sabato 23 luglio 2011

Per il Sud telefonare al numero verde

di LINO PATRUNO

Non è per pensare sempre al Sud di fronte alla crisi fallimento che può buttarebuttare in Africa tutta l’Italia. Ma ancòra una volta mancherà al Sud anche il mitico e farsesco “qualcosismo”: facciamo qualcosa, tanto per dire che l’abbia - mo fatta. Nella manovra infarcita di nuove tasse e indegnamente reticente di tagli alla spesa, l’unica spesa non solo tagliata, ma scomparsa è quella per il Sud. Se qualcuno ha notizie del piano per il Sud, telefoni al numero verde. Anche se già incombecompare minaccioso il solito dito accusatore: come, l’Italia è in queste condizioni e voi state a pensare solo al vostro Sud? Per la verità nessuno osa neanche pensarci, fedele alla storica condanna del Sud: tanto incolpato di colpe che non ha, da convincersi di averle, e anzi di vergognarsene pure.

E poi il Sud è come una grande anima generosa. Bisogna pagare le multe dei lattai leghisti all’Europa? Si prende dai soldi destinati al Sud. Bisogna riparare i danni dell’alluvione in Veneto? Si attinge dagli stessi soldi. Bisogna aumentare i traghetti nel lago di Garda? Mano ai soldi del Sud. Bisogna restituire ai Comuni italianidi tutta Italia il mancato introito dell’Ici abolita? Ci pensa santo Sud. Però bisogna riconoscere che lo sviluppo del Sud gli sta sempre a cuore. Infatti fanno un piano dietro l’altro, perché quello precedente è sempre sparito da qualche parte. Questa volta però non stiamo a sottilizzare e suoniamo l’inno di Mameli, suvvia. Anche se per il Sud è andata sempre così. Non essendo mai stato considerato, come avrebbe dovuto essere, il primo problema nazionale, anzi il problema nazionale, si è intervenuti soltanto mettendo pezze di qua e di là: il classico cambiare qualcosa per lasciare tutto come sta. Così più piani per il Sud ci sono stati in 150 anni piani per il Sud,, più il Sud è andato indietro. Più andava indietro perché non era mai considerato il vero problema nazionale, più si accusava il Sud di spreco di soldi, anche se a gestirli non era il Sud. Il cane magro prende sempre botte.

Soltanto i convegni sul Sud sono stati più numerosi dei piani per il Sud. Dei cento famosi miliardi per il Sud dei quali si è più volte strombazzato negli ultimi anni, nellall’annuncio dell’ultimo piano la metà si era già volatilizzata. Ora si è volatilizzata anche l’altra metà, tranne che non arrivi la telefonata di ritrovamento al numero verde. E intanto furoreggia il solito Bortolussi leader degli Artigiani di Mestre, il quale scopre che la manovra “lacrime e sangue” colpirà di più il Nord. E calcola quante nuove tasse pagherà il Nord e quante il Sud. Forse a Bortolussi sarebbe piaciuto che avessero pagato più tasse i meridionali che hanno un reddito del 30-35 per cento in meno rispetto ai loro fratelli d’Italia settentrionali. Fedele al principio molto nazionale che paga più tasse chi sta peggio. I meridionali vedano di fare qualcosa per accontentarlo, altrimenti quale grande anima sarebbero? E’ la stessa storia del sociologo piemontese Ricolfi, che nel suo libro “Sacco del Nord” afferma che il Nord passa al Sud ogni anno 50 miliardi. Ricolfi tralascia che in base al principio costituzionale della progressività dell’imposta, paga di più (o dovrebbe) chi più ha. E lo Stato redistribuisce con la sua spesa. E omette di aggiungere che tra acquisto di prodotti e servizi del Nord, più gli 80 mila diplomati o laureati che il Sud regala ogni anno al Nord con l’emigrazione intellettuale, dal Sud al Nord salgono ogni anno 96 miliardi. Ma non vorremo stare a immiserirci con queste meschinerie.

Non vorremo stare a ricordare, mentre la casa brucia, che se vogliamo meno lacrime e sangue, cioè meno tasse, dovremmo crescere di più, cioè aumentare le entrate e diminuire le uscite. E l’unico posto in cui si può crescere è dove la possibilità c’è: al Sud. Ma è già sconveniente solo pronunciarlo. Meglio che continui a crescere la locomotiva del Nord, anche se poi non si va a più dell’uno per cento l’anno. Per il Sud vedremo, quando sarà passata la bufera, se stavolta passerà, di pensare a un altro piano e a qualche altra decina di convegni. Perché sia chiaro, abbiamo tutti il Sud nel cuore. Tutto ciò presuppone che i nonni del Sud vivano almeno cent’anni, come questi maledetti meridionali sono capaci di fare, continuando a essere il bastone per la giovinezza dei nipoti disoccupati. E che gli invalidi (veri) non si alzino e camminino come Lazzaro perdendo la pensione sulla quale in molto Sud sopravvivono intere famiglie. E che non si esauriscano i risparmi sotto il mattone che si comincia troppo a toccare. E’ vero che il Sud è meno povero di quanto sembri perché non si calcola il sommerso, ma a prosciugare anche i redditi in nero inizia a provvedere il federalismo fiscale che già si rivela ciò che si temeva: un salasso di tasse locali senza che diminuiscano (anzi) quelle nazionali. Bisognerebbe ringraziare il Sud per la sua sottomissione, che non fa prendere a pomodori in faccia la politica come nella civilissima Parma della corruzione. Anche perché i pomodori costano e il Sud non può permetterselo. Per ora.


