi giorni fa è giunto l’appello di Confindustria (Nord), così come riportato dal Messaggero del 21 marzo, che chiede che l’autonomia differenziata non riguardi materie strategiche per l’economia e non crei problemi per la finanza pubblica.
Ciò significa che, secondo Confindustria, le richieste delle regioni Veneto, Lombardia e Emilia vanno semplicemente respinte o completamente riviste.
La domanda da porsi è: come mai Confindustria (Nord) teme lo Spacca-Italia e chiede un freno? Per patriottismo?! Forse, ma molto più probabilmente è solo una mera questione di soldi, cosa che gli industriali capiscono molto meglio di Calderoli e di leghisti e protoleghisti al seguito. Infatti la visione miope, se non demenziale e masochisticamente antimeridionale di leghisti e protoleghisti, causata da un razzismo e un pregiudizio fortemente radicato, immotivato e miserabile, fa perdere a questi politicanti la lucidità di analisi (se mai l’hanno avuta).
Circa un anno e mezzo fa, Bankitalia ha proposto un approccio totalmente diverso rispetto a quello proposto da sempre dai governi nazionali, basato su studi e tabelle inoppugnabili che dimostrano quello che appare sempre più evidente a tutti, tranne che ai liberisti al governo, e cioè che per crescere l’Italia deve ridurre il divario tra Nord e Sud e rilanciare gli investimenti pubblici al Sud: “La competitività delle imprese è strettamente legata alla disponibilità di una rete adeguata di trasporti e di telecomunicazioni”, rete trasporti in particolare che come risaputo al Sud non è adeguata. Il Pil del Nord dipende meno di quanto si creda dalle esportazioni all’estero e più di quanto non si pensi dalla vendita dei prodotti al Sud. La situazione di import-export tra Nord e Sud Italia è resa possibile proprio dai tanto discussi trasferimenti fiscali da Nord a Sud. Detto ancora più semplicemente: se fossero annullati o anche solo ridotti (come all’atto pratico si concretizzerebbe con l’ottenimento dell’autonomia differenziata), il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, che ne subirebbe le conseguenze peggiori.
Come dimostra un altro studio della Banca d’Italia, i 45 miliardi di euro annui che in media, nel decennio 1995-2005, sono stati trasferiti da Nord a Sud sono tornati indietro con gli interessi grazie ai prodotti che il Nord gli ha nel frattempo venduto: 63 miliardi di euro all’anno. Miliardi che diventano 70,5 l’anno se si aggiungono i soldi che il Nord incassa per i rimborsi della mobilità sanitaria di cui abbiamo parlato sopra. Ci sarebbe come trasferimento fiscale dal Sud al Nord anche la formazione dei giovani laureati che emigrano al Nord per lavorare. Sempre secondo Bankitalia, l’aumento di 1 solo euro del Pil al Sud produce una crescita di 40 centesimi del Pil al Centro-Nord. Mentre non accade il contrario. L’aumento del Pil di 1 euro al Centro-Nord determina infatti una crescita per l’intero Paese di soli 10 centesimi”.
Ecco perché gli industriali tirano il freno, impoverire oltre misura il Mezzogiorno, sbocco delle loro merci non gli conviene. Figuriamoci poi se a questo si aggiungesse in futuro, per esasperazione da parte dei cittadini meridionali, un boicottaggio sistematico dei prodotti commerciati al Sud ma con sede legale al Nord, in vista della prossima introduzione del federalismo fiscale…
Il tutto mentre sul giornale di Confindustria (il Sole 24 ore) del 22 marzo arrivano dati Eurostat che non lasciano dubbi: Per quanto riguarda “la percentuale di ragazzi che non lavorano, non frequentano alcuna scuola e non sono impegnati neppure in uno stage o in un tirocinio, i cosiddetti NEET, le regioni europee messe peggio sono in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, ma non solo.
