giovedì 9 febbraio 2023

LA TRUFFA DEL PNRR (8) ”…il ritorno alla monarchia mentre il Mezzogiorno si spopola…"

 


Di Natale Cuccurese

Passato anche questo Natale l’orizzonte degli eventi non sembra particolarmente incoraggiante, visto che l’approvazione della Legge di Bilancio si basa ancora una volta sui soli voti di fiducia, senza nessuna discussione parlamentare e senza nemmeno che i parlamentari abbiano potuto prendere visione in tempi congrui dei vari articoli e discuterne. Con addirittura il Ddl Calderoli quello sul via libera all’Autonomia differenziata, partorito dopo decisioni prese nelle segrete stanze, in base alle alchimie spartitorie e agli equilibri di governo, anche in vista del Presidenzialismo. Va rilevato che l’Italia sembra rapidamente indietreggiare nel corso della storia, per tornare ai tempi della monarchia assoluta, quando il monarca decideva e imponeva con i ministri da lui solo nominati tasse e investimenti e il suo governo, non a caso, era definito “dei migliori”. La storia cambiò solo con le Rivoluzioni, inglese e francese, e con la conseguente nascita dei Parlamenti.
Il salto indietro dell’Italia è quindi quanto mai preoccupante. E’ vero che anche negli ultimi anni si era arrivati con il fiatone all’approvazione della Legge di Bilancio, ma una compressione e una mancanza assoluta di dibattito come quest’anno non si era mai raggiunta. Un vulnus notevole che dovrebbe preoccupare cittadini, media e vertici dello Stato e che invece passa nell’indifferenza generale. Si è passati dalla aristocrazia del sangue a quella della finanza e visto che la storia è ciclica e spesso si ripete e “insegna ma non ha scolari”, sarà interessante vedere cosa accadrà nel prossimo futuro visto l’acuirsi della crisi.
Malgrado il quotidiano elogio a reti unificate a Meloni, se analizziamo solo i più recenti avvenimenti, notiamo che l’azione del Governo è tutta volta a solo vantaggio di confindustriali e prenditori vari e che agli cittadini, i diseredati, il futuro non porterà nulla di buono, mentre è evidente a tutti che con la Flat-Tax un beneficio di 200€ a chi guadagna 20.000€/anno è "percentualmente" maggiore di 500€ a chi ne guadagna 100.000€. Eppure si sta sempre regalando 500€ (cifra comunque maggiore di 200€) a chi guadagna 100 mila euro, altro che "progressività" scritta in Costituzione.
Così la presupposta “manovra espansiva” tanto decantata da governo e miopi politicanti a servizio permanente, con la prevista revisione Irpef va a tutto vantaggio dei redditi medio-alti si configura come assolutamente regressiva.
Un enorme problema se si pensa che ben 4,6 milioni di persone vivono oggi in condizione di povertà assoluta, contro i 2,8 milioni del 2008, secondo dati Istat. Si dovrebbe iniziare ad aiutare concretamente quei cittadini più in difficoltà, che sono per la maggior quota nel Mezzogiorno, dove la situazione, già drammatica come testimoniato dai recenti dati Istat ed Eurispes sull'indice di povertà, che vede il Sud al primo posto d’Europa come Macroregione, diventerà presto insostenibile. Doveroso infatti rimarcare che il Sud già dall'apparizione di Draghi e del suo governo infarcito di leghisti e neo liberisti, è stato completamente cancellato non solo dall'agenda politica, ma anche dal dibattito dei media. La cancellazione prosegue con il governo Meloni. Il Mezzogiorno non è più menzionato nella prima stesura dei documenti ufficiali.
A proposito di diseguaglianza è doveroso ricordare la situazione che sta vivendo il Mezzogiorno, che già da prima della crisi Covid era in enorme difficoltà stretto tra razzismo di Stato e decennali scippi di fondi e risorse, l’ultimo sul Pnrr. Il Cnel nel suo rapporto 2020 ci informa che “Il risultato più drammatico del Covid è l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita che, mentre a livello nazionale continua ad essere la seconda più alta d’Europa, presenta difformità significative tra le città di Milano e Napoli fino a 3 anni che aumentano a 10 se si considerano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche dell’Italia settentrionale”. Anche questo comporta la continua deprivazione di fondi per la Sanità regionale. Sanità che comunque a livello nazionale è il comparto meno finanziato di tutto il Pnrr. E meno male che siamo appena usciti da una pandemia.
