sabato 12 maggio 2012

Un piano Marshall per il Sud o è meglio uscire dall’Euro


La fine della moneta costerà cara alla Germania. Al Mezzogiorno conviene
di Piero Sansonetti
Fonte: Calabria Ora, SABATO 12 maggio 2012 pag.6












Il governo Monti ha deciso di stanziare un po’ meno di due miliardi e mezzo per il Mezzogiorno. Lo scrivono le agenzie di stampa. Oppure  potremmo scrivere così: il governo Monti ha deciso di non stanziare 97 miliardi e mezzo per il Mezzogiorno. Già, questi due miliardi e mezzo dei quali parlano le agenzie di stampa sono soltanto una minuscola parte dello stanziamento di cento miliardi deciso svariati anni fa dal governo Prodi (e rimasto nel cassetto), poi limato di trenta miliardi e rideciso dal governo Berlusconi (e rimasto nel cassetto), e ora ridotto a una piccola elemosina (che certamente resterà anche lei nel cassetto). Attenzione: non sono soldi del governo, sono fondi europei. 
Quindi potremmo scrivere così: il governo ha deciso di sottrarre illegittimamente al Sud 97 miliardi che spettano al Sud. Cioè, una rapina. Vabbè, lasciamo stare che tanto siamo abituati. Ora il problema al quale non si può più sfuggire è questo: il Mezzogiorno ha qualche convenienza a restare nell’Euro e sobbarcarsi tutte le politiche di tagli sacrifici e rigore decise dal nostro nuovo capo del governo, che si chiama Olli Rehn (è finlandese ed esercita il suo potere con la collaborazione di un suo aiutante italiano, un certo Monti Mario)? Anche ieri questo Rehn (e cioè l’uomo che in novembre scrisse il programma del governo e lo spedì per lettera a Monti e a Napolitano) ha dichiarato alla stampa che in Italia saranno necessari nuovi interventi di riduzione della spesa pubblica ma che sono solo interventi già previsti e comunicati a palazzo Chigi. 
Ecco: conviene l’Euro al Sud? A occhio la risposta è abbastanza semplice e secca: NO. Nei giorni scorsi su alcuni giornali italiani sono apparsi resoconti su complessi studi che spiegano che la rottura dell’area-Euro avrebbe costi altissimi, soprattutto per i tedeschi. Il “Corriere della Sera” parlava di un possibile costo, per la Germania, pari al 20 per cento del pil (cioè della ricchezza prodotta da tutta la nazione in un anno di lavoro). Una mostruosità.  Al Mezzogiorno di Italia, invece – parliamo del Mezzogiorno d’Italia, ma potremmo parlare anche della Grecia o della Spagna – quanto costerebbe l’uscita dall’Euro e che
vantaggi comporterebbe? In attesa di smentite possiamo dire che il ritorno a una moneta nazionale – o comunque a una moneta di valore molto inferiore all’Euro e a un sistema che permetta di “battere moneta” e dunque di realizzare politiche economiche indipendenti, usando varie
leve tra le quali quella dell’inflazione – darebbe, nel Sud, un enorme impulso al turismo, permetterebbe un forte intervento della spesa pubblica, renderebbe possibile la realizzazione di infrastrutture, probabilmente aiuterebbe la nascita di una giovane rete industriale che oggi non c’è. Il costo sarebbe essenzialmente un costo politico che naturalmente avrebbe una ricaduta pesante sui colossi dell’economia italiana e in particolare sul sistema bancario. Ma qui al Mezzogiorno questi colossi non ci sono e non distribuiscono un solo euro. 