Nel 2021, ultima in assoluto era la Sicilia con il 30,2%, in peggioramento di quasi un punto rispetto al 2020. A seguire la Campania, con il 27,7% (28% l’anno prima). E risalendo, dopo una regione bulgara, troviamo la Calabria (27,2%). La media europea è del 10,8% (in miglioramento rispetto all’11,1% di un anno prima) ma in Italia comunque solo la Provincia autonoma di Bolzano supera appena la media, fermandosi al 10,5%. Il problema dunque riguarda tutti, non solo il Sud. In Piemonte, per dire, i NEET sono il 17,7%, come nel Lazio. Fa meglio, ma di poco, la Lombardia: 17,3%, ma erano al 15,7 un anno prima. L’Emilia-Romagna è al 13,5%”.
Il che dimostra che o ci si salva insieme o tutti insieme si affonda.
Riusciranno i politicanti leghisti e protoleghisti a capirlo?
Ah, saperlo…
(*) Presidente del Partito del Sud, Aderente Carta di Venosa
.
Di Natale Cuccurese*
Su La Stampa del 23 marzo 2023 leggiamo che il presidente della Regione Liguria, Toti, dichiara: “Più soldi pubblici a chi riesce a impiegarli in tempo, meno a chi è lento”. In altre parole più soldi a lui e alle Regioni “virtuose” (coi soldi degli altri) del Nord.
Come sto scrivendo da mesi in Italia, dal 2001 al 2021, i dipendenti comunali grazie alla spending review sono diminuiti da 450.000 a 320.000, un calo avvenuto, grazie alla propaganda leghista, in larghissima parte nel Mezzogiorno dove le città non hanno più personale per servizi essenziali e mancano i tecnici per il Pnrr.
Perché accanirsi contro il Sud? Chi pagherà? Il cittadino comune, soprattutto più fragile. Perché non attivare da subito azioni suppletive dello Stato, come previsto in Costituzione, visto che la situazione era ampiamente nota?
Evidentemente si è giocato alle tre carte su questo per favorire i soliti territori della “Locomotiva”. Così è più comodo dar voce al vittimismo predatorio di Sala/Fontana e ora anche di Toti. Questi signori sanno benissimo che il problema non è che il Sud è lento, ma che la gara del PNRR è truccata dal principio.
Resta inteso che nei prossimi decenni i cittadini del Sud, che riceveranno molto meno di quelli del Nord, dovranno ripagare il debito in egual misura…
Ecco perché la definizione “la truffa del Pnrr “è la più appropriata.
Nel frattempo, come ci informa il 21 marzo la Commissione europea, comunque nessun intervento Pnrr, con scadenza 31 marzo, è stato completato, nemmeno dalle Regioni che si autoproclamano “virtuose”, e dunque la terza rata da 19 miliardi del finanziamento è a forte rischio. La Commissione ha così attivato, nei confronti dell'Italia, 14 progetti nell'ambito dello strumento di sostegno tecnico (Sst), il programma Ue che fornisce agli Stati membri assistenza (da Nord a Sud…) su misura per attuare riforme Pnrr.
Così l’Italia con l’autonomia regionale differenziata, sprofonda sempre più nel ridicolo perché oltretutto con l’arlecchinesca regionalizzazione sarà impossibile realizzare politiche pubbliche nazionali e per le imprese le difficoltà aumenteranno causa il mercato interno frammentato. Non a caso pochi giorni fa è giunto l’appello di Confindustria (Nord), così come riportato dal Messaggero del 21 marzo, che chiede che l’autonomia differenziata non riguardi materie strategiche per l’economia e non crei problemi per la finanza pubblica.
Ciò significa che, secondo Confindustria, le richieste delle regioni Veneto, Lombardia e Emilia vanno semplicemente respinte o completamente riviste.
La domanda da porsi è: come mai Confindustria (Nord) teme lo Spacca-Italia e chiede un freno? Per patriottismo?! Forse, ma molto più probabilmente è solo una mera questione di soldi, cosa che gli industriali capiscono molto meglio di Calderoli e di leghisti e protoleghisti al seguito. Infatti la visione miope, se non demenziale e masochisticamente antimeridionale di leghisti e protoleghisti, causata da un razzismo e un pregiudizio fortemente radicato, immotivato e miserabile, fa perdere a questi politicanti la lucidità di analisi (se mai l’hanno avuta).
