martedì 15 giugno 2010

Resoconto sul Convegno Design in Mostra sul tema della "decrescita", tenutosi il 12/06/2010 c/o la Mostra d'Oltremare di Napoli




L'affollato convegno, con la presenza di molti giovani, è stato caratterizzato dal veemente ed applaudito intervento del missionario Padre Alex Zanotelli, dal coinvolgente discorso dell'arch.tto Riccardo Dalisi con il suo lavoro assieme ai bambini di strada e con i piccoli artigiani e da altri ottimi interventi. Unica nota un pò fuori tiro il soporifero e politichese discorso del senatore Massimo Villone del PD.


Riportiamo il nostro contributo che, oltre ad aver molto incuriosito, ha ricevuto consensi, complimenti ed applausi :


"il Meridionalismo e la decrescita"


“Non tutti mi conoscono, mi ripresento : sono Andrea Balìa e mi ritrovo qui come meridionalista. Al convegno ci sarei stato comunque lo stesso, interessandomi da oltre 25 anni di design come consulente marketing e agente di aziende italiane ed estere di design, e in qualità di Membro del Consiglio Direttivo della delegazione territoriale di ADI Campania.
Mi è stato chiesto però un intervento in qualità di meridionalista. Di meridionalismo mi interesso altresì da circa 20 anni, e l’approccio è stato inizialmente motivato dalla curiosità, poi dalla passione per diventare ormai da circa 3 anni un impegno culturale, ma oggi più di tutto concretamente politico e costituire almeno il 50% del mio impegno in termini di tempo dedicato.
Non per strumentale propaganda ma per puro spirito informativo : sono Dirigente Nazionale e Responsabile Regionale Campania del Partito del Sud. Vi tranquillizzo subito : non quello paventato, minacciato, “taroccato” dei Lombardo, Miccichè, Dell’Utri, che sono stati diffamati e minacciati di querele a usare questa sigla registrata, che è nata nel 2007, e con la quale governiamo il Comune di Gaeta (dopo aver vinto col 57% di consensi), e essendo presenti in 10 regioni con referenti e iscritti, con un sito ufficiale e 4 blog.
Già…ma cosa c’entra il meridionalismo con il tema della decrescita?
C’entra perché innanzitutto credo che ogni fenomeno, idea culturale, e che investa anche l’economia, non possa essere sganciato dal territorio, dai luoghi, in genere dalla politica.
La decrescita, come ormai i più sanno, partendo dalle tesi del professore francese di economia Latouche mette in discussione il concetto della crescita (o quella ritenuta tale) legato alla produttività in costante aumento, al livello dei consumi da – non solo mantenere – ma accrescere, alla globalizzazione in economia, alla forsennata ricerca di nuovi mercati, di merci e uomini in perenne circolazione, al sinergico movimento (talvolta fasullo e virtuale) di denaro, ad una finanza spregiudicata, il tutto per rincorrere l’attuazione di questo progetto, sogno o follia economica.
Il Meridione del nostro paese è il risultato in termini politici ed economici di una storia ben precisa.
Una storia che, dopo sette secoli d’autonomia, di cultura, di primati documentati in tutte le discipline scientifiche ed artistiche, ci ha portati a diventare una colonia tra le più degradate d’Europa. Non sto qui a tediarvi sul come ciò è avvenuto, sulle rapine, gli eccidi, gli espropri, e il menzognero racconto che ha privato il Sud, ancor prima e più dei beni materiali, di una memoria storica che molti di noi con grande fatica tentano di diffondere perché i meridionali se ne riapproprino. Basta studiare con più attenzione, leggere un poco in più, scovare negli archivi (anche quelli di Stato), riscoprire scritti di gente come Gramsci, Alianello, lo stesso Pasolini, e perfino tra le cose che scrive Erri De Luca per entrare bene nel problema.
L’Italia non è certo al di fuori di un procedere economico che si è detto prima. E tanto più il meridione, che, per le ragioni storiche accennate, è all’interno di questo paese ancor più vittima di ciò che la decrescita non condivide. Siamo un comodo mercato di consumo interno per le merci del Nord. E lo siamo, dovendo mantenere i loro ritmi, ma essendo più poveri, producendo poco o nulla, e con possibilità economiche più limitate. Il che, se non fosse drammaticamente reale, sarebbe addirittura ridicolo.