E allora, visto che la crisi morde, e visto che pare che assolutamente a nessuno interessi un fico secco del parere delle popolazioni del Mezzogiorno, ci sarà consentito, per una volta, di fare gli egoisti? E da egoisti – cioè da gente che si è un po’ stufata di dover supportare, da decenni, semplicemente gli interessi del Norditalia e della Germania, e di farsi sfruttare dal Norditalia e dalla Germania, e di accettare con meraviglia e ossequio qualunque loro analisi politica – ci sembra lecitissimo dire: basta con l’Euro. L’Euro è stato il miracolo realizzato nel 1997 dal governo Prodi e raccolto e coccolato poi dai successivi governi Berlusconi e Prodi senza tante distinzioni tra destra e sinistra. Ma l’Euro, è chiaro, era una fregatura. Soprattuto per il modo nel quale si è realizzato: senza unità politica dell’Europa e senza struttura democratica dell’Europa. La forza dell’Euro – con un valore deciso dai tedeschi e funzionale all’economia tedesca – insieme all’assenza di democrazia, hanno consegnato l’intero potere politico del Continente alle potenze economiche del Nord. Risultato: il Sud dell’Europa, e dell’Italia, è stato travolto da una crisi generale nella quale la cosa che ha pesato di più è stato l’aumento delle diseguaglianze, cioè esattamente la politica imposta dall’Euro. Vedete: è un circolo vizioso, solo spezzandolo si può trovare una via d’uscita dalla crisi. Al punto al quale sono arrivare le cose, l’unico modo per spezzare il cerchio è far saltare l’Euro, cioè cancellare la causa e l’effetto di tutti i mali. Non è questa che stiamo esponendo una tesi bislacca pensata da noi. 
Proprio ieri sul “Corriere della Sera” c’era una intervista a un importante economista americano, che è stato ministro del Tesoro nel governo Clinton (Robert Reich) il quale contestava la politica europea e l’Euro e diceva: l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali è la causa della crisi, e quindi si può affrontare la crisi solo riducendo queste diseguaglianze e non aumentandole con la politica dei tagli e della riduzione della pesa pubblica e delle tasse a pioggia sui poveri e sul ceto medio.C’è una possibilità di salvare l’Euro? Una sola: un cambio drastico delle politiche europee e nazionali. Cioè la decisione di spostare verso le zone più povere del continente (Grecia, Portogallo, Sud dell’Italia e della Spagna, Irlanda) una massa molto  consistente di ricchezze che ora sono al Nord, al Nord Italia e in Germania. Non due miliardi e tre, per intenderci, ma almeno mille volte di più. Mettere in piedi un gigantesco piano Marshall che inizi a restuitire al Sud dell’Europa tutto ciò che è stato rapinato negli ultimi due secoli. Questa è la condizione.
Altrimenti via dall’Euro e se la Germania ci rimette un quinto del suo pil, chissenefrega!

