sabato 26 giugno 2010

Petrolio: quale il rischio di marea nera nel Mediterraneo?


Dopo la tragedia della Deepwater Horizon, la domanda la pone uno studio dell’Unione Europea. Sotto accusa i trasporti petroliferi navali nelle nostre acque.

“Incidenti del genere potrebbero accadere nel Mediterraneo”? E la domanda che si pone lo studio del PPRD, il Programma per la “prevenzione e risposta adeguata ai disastri naturali e causati dall’uomo”, un progetto di EuroMed, e dunque finanziato dall’Unione Europea. L’articolo è firmato da Alessandro Candeloro, ingegnere, per sei anni ricercatore al Progetto Euromediterraneo per l’Ambiente, un altra ricerca finanziata sempre dall’Unione Europea.

POCHE PIATTAFORME – Secondo lo studio, vi sono molte differenze fra la situazione mediterranea e quella americana. Stando ai dati, nel Mediterraneo sono attualmente “operative 22 trivellazioni al largo della costa – sette in Egitto, cinque in Libia, quattro in Tunisia ed Italia (nel Mar Adriatico), e una in Croazia e a Malta”, contro le ben 172 del Golfo del Messico. Con questi numeri, dunque, il rischio statistico che uno degli impianti petroliferi europei subisca danni irreparabili è molto minore che in America. Quel che invece è da tenere sotto controllo, continua Candeloro, sarebbe il “trasporto di petrolio grezzo” nelle nostre acque.

MOLTO TRAFFICO – Infatti i petroldotti e le navi cisterna sono la prima causa di inquinamento del nostro mare. Dagli studi a disposizione dell’istituto, infatti, risulta che nel Mediterraneo sarebbero caduti, negli ultimi 30 anni, oltre “400 milioni” di litri di petrolio, in seguito a fuoriuscite e versamenti irregolari e dolosi di combustibile nelle acque internazionali. Lo studio ricorda il disastro della Haven, nelle acque davanti al Porto di Genova, che buttò in mare 180 milioni di litri di greggio. E, nel corso degli anni, la percentuale di incidenti sarebbe rapidamente cresciuta, evidenzia un rapporto del 2009: sotto la lente di ingrandimento le micro collisioni, “che avvengono prevalentemente nei porti durante le operazioni di avvicinamento, di carico e di scarico”. Aree a rischio in questo senso, per la difficoltà di manovra, sarebbero “gli stretti Turchi, ovvero il Bosforo e i Dardanelli, gli stretti di Messina fra Sicilia e il Continente, e gli stretti di Gibilterra; a seguire altre aree con grandi volumi di traffico navale, come la Grecia del Sud, l’Italia del Nord e la Francia meridionale.”

Fonte:Giornalettismo
.
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Dopo la tragedia della Deepwater Horizon, la domanda la pone uno studio dell’Unione Europea. Sotto accusa i trasporti petroliferi navali nelle nostre acque.

“Incidenti del genere potrebbero accadere nel Mediterraneo”? E la domanda che si pone lo studio del PPRD, il Programma per la “prevenzione e risposta adeguata ai disastri naturali e causati dall’uomo”, un progetto di EuroMed, e dunque finanziato dall’Unione Europea. L’articolo è firmato da Alessandro Candeloro, ingegnere, per sei anni ricercatore al Progetto Euromediterraneo per l’Ambiente, un altra ricerca finanziata sempre dall’Unione Europea.

POCHE PIATTAFORME – Secondo lo studio, vi sono molte differenze fra la situazione mediterranea e quella americana. Stando ai dati, nel Mediterraneo sono attualmente “operative 22 trivellazioni al largo della costa – sette in Egitto, cinque in Libia, quattro in Tunisia ed Italia (nel Mar Adriatico), e una in Croazia e a Malta”, contro le ben 172 del Golfo del Messico. Con questi numeri, dunque, il rischio statistico che uno degli impianti petroliferi europei subisca danni irreparabili è molto minore che in America. Quel che invece è da tenere sotto controllo, continua Candeloro, sarebbe il “trasporto di petrolio grezzo” nelle nostre acque.

MOLTO TRAFFICO – Infatti i petroldotti e le navi cisterna sono la prima causa di inquinamento del nostro mare. Dagli studi a disposizione dell’istituto, infatti, risulta che nel Mediterraneo sarebbero caduti, negli ultimi 30 anni, oltre “400 milioni” di litri di petrolio, in seguito a fuoriuscite e versamenti irregolari e dolosi di combustibile nelle acque internazionali. Lo studio ricorda il disastro della Haven, nelle acque davanti al Porto di Genova, che buttò in mare 180 milioni di litri di greggio. E, nel corso degli anni, la percentuale di incidenti sarebbe rapidamente cresciuta, evidenzia un rapporto del 2009: sotto la lente di ingrandimento le micro collisioni, “che avvengono prevalentemente nei porti durante le operazioni di avvicinamento, di carico e di scarico”. Aree a rischio in questo senso, per la difficoltà di manovra, sarebbero “gli stretti Turchi, ovvero il Bosforo e i Dardanelli, gli stretti di Messina fra Sicilia e il Continente, e gli stretti di Gibilterra; a seguire altre aree con grandi volumi di traffico navale, come la Grecia del Sud, l’Italia del Nord e la Francia meridionale.”

Fonte:Giornalettismo
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