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di LINO PATRUNO

Non è per pensare sempre al Sud di fronte alla crisi fallimento che può buttarebuttare in Africa tutta l’Italia. Ma ancòra una volta mancherà al Sud anche il mitico e farsesco “qualcosismo”: facciamo qualcosa, tanto per dire che l’abbia - mo fatta. Nella manovra infarcita di nuove tasse e indegnamente reticente di tagli alla spesa, l’unica spesa non solo tagliata, ma scomparsa è quella per il Sud. Se qualcuno ha notizie del piano per il Sud, telefoni al numero verde. Anche se già incombecompare minaccioso il solito dito accusatore: come, l’Italia è in queste condizioni e voi state a pensare solo al vostro Sud? Per la verità nessuno osa neanche pensarci, fedele alla storica condanna del Sud: tanto incolpato di colpe che non ha, da convincersi di averle, e anzi di vergognarsene pure.

E poi il Sud è come una grande anima generosa. Bisogna pagare le multe dei lattai leghisti all’Europa? Si prende dai soldi destinati al Sud. Bisogna riparare i danni dell’alluvione in Veneto? Si attinge dagli stessi soldi. Bisogna aumentare i traghetti nel lago di Garda? Mano ai soldi del Sud. Bisogna restituire ai Comuni italianidi tutta Italia il mancato introito dell’Ici abolita? Ci pensa santo Sud. Però bisogna riconoscere che lo sviluppo del Sud gli sta sempre a cuore. Infatti fanno un piano dietro l’altro, perché quello precedente è sempre sparito da qualche parte. Questa volta però non stiamo a sottilizzare e suoniamo l’inno di Mameli, suvvia. Anche se per il Sud è andata sempre così. Non essendo mai stato considerato, come avrebbe dovuto essere, il primo problema nazionale, anzi il problema nazionale, si è intervenuti soltanto mettendo pezze di qua e di là: il classico cambiare qualcosa per lasciare tutto come sta. Così più piani per il Sud ci sono stati in 150 anni piani per il Sud,, più il Sud è andato indietro. Più andava indietro perché non era mai considerato il vero problema nazionale, più si accusava il Sud di spreco di soldi, anche se a gestirli non era il Sud. Il cane magro prende sempre botte.

Soltanto i convegni sul Sud sono stati più numerosi dei piani per il Sud. Dei cento famosi miliardi per il Sud dei quali si è più volte strombazzato negli ultimi anni, nellall’annuncio dell’ultimo piano la metà si era già volatilizzata. Ora si è volatilizzata anche l’altra metà, tranne che non arrivi la telefonata di ritrovamento al numero verde. E intanto furoreggia il solito Bortolussi leader degli Artigiani di Mestre, il quale scopre che la manovra “lacrime e sangue” colpirà di più il Nord. E calcola quante nuove tasse pagherà il Nord e quante il Sud. Forse a Bortolussi sarebbe piaciuto che avessero pagato più tasse i meridionali che hanno un reddito del 30-35 per cento in meno rispetto ai loro fratelli d’Italia settentrionali. Fedele al principio molto nazionale che paga più tasse chi sta peggio. I meridionali vedano di fare qualcosa per accontentarlo, altrimenti quale grande anima sarebbero? E’ la stessa storia del sociologo piemontese Ricolfi, che nel suo libro “Sacco del Nord” afferma che il Nord passa al Sud ogni anno 50 miliardi. Ricolfi tralascia che in base al principio costituzionale della progressività dell’imposta, paga di più (o dovrebbe) chi più ha. E lo Stato redistribuisce con la sua spesa. E omette di aggiungere che tra acquisto di prodotti e servizi del Nord, più gli 80 mila diplomati o laureati che il Sud regala ogni anno al Nord con l’emigrazione intellettuale, dal Sud al Nord salgono ogni anno 96 miliardi. Ma non vorremo stare a immiserirci con queste meschinerie.

Non vorremo stare a ricordare, mentre la casa brucia, che se vogliamo meno lacrime e sangue, cioè meno tasse, dovremmo crescere di più, cioè aumentare le entrate e diminuire le uscite. E l’unico posto in cui si può crescere è dove la possibilità c’è: al Sud. Ma è già sconveniente solo pronunciarlo. Meglio che continui a crescere la locomotiva del Nord, anche se poi non si va a più dell’uno per cento l’anno. Per il Sud vedremo, quando sarà passata la bufera, se stavolta passerà, di pensare a un altro piano e a qualche altra decina di convegni. Perché sia chiaro, abbiamo tutti il Sud nel cuore. Tutto ciò presuppone che i nonni del Sud vivano almeno cent’anni, come questi maledetti meridionali sono capaci di fare, continuando a essere il bastone per la giovinezza dei nipoti disoccupati. E che gli invalidi (veri) non si alzino e camminino come Lazzaro perdendo la pensione sulla quale in molto Sud sopravvivono intere famiglie. E che non si esauriscano i risparmi sotto il mattone che si comincia troppo a toccare. E’ vero che il Sud è meno povero di quanto sembri perché non si calcola il sommerso, ma a prosciugare anche i redditi in nero inizia a provvedere il federalismo fiscale che già si rivela ciò che si temeva: un salasso di tasse locali senza che diminuiscano (anzi) quelle nazionali. Bisognerebbe ringraziare il Sud per la sua sottomissione, che non fa prendere a pomodori in faccia la politica come nella civilissima Parma della corruzione. Anche perché i pomodori costano e il Sud non può permetterselo. Per ora.


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