Cosa fare? Massimo Fini, fautore della decrescita, parla di autarchia europea, per fare intendere che se il vecchio continente imparasse ad essere più autosufficiente, non sarebbe vittima dell’invasione eccessiva di merci cinesi, giapponesi, americane con il consequenziale eccesso di proposta alimentando oltre misura il circolo vizioso del consumismo sfrenato. Ebbene anche il Sud quando era autonomo fu tacciato con esagerazione di perseguire una politica economica autarchica, che altro non era che un’attenzione a preservare l’autoproduzione sulle reali necessità del paese, con una calibrata politica d’esportazione, al di fuori di chimere e d’un surplus incontrollabile.
Tra l’altro con un’attenzione all’ambiente : vedi primo esempio di raccolta differenziata dei rifiuti, e di politica eco sostenibile con il divieto sulle pesca “a traino”, in difesa della fauna ittica e salvaguardia dei fondali, “contro l’avidità dei pescatori e della committenza sul pescato”!
Talmente saggia come politica che portò quello che allora era il Regno delle Due Sicilie, al di fuori delle fandonie della storiografia ufficiale scritta dai vincitori (come sempre succede), ad essere premiato nel 1856 alla Conferenza Internazionale degli Stati di Parigi (un po’ l’Onu dell’epoca) come 3°, dico terzo, paese al mondo in economia e sviluppo industriale e a possedere i 2 terzi del monte capitale in soldi degli stati preunitari. Ovvero portammo alle casse del neonascente Stato italiano 443 milioni di ducati su un totale di poco più di seicento (gli altri stati messi assieme non arrivavano alla metà della nostra ricchezza). Vi prego, se ne avete voglia di verificare la veridicità di ciò leggendo Francesco Saverio Nitti.
Il che fa accapponare la pelle se pensiamo al Sud di oggi, e smentisce teorie lombrosiane, rinverdite da rigurgiti leghisti (una volta si diceva “la Cina è vicina”, oggi lo si può tranquillamente sostituire con “la Lega è alle porte”), per cui siamo stati sempre poveri, incapaci, mariuoli e sfaticati. La storia racconta altro, non è questo il nostro DNA, o almeno è improbabile si sia improvvisamente modificato nell’ultimo secolo e mezzo.
Una cosa di certo è cambiata : da zero emigrazione, siamo stati capaci di far emigrare in questo lasso di tempo circa 30 milioni di persone meridionali.
Tornando al design, circa dieci anni fa, assieme a due amici architetti, decisi di mettere su una agenzia denominata Design Connection, con la quale iniziai a promuovere designers meridionali al mondo produttivo del design del nord. Ricorderanno gli amici Riccardo Dalisi ed Annibale Oste che fui portatore e mediatore dei loro primi progetti di design presso aziende cosiddette padane.
Pur non rinnegando un’interessante esperienza, ebbene, oggi non lo farei più.
Il Sud deve imparare o ricordare di sapere e potere autoprodurre, accettando e recuperando le proprie peculiarità tecnologiche e un metodo ed un approccio filosofico legato ad un’economia più local e meno global e ad uno stile di vita saggiamente ritagliato, questo sì, sul proprio DNA. Dobbiamo togliere alla lentezza il marchio del disvalore, noi siamo portatori del pensiero meridiano (come così ben esplicitato da Franco Cassano nel suo libro dall’omonimo titolo) che è anche capacita d’ascolto, di riflessione e contemplazione, di rifiuto d’un surplus materiale inutile. Il Sud è l’infanzia del mondo, e noi pur non rifiutando di diventare grandi non vogliamo e dobbiamo perdere la poetica alla radice del nostro essere.
Quindi rinnegando il ruolo di vittima e colonia sacrificale ad un’economia che ha il PIL come suo Dio e la corsa ai numeri senza fine e senza morale.
Ma tutto ciò non è, secondo la nostra visione e consapevolezza, possibile attuarlo con questa partitocrazia istituzionale, che è la prova provata del disastro del Sud. Occorre una nuova classe dirigente frutto d’una grande alternativa politica meridionale, che, memore della sua storia e ispirandosi ai migliori concetti del socialismo coniugati ad altri del mondo liberale (come da tesi e scritti del nostro maestro di meridionalismo prof. Nicola Zitara), finalmente copra l’assenza di rappresentatività politica del Sud, che, fatte salve singole ma non incidenti eccezioni, non è di certo colmata dagli attuali politici meridionali presenti nello scenario istituzionale e dalle formazioni politiche in cui alloggiano.
Questo dicono i fatti e non di certo le chiacchiere.
Grazie.