Stupisce poi che ci sia chi si meravigli “dell’inverno demografico” in Italia, per una popolazione che fra denatalità ed emigrazioni bibliche è in calo anno dopo anno. Ma d’altra parte l’Italia, grazie alle ricette neoliberiste che ci propinano da trent’anni tutti i governi di centrodestra e centrosinistra, anche in base alle indicazioni che discendono dalla Unione Europea, è un inferno di precariato dove le famiglie non possono più programmare un futuro dignitoso per sè e i propri figli. Basta pensare alle condizioni di sfruttamento bestiale dei rider, dei precari di ogni genere e tipo, che ricordano quelle descritti da Dickens nella Londra dell’800, non a caso ogni 100 residenti, con meno di 30 anni, 10,7 hanno scelto di trasferirsi all’estero. L’incidenza delle uscite, ovviamente, è più alta al Sud.
Ricordo quanto riportato dal rapporto Istat della scorsa settimana:
“Le differenze interne - anche infra-regionali - sono molteplici, e tendono a delineare contesti più o meno critici che talvolta ricalcano criteri di perifericità geografica (distanza dal Centro-Nord), e in altri casi di marginalità territoriale (cosiddette “aree interne”)». Nell’insieme, viene evidenziato, sembra emergere una difficile sostenibilità dei divari, per l’impatto inedito sulla struttura demografica della società meridionale, che appare sempre più fragile nelle prospettive future”.
«Gli esiti dei ritardi del Mezzogiorno stanno accentuando le fragilità della sua struttura socio-economica attraverso una sorta di “tsunami demografico”. Si tratta di un processo piuttosto ben delineato e di portata rilevante, che merita grande attenzione perché sembra prospettare un impatto inedito sulla struttura demografica di queste comunità. Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio».
Per l’Istat questi fenomeni «impattano sulla struttura demografica», con il delinearsi del «rischio di un eccessivo impoverimento demografico del Mezzogiorno. Fra il 2011 e il 2020, la popolazione residente in queste aree ha fatto registrare per la prima volta un calo (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord) dovuto a un saldo naturale divenuto negativo e alla ripresa dei flussi migratori. A tendenze invariate nel 2030 i residenti in questi territori scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei venti milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%)». La perdita di popolazione si concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani nel Mezzogiorno, evidenzia l’Istat, aggiungendo che «ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste regioni a supporto delle aree più sviluppate del paese. Inoltre, si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale».
A questo siamo tornati nell’Italia attuale, con una Costituzione tradita, mai interamente applicata e più volte ritoccata in peggio in passato e anche recentemente con la riduzione dei parlamentari, che han trasformato il Paese, grazie a politicanti imbelli, in un laboratorio mondiale dell’ordoliberismo.
Ricordando che i salari italiani sono, caso unico in Europa, più bassi oggi che nel 1990.
Un Paese l’Italia che avanza verso il burrone con la testa girata all’indietro, mentre giovani e cittadini senza futuro e speranza emigrano in massa all’estero.
Chi è responsabile della crisi attuale (e delle precedenti) dovrebbe ora per la stampa mainstream risolverla, usando però solo le vecchie ricette che ci hanno portato all’attuale situazione. Mentre addirittura c’è chi auspica, appunto, un ritorno ad una monarchia di fatto, con un Presidente della Repubblica che dirige dall’alto l'operato del Governo, ovviamente a solo a vantaggio dei “migliori”. Il tutto riponendo la Costituzione del 1948 dentro un cassetto, visto che il Presidenzialismo non è previsto. Il che, dopo aver giurato di rispettare la Costituzione da parte di Premier e Ministri, se non eversivo è sicuramente indice della trasmutazione della Repubblica nata dalla Resistenza in di una democratura sul modello di una repubblica Sudamericana delle banane.
(*) Presidente del Partito del Sud, Aderente Carta di Venosa