Circa un anno e mezzo fa, Bankitalia ha proposto un approccio totalmente diverso rispetto a quello proposto da sempre dai governi nazionali, basato su studi e tabelle inoppugnabili che dimostrano quello che appare sempre più evidente a tutti, tranne che ai liberisti al governo, e cioè che per crescere l’Italia deve ridurre il divario tra Nord e Sud e rilanciare gli investimenti pubblici al Sud: “La competitività delle imprese è strettamente legata alla disponibilità di una rete adeguata di trasporti e di telecomunicazioni”, rete trasporti in particolare che come risaputo al Sud non è adeguata. Il Pil del Nord dipende meno di quanto si creda dalle esportazioni all’estero e più di quanto non si pensi dalla vendita dei prodotti al Sud. La situazione di import-export tra Nord e Sud Italia è resa possibile proprio dai tanto discussi trasferimenti fiscali da Nord a Sud. Detto ancora più semplicemente: se fossero annullati o anche solo ridotti (come all’atto pratico si concretizzerebbe con l’ottenimento dell’autonomia differenziata), il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, che ne subirebbe le conseguenze peggiori.
Come dimostra un altro studio della Banca d’Italia, i 45 miliardi di euro annui che in media, nel decennio 1995-2005, sono stati trasferiti da Nord a Sud sono tornati indietro con gli interessi grazie ai prodotti che il Nord gli ha nel frattempo venduto: 63 miliardi di euro all’anno. Miliardi che diventano 70,5 l’anno se si aggiungono i soldi che il Nord incassa per i rimborsi della mobilità sanitaria di cui abbiamo parlato sopra. Ci sarebbe come trasferimento fiscale dal Sud al Nord anche la formazione dei giovani laureati che emigrano al Nord per lavorare. Sempre secondo Bankitalia, l’aumento di 1 solo euro del Pil al Sud produce una crescita di 40 centesimi del Pil al Centro-Nord. Mentre non accade il contrario. L’aumento del Pil di 1 euro al Centro-Nord determina infatti una crescita per l’intero Paese di soli 10 centesimi”.
Ecco perché gli industriali tirano il freno, impoverire oltre misura il Mezzogiorno, sbocco delle loro merci non gli conviene. Figuriamoci poi se a questo si aggiungesse in futuro, per esasperazione da parte dei cittadini meridionali, un boicottaggio sistematico dei prodotti commerciati al Sud ma con sede legale al Nord, in vista della prossima introduzione del federalismo fiscale…
Il tutto mentre sul giornale di Confindustria (il Sole 24 ore) del 22 marzo arrivano dati Eurostat che non lasciano dubbi: Per quanto riguarda “la percentuale di ragazzi che non lavorano, non frequentano alcuna scuola e non sono impegnati neppure in uno stage o in un tirocinio, i cosiddetti NEET, le regioni europee messe peggio sono in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, ma non solo.
Nel 2021, ultima in assoluto era la Sicilia con il 30,2%, in peggioramento di quasi un punto rispetto al 2020. A seguire la Campania, con il 27,7% (28% l’anno prima). E risalendo, dopo una regione bulgara, troviamo la Calabria (27,2%). La media europea è del 10,8% (in miglioramento rispetto all’11,1% di un anno prima) ma in Italia comunque solo la Provincia autonoma di Bolzano supera appena la media, fermandosi al 10,5%. Il problema dunque riguarda tutti, non solo il Sud. In Piemonte, per dire, i NEET sono il 17,7%, come nel Lazio. Fa meglio, ma di poco, la Lombardia: 17,3%, ma erano al 15,7 un anno prima. L’Emilia-Romagna è al 13,5%”.
Il che dimostra che o ci si salva insieme o tutti insieme si affonda.
Riusciranno i politicanti leghisti e protoleghisti a capirlo?
Ah, saperlo…
(*) Presidente del Partito del Sud, Aderente Carta di Venosa
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