Andrea Balìa
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L'affollato convegno, con la presenza di molti giovani, è stato caratterizzato dal veemente ed applaudito intervento del missionario Padre Alex Zanotelli, dal coinvolgente discorso dell'arch.tto Riccardo Dalisi con il suo lavoro assieme ai bambini di strada e con i piccoli artigiani e da altri ottimi interventi. Unica nota un pò fuori tiro il soporifero e politichese discorso del senatore Massimo Villone del PD.


Riportiamo il nostro contributo che, oltre ad aver molto incuriosito, ha ricevuto consensi, complimenti ed applausi :


"il Meridionalismo e la decrescita"


“Non tutti mi conoscono, mi ripresento : sono Andrea Balìa e mi ritrovo qui come meridionalista. Al convegno ci sarei stato comunque lo stesso, interessandomi da oltre 25 anni di design come consulente marketing e agente di aziende italiane ed estere di design, e in qualità di Membro del Consiglio Direttivo della delegazione territoriale di ADI Campania.
Mi è stato chiesto però un intervento in qualità di meridionalista. Di meridionalismo mi interesso altresì da circa 20 anni, e l’approccio è stato inizialmente motivato dalla curiosità, poi dalla passione per diventare ormai da circa 3 anni un impegno culturale, ma oggi più di tutto concretamente politico e costituire almeno il 50% del mio impegno in termini di tempo dedicato.
Non per strumentale propaganda ma per puro spirito informativo : sono Dirigente Nazionale e Responsabile Regionale Campania del Partito del Sud. Vi tranquillizzo subito : non quello paventato, minacciato, “taroccato” dei Lombardo, Miccichè, Dell’Utri, che sono stati diffamati e minacciati di querele a usare questa sigla registrata, che è nata nel 2007, e con la quale governiamo il Comune di Gaeta (dopo aver vinto col 57% di consensi), e essendo presenti in 10 regioni con referenti e iscritti, con un sito ufficiale e 4 blog.
Già…ma cosa c’entra il meridionalismo con il tema della decrescita?
C’entra perché innanzitutto credo che ogni fenomeno, idea culturale, e che investa anche l’economia, non possa essere sganciato dal territorio, dai luoghi, in genere dalla politica.
La decrescita, come ormai i più sanno, partendo dalle tesi del professore francese di economia Latouche mette in discussione il concetto della crescita (o quella ritenuta tale) legato alla produttività in costante aumento, al livello dei consumi da – non solo mantenere – ma accrescere, alla globalizzazione in economia, alla forsennata ricerca di nuovi mercati, di merci e uomini in perenne circolazione, al sinergico movimento (talvolta fasullo e virtuale) di denaro, ad una finanza spregiudicata, il tutto per rincorrere l’attuazione di questo progetto, sogno o follia economica.
Il Meridione del nostro paese è il risultato in termini politici ed economici di una storia ben precisa.
Una storia che, dopo sette secoli d’autonomia, di cultura, di primati documentati in tutte le discipline scientifiche ed artistiche, ci ha portati a diventare una colonia tra le più degradate d’Europa. Non sto qui a tediarvi sul come ciò è avvenuto, sulle rapine, gli eccidi, gli espropri, e il menzognero racconto che ha privato il Sud, ancor prima e più dei beni materiali, di una memoria storica che molti di noi con grande fatica tentano di diffondere perché i meridionali se ne riapproprino. Basta studiare con più attenzione, leggere un poco in più, scovare negli archivi (anche quelli di Stato), riscoprire scritti di gente come Gramsci, Alianello, lo stesso Pasolini, e perfino tra le cose che scrive Erri De Luca per entrare bene nel problema.
L’Italia non è certo al di fuori di un procedere economico che si è detto prima. E tanto più il meridione, che, per le ragioni storiche accennate, è all’interno di questo paese ancor più vittima di ciò che la decrescita non condivide. Siamo un comodo mercato di consumo interno per le merci del Nord. E lo siamo, dovendo mantenere i loro ritmi, ma essendo più poveri, producendo poco o nulla, e con possibilità economiche più limitate. Il che, se non fosse drammaticamente reale, sarebbe addirittura ridicolo.