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Di Natale Cuccurese

Passato anche questo Natale l’orizzonte degli eventi non sembra particolarmente incoraggiante, visto che l’approvazione della Legge di Bilancio si basa ancora una volta sui soli voti di fiducia, senza nessuna discussione parlamentare e senza nemmeno che i parlamentari abbiano potuto prendere visione in tempi congrui dei vari articoli e discuterne. Con addirittura il Ddl Calderoli quello sul via libera all’Autonomia differenziata, partorito dopo decisioni prese nelle segrete stanze, in base alle alchimie spartitorie e agli equilibri di governo, anche in vista del Presidenzialismo. Va rilevato che l’Italia sembra rapidamente indietreggiare nel corso della storia, per tornare ai tempi della monarchia assoluta, quando il monarca decideva e imponeva con i ministri da lui solo nominati tasse e investimenti e il suo governo, non a caso, era definito “dei migliori”. La storia cambiò solo con le Rivoluzioni, inglese e francese, e con la conseguente nascita dei Parlamenti.
Il salto indietro dell’Italia è quindi quanto mai preoccupante. E’ vero che anche negli ultimi anni si era arrivati con il fiatone all’approvazione della Legge di Bilancio, ma una compressione e una mancanza assoluta di dibattito come quest’anno non si era mai raggiunta. Un vulnus notevole che dovrebbe preoccupare cittadini, media e vertici dello Stato e che invece passa nell’indifferenza generale. Si è passati dalla aristocrazia del sangue a quella della finanza e visto che la storia è ciclica e spesso si ripete e “insegna ma non ha scolari”, sarà interessante vedere cosa accadrà nel prossimo futuro visto l’acuirsi della crisi.
Malgrado il quotidiano elogio a reti unificate a Meloni, se analizziamo solo i più recenti avvenimenti, notiamo che l’azione del Governo è tutta volta a solo vantaggio di confindustriali e prenditori vari e che agli cittadini, i diseredati, il futuro non porterà nulla di buono, mentre è evidente a tutti che con la Flat-Tax un beneficio di 200€ a chi guadagna 20.000€/anno è "percentualmente" maggiore di 500€ a chi ne guadagna 100.000€. Eppure si sta sempre regalando 500€ (cifra comunque maggiore di 200€) a chi guadagna 100 mila euro, altro che "progressività" scritta in Costituzione.
Così la presupposta “manovra espansiva” tanto decantata da governo e miopi politicanti a servizio permanente, con la prevista revisione Irpef va a tutto vantaggio dei redditi medio-alti si configura come assolutamente regressiva.
Un enorme problema se si pensa che ben 4,6 milioni di persone vivono oggi in condizione di povertà assoluta, contro i 2,8 milioni del 2008, secondo dati Istat. Si dovrebbe iniziare ad aiutare concretamente quei cittadini più in difficoltà, che sono per la maggior quota nel Mezzogiorno, dove la situazione, già drammatica come testimoniato dai recenti dati Istat ed Eurispes sull'indice di povertà, che vede il Sud al primo posto d’Europa come Macroregione, diventerà presto insostenibile. Doveroso infatti rimarcare che il Sud già dall'apparizione di Draghi e del suo governo infarcito di leghisti e neo liberisti, è stato completamente cancellato non solo dall'agenda politica, ma anche dal dibattito dei media. La cancellazione prosegue con il governo Meloni. Il Mezzogiorno non è più menzionato nella prima stesura dei documenti ufficiali.
A proposito di diseguaglianza è doveroso ricordare la situazione che sta vivendo il Mezzogiorno, che già da prima della crisi Covid era in enorme difficoltà stretto tra razzismo di Stato e decennali scippi di fondi e risorse, l’ultimo sul Pnrr. Il Cnel nel suo rapporto 2020 ci informa che “Il risultato più drammatico del Covid è l’accentuazione del divario Nord-Sud nella speranza di vita che, mentre a livello nazionale continua ad essere la seconda più alta d’Europa, presenta difformità significative tra le città di Milano e Napoli fino a 3 anni che aumentano a 10 se si considerano le fasce sociali più povere del Mezzogiorno e quelle più ricche dell’Italia settentrionale”. Anche questo comporta la continua deprivazione di fondi per la Sanità regionale. Sanità che comunque a livello nazionale è il comparto meno finanziato di tutto il Pnrr. E meno male che siamo appena usciti da una pandemia.