Fonte internet: Paola e Cultura

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La fine della moneta costerà cara alla Germania. Al Mezzogiorno conviene
di Piero Sansonetti
Fonte: Calabria Ora, SABATO 12 maggio 2012 pag.6












Il governo Monti ha deciso di stanziare un po’ meno di due miliardi e mezzo per il Mezzogiorno. Lo scrivono le agenzie di stampa. Oppure  potremmo scrivere così: il governo Monti ha deciso di non stanziare 97 miliardi e mezzo per il Mezzogiorno. Già, questi due miliardi e mezzo dei quali parlano le agenzie di stampa sono soltanto una minuscola parte dello stanziamento di cento miliardi deciso svariati anni fa dal governo Prodi (e rimasto nel cassetto), poi limato di trenta miliardi e rideciso dal governo Berlusconi (e rimasto nel cassetto), e ora ridotto a una piccola elemosina (che certamente resterà anche lei nel cassetto). Attenzione: non sono soldi del governo, sono fondi europei. 
Quindi potremmo scrivere così: il governo ha deciso di sottrarre illegittimamente al Sud 97 miliardi che spettano al Sud. Cioè, una rapina. Vabbè, lasciamo stare che tanto siamo abituati. Ora il problema al quale non si può più sfuggire è questo: il Mezzogiorno ha qualche convenienza a restare nell’Euro e sobbarcarsi tutte le politiche di tagli sacrifici e rigore decise dal nostro nuovo capo del governo, che si chiama Olli Rehn (è finlandese ed esercita il suo potere con la collaborazione di un suo aiutante italiano, un certo Monti Mario)? Anche ieri questo Rehn (e cioè l’uomo che in novembre scrisse il programma del governo e lo spedì per lettera a Monti e a Napolitano) ha dichiarato alla stampa che in Italia saranno necessari nuovi interventi di riduzione della spesa pubblica ma che sono solo interventi già previsti e comunicati a palazzo Chigi. 
Ecco: conviene l’Euro al Sud? A occhio la risposta è abbastanza semplice e secca: NO. Nei giorni scorsi su alcuni giornali italiani sono apparsi resoconti su complessi studi che spiegano che la rottura dell’area-Euro avrebbe costi altissimi, soprattutto per i tedeschi. Il “Corriere della Sera” parlava di un possibile costo, per la Germania, pari al 20 per cento del pil (cioè della ricchezza prodotta da tutta la nazione in un anno di lavoro). Una mostruosità.  Al Mezzogiorno di Italia, invece – parliamo del Mezzogiorno d’Italia, ma potremmo parlare anche della Grecia o della Spagna – quanto costerebbe l’uscita dall’Euro e che
vantaggi comporterebbe? In attesa di smentite possiamo dire che il ritorno a una moneta nazionale – o comunque a una moneta di valore molto inferiore all’Euro e a un sistema che permetta di “battere moneta” e dunque di realizzare politiche economiche indipendenti, usando varie
leve tra le quali quella dell’inflazione – darebbe, nel Sud, un enorme impulso al turismo, permetterebbe un forte intervento della spesa pubblica, renderebbe possibile la realizzazione di infrastrutture, probabilmente aiuterebbe la nascita di una giovane rete industriale che oggi non c’è. Il costo sarebbe essenzialmente un costo politico che naturalmente avrebbe una ricaduta pesante sui colossi dell’economia italiana e in particolare sul sistema bancario. Ma qui al Mezzogiorno questi colossi non ci sono e non distribuiscono un solo euro. 
E allora, visto che la crisi morde, e visto che pare che assolutamente a nessuno interessi un fico secco del parere delle popolazioni del Mezzogiorno, ci sarà consentito, per una volta, di fare gli egoisti? E da egoisti – cioè da gente che si è un po’ stufata di dover supportare, da decenni, semplicemente gli interessi del Norditalia e della Germania, e di farsi sfruttare dal Norditalia e dalla Germania, e di accettare con meraviglia e ossequio qualunque loro analisi politica – ci sembra lecitissimo dire: basta con l’Euro. L’Euro è stato il miracolo realizzato nel 1997 dal governo Prodi e raccolto e coccolato poi dai successivi governi Berlusconi e Prodi senza tante distinzioni tra destra e sinistra. Ma l’Euro, è chiaro, era una fregatura. Soprattuto per il modo nel quale si è realizzato: senza unità politica dell’Europa e senza struttura democratica dell’Europa. La forza dell’Euro – con un valore deciso dai tedeschi e funzionale all’economia tedesca – insieme all’assenza di democrazia, hanno consegnato l’intero potere politico del Continente alle potenze economiche del Nord. Risultato: il Sud dell’Europa, e dell’Italia, è stato travolto da una crisi generale nella quale la cosa che ha pesato di più è stato l’aumento delle diseguaglianze, cioè esattamente la politica imposta dall’Euro. Vedete: è un circolo vizioso, solo spezzandolo si può trovare una via d’uscita dalla crisi. Al punto al quale sono arrivare le cose, l’unico modo per spezzare il cerchio è far saltare l’Euro, cioè cancellare la causa e l’effetto di tutti i mali. Non è questa che stiamo esponendo una tesi bislacca pensata da noi. 
Proprio ieri sul “Corriere della Sera” c’era una intervista a un importante economista americano, che è stato ministro del Tesoro nel governo Clinton (Robert Reich) il quale contestava la politica europea e l’Euro e diceva: l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali è la causa della crisi, e quindi si può affrontare la crisi solo riducendo queste diseguaglianze e non aumentandole con la politica dei tagli e della riduzione della pesa pubblica e delle tasse a pioggia sui poveri e sul ceto medio.C’è una possibilità di salvare l’Euro? Una sola: un cambio drastico delle politiche europee e nazionali. Cioè la decisione di spostare verso le zone più povere del continente (Grecia, Portogallo, Sud dell’Italia e della Spagna, Irlanda) una massa molto  consistente di ricchezze che ora sono al Nord, al Nord Italia e in Germania. Non due miliardi e tre, per intenderci, ma almeno mille volte di più. Mettere in piedi un gigantesco piano Marshall che inizi a restuitire al Sud dell’Europa tutto ciò che è stato rapinato negli ultimi due secoli. Questa è la condizione.
Altrimenti via dall’Euro e se la Germania ci rimette un quinto del suo pil, chissenefrega!

Fonte internet: Paola e Cultura

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