Cosa fare? Massimo Fini, fautore della decrescita, parla di autarchia europea, per fare intendere che se il vecchio continente imparasse ad essere più autosufficiente, non sarebbe vittima dell’invasione eccessiva di merci cinesi, giapponesi, americane con il consequenziale eccesso di proposta alimentando oltre misura il circolo vizioso del consumismo sfrenato. Ebbene anche il Sud quando era autonomo fu tacciato con esagerazione di perseguire una politica economica autarchica, che altro non era che un’attenzione a preservare l’autoproduzione sulle reali necessità del paese, con una calibrata politica d’esportazione, al di fuori di chimere e d’un surplus incontrollabile.
Tra l’altro con un’attenzione all’ambiente : vedi primo esempio di raccolta differenziata dei rifiuti, e di politica eco sostenibile con il divieto sulle pesca “a traino”, in difesa della fauna ittica e salvaguardia dei fondali, “contro l’avidità dei pescatori e della committenza sul pescato”!
Talmente saggia come politica che portò quello che allora era il Regno delle Due Sicilie, al di fuori delle fandonie della storiografia ufficiale scritta dai vincitori (come sempre succede), ad essere premiato nel 1856 alla Conferenza Internazionale degli Stati di Parigi (un po’ l’Onu dell’epoca) come 3°, dico terzo, paese al mondo in economia e sviluppo industriale e a possedere i 2 terzi del monte capitale in soldi degli stati preunitari. Ovvero portammo alle casse del neonascente Stato italiano 443 milioni di ducati su un totale di poco più di seicento (gli altri stati messi assieme non arrivavano alla metà della nostra ricchezza). Vi prego, se ne avete voglia di verificare la veridicità di ciò leggendo Francesco Saverio Nitti.
Il che fa accapponare la pelle se pensiamo al Sud di oggi, e smentisce teorie lombrosiane, rinverdite da rigurgiti leghisti (una volta si diceva “la Cina è vicina”, oggi lo si può tranquillamente sostituire con “la Lega è alle porte”), per cui siamo stati sempre poveri, incapaci, mariuoli e sfaticati. La storia racconta altro, non è questo il nostro DNA, o almeno è improbabile si sia improvvisamente modificato nell’ultimo secolo e mezzo.
Una cosa di certo è cambiata : da zero emigrazione, siamo stati capaci di far emigrare in questo lasso di tempo circa 30 milioni di persone meridionali.
Tornando al design, circa dieci anni fa, assieme a due amici architetti, decisi di mettere su una agenzia denominata Design Connection, con la quale iniziai a promuovere designers meridionali al mondo produttivo del design del nord. Ricorderanno gli amici Riccardo Dalisi ed Annibale Oste che fui portatore e mediatore dei loro primi progetti di design presso aziende cosiddette padane.
Pur non rinnegando un’interessante esperienza, ebbene, oggi non lo farei più.
Il Sud deve imparare o ricordare di sapere e potere autoprodurre, accettando e recuperando le proprie peculiarità tecnologiche e un metodo ed un approccio filosofico legato ad un’economia più local e meno global e ad uno stile di vita saggiamente ritagliato, questo sì, sul proprio DNA. Dobbiamo togliere alla lentezza il marchio del disvalore, noi siamo portatori del pensiero meridiano (come così ben esplicitato da Franco Cassano nel suo libro dall’omonimo titolo) che è anche capacita d’ascolto, di riflessione e contemplazione, di rifiuto d’un surplus materiale inutile. Il Sud è l’infanzia del mondo, e noi pur non rifiutando di diventare grandi non vogliamo e dobbiamo perdere la poetica alla radice del nostro essere.
Quindi rinnegando il ruolo di vittima e colonia sacrificale ad un’economia che ha il PIL come suo Dio e la corsa ai numeri senza fine e senza morale.
Ma tutto ciò non è, secondo la nostra visione e consapevolezza, possibile attuarlo con questa partitocrazia istituzionale, che è la prova provata del disastro del Sud. Occorre una nuova classe dirigente frutto d’una grande alternativa politica meridionale, che, memore della sua storia e ispirandosi ai migliori concetti del socialismo coniugati ad altri del mondo liberale (come da tesi e scritti del nostro maestro di meridionalismo prof. Nicola Zitara), finalmente copra l’assenza di rappresentatività politica del Sud, che, fatte salve singole ma non incidenti eccezioni, non è di certo colmata dagli attuali politici meridionali presenti nello scenario istituzionale e dalle formazioni politiche in cui alloggiano.
Questo dicono i fatti e non di certo le chiacchiere.
Grazie.

Andrea Balìa
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