Stupisce poi che ci sia chi si meravigli “dell’inverno demografico” in Italia, per una popolazione che fra denatalità ed emigrazioni bibliche è in calo anno dopo anno. Ma d’altra parte l’Italia, grazie alle ricette neoliberiste che ci propinano da trent’anni tutti i governi di centrodestra e centrosinistra, anche in base alle indicazioni che discendono dalla Unione Europea, è un inferno di precariato dove le famiglie non possono più programmare un futuro dignitoso per sè e i propri figli. Basta pensare alle condizioni di sfruttamento bestiale dei rider, dei precari di ogni genere e tipo, che ricordano quelle descritti da Dickens nella Londra dell’800, non a caso ogni 100 residenti, con meno di 30 anni, 10,7 hanno scelto di trasferirsi all’estero. L’incidenza delle uscite, ovviamente, è più alta al Sud.
Ricordo quanto riportato dal rapporto Istat della scorsa settimana:
“Le differenze interne - anche infra-regionali - sono molteplici, e tendono a delineare contesti più o meno critici che talvolta ricalcano criteri di perifericità geografica (distanza dal Centro-Nord), e in altri casi di marginalità territoriale (cosiddette “aree interne”)». Nell’insieme, viene evidenziato, sembra emergere una difficile sostenibilità dei divari, per l’impatto inedito sulla struttura demografica della società meridionale, che appare sempre più fragile nelle prospettive future”.
«Gli esiti dei ritardi del Mezzogiorno stanno accentuando le fragilità della sua struttura socio-economica attraverso una sorta di “tsunami demografico”. Si tratta di un processo piuttosto ben delineato e di portata rilevante, che merita grande attenzione perché sembra prospettare un impatto inedito sulla struttura demografica di queste comunità. Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio».
Per l’Istat questi fenomeni «impattano sulla struttura demografica», con il delinearsi del «rischio di un eccessivo impoverimento demografico del Mezzogiorno. Fra il 2011 e il 2020, la popolazione residente in queste aree ha fatto registrare per la prima volta un calo (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord) dovuto a un saldo naturale divenuto negativo e alla ripresa dei flussi migratori. A tendenze invariate nel 2030 i residenti in questi territori scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei venti milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%)». La perdita di popolazione si concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani nel Mezzogiorno, evidenzia l’Istat, aggiungendo che «ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste regioni a supporto delle aree più sviluppate del paese. Inoltre, si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale».
A questo siamo tornati nell’Italia attuale, con una Costituzione tradita, mai interamente applicata e più volte ritoccata in peggio in passato e anche recentemente con la riduzione dei parlamentari, che han trasformato il Paese, grazie a politicanti imbelli, in un laboratorio mondiale dell’ordoliberismo.
Ricordando che i salari italiani sono, caso unico in Europa, più bassi oggi che nel 1990.
Un Paese l’Italia che avanza verso il burrone con la testa girata all’indietro, mentre giovani e cittadini senza futuro e speranza emigrano in massa all’estero.
Chi è responsabile della crisi attuale (e delle precedenti) dovrebbe ora per la stampa mainstream risolverla, usando però solo le vecchie ricette che ci hanno portato all’attuale situazione. Mentre addirittura c’è chi auspica, appunto, un ritorno ad una monarchia di fatto, con un Presidente della Repubblica che dirige dall’alto l'operato del Governo, ovviamente a solo a vantaggio dei “migliori”. Il tutto riponendo la Costituzione del 1948 dentro un cassetto, visto che il Presidenzialismo non è previsto. Il che, dopo aver giurato di rispettare la Costituzione da parte di Premier e Ministri, se non eversivo è sicuramente indice della trasmutazione della Repubblica nata dalla Resistenza in di una democratura sul modello di una repubblica Sudamericana delle banane.
(*) Presidente del Partito del Sud, Aderente Carta di Venosa


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