martedì 6 aprile 2010
Senza eroi il Sud contro la balena verde
Si separano anche le coppie più unite. Litigano i soci più solidali. Si frantumano le amicizie più antiche. Si spaccano i partiti più identitari. Nell’era del divorzio endemico, può accadere che si dividano anche gli Stati. Per due Germanie che si rimettono insieme, c’è una Cecoslovacchia che si fa in due: da una parte la Repubblica Ceca, dall’altra la Slovacchia. Una secessione dolce, senza spargimenti di sangue, avveniva nel cuore dell’Europa, mentre il resto del Vecchio Continente scopriva le virtù dell’Unione monetaria.
Può succedere che anche l’Italia, nel volgere di pochi anni, debba imboccare la strada che porta al divorzio tra la Padania e il Mezzogiorno. Del resto il professor Gianfranco Miglio (1918-2001), teorico della Lega movimento delle origini, formazione che era ancora lontana dall’approdo alla Lega regime di oggi, nei suoi esperimenti da alchimista costituzionale, aveva auspicato una terza macro- area, oltre alle due sopra indicate: l’Etruria. Certo la Lega 2010 non è la fotocopia della Lega 1992, quella che giurava sulla secessione un giorno sì e l’altro pure. Né quella Lega, liberale e liberista, popolare e popolana, aveva molto in comune con la Lega statalista e comunitaria dei giorni nostri. Se quella Lega si rifaceva a Ronald Reagan (1911-2004) e a Margaret Thatcher, la Lega 2010 si rifà a Mariano Rumor (1915-1990) e Toni Bisaglia (1929-1984), apostoli del doroteismo veneto scesi a Roma per radicare il vangelo della democristianità e della moderazione al potere. Non a caso lo zoccolo duro di chi adesso vota Lega, vent’anni fa applaudiva i dogi dello scudo crociato veronese o vicentino.
Altro che Alighiero Noschese (1932-1979), principe degli imitatori. Umberto Bossi è lo Zelig della politica nazionale. Un signore esploso per annientare la Dc (e anche i resti del Pci) e finito, dopo pochi lustri, per assorbire le lezioni più profonde delle due sigle storiche della Prima Repubblica. Più passano i giorni più la linea del Carroccio si avvicina alla linea del bianco fiore, tanto che la Balena Bianca oggi pare mimetizzata nella Balena Verde. Più passa il tempo, più l’org anizzazione, capillare e militare, della Lega, sembra riaggiornare sul campo i precetti del partito comunista, rimodellato da Lenin (1870-1924) sugli schemi gerarchici propri di una caserma. Insomma. Bossi fa sul serio. Altro che capopopolo naif e istintivo. Ci sono metodo e studio nella sua strategia (semigramsciana) di penetrazione tra i gangli del Potere.
Oggi la Lega è un incrocio tra nordismo riveduto (al posto dei meridionali il nemico da battere sono diventati gli immigrati), rivalutazione democristiana, prudenza dorotea e militanza organizzativa paraleninista. Un autentico partito di lotta e di governo. Ora. Una formazione così complessa può giocare come vuole, come capitava al Brasile di Pelè. All’attacco. In difesa. Alla viva il parroco. Tanto, al momento opportuno, quando voleva, Pelè poteva uccellare gli avversari senza pietà e senza eccessivi patemi. Ecco. Il Bossi 2010 può giocare, contemporaneamente, in difesa dello Stato nazionale (vedi le polemiche contro l’europeismo acritico) e in difesa dello Stato arlecchino (vedi il tamburo battente sul federalismo spinto, una foglia di fico per nascondere il vero oscuro oggetto del desiderio: il battesimo ufficiale della Padania, cioè la scissione dello Stato unitario). Orbene. L’Italia è arrivata troppo tardi (solo 150 anni fa) al traguardo dell’Unità, tanto che Benedetto Croce (1866-1952) individuava in questo ritardo il virus di quella malattia morale, per la cui cura venne chiamato il «guaritore» di Predappio. Non solo arrivò in ritardo, l’Italia, all’Unità. Ma vi arrivò senza un moto di popolo. Cosicché la ricucitura nazionale venne percepita come una missione coloniale dal Nord, e come un’annessione militare dal Sud. Il contrario di una visione condivisa.
Bossi è Bossi. Uno che fa politica a zig-zag. Oggi non sbraita per il divorzio tra le due Italie. Ma da domani potrebbe tirare dal cassetto il progetto originario per la cui redazione arruolò un Mago Merlino di nome Miglio. Potrebbe, il capo leghista, fare anche in modo che gli eventi vadano lentamente verso la disunità, senza forzare la mano.
In tal caso, che dovrebbe fare il Meridione? Non farsi trovare spiazzato, come succede spesso al portiere rossonero Dida. In soldoni il Sud dovrebbe essere in grado di ribattere all’offensiva «padana» con una classe dirigente degna di questo nome. Una parola. A scorrere i nomi degli eletti che quasi annualmente rinnovano le istituzioni democratiche, viene da fare ripetutamente il segno della croce. Tranne poche eccezioni, il livello della rappresentanza - duole dirlo - è caratterizzato da una sempre più diffusa mediocrità, concentrata più a tutelare i propri interessi particolari che a salvaguardare gli interessi generali. Domande finali. Con questa squadra il Mezzogiorno dovrebbe competere con la Lega di Bossi? Bisognerebbe trovare fra questi rappresentanti gli uomini di ferro in grado di abbozzare la rivoluzione meridionale? Con questa classe dirigente il Sud dovrebbe essere in grado di sostenere anche la sfida della secessione, qualora i padani dovessero decidere in tal senso? Certo, la rottura dell’Unità potrebbe persino rivelarsi un affare per il Sud, che in tal modo non avrebbe più alibi per dimostrare di saper crescere. Ma la qualità del personale politico e dirigente, purtroppo, non induce all’ottimismo. Servirebbero più Mourinho del Sud, ma in giro non se ne vedono. E quando ci sono, non li assume nessuno.
Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 04/04/2010
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Si separano anche le coppie più unite. Litigano i soci più solidali. Si frantumano le amicizie più antiche. Si spaccano i partiti più identitari. Nell’era del divorzio endemico, può accadere che si dividano anche gli Stati. Per due Germanie che si rimettono insieme, c’è una Cecoslovacchia che si fa in due: da una parte la Repubblica Ceca, dall’altra la Slovacchia. Una secessione dolce, senza spargimenti di sangue, avveniva nel cuore dell’Europa, mentre il resto del Vecchio Continente scopriva le virtù dell’Unione monetaria.
Può succedere che anche l’Italia, nel volgere di pochi anni, debba imboccare la strada che porta al divorzio tra la Padania e il Mezzogiorno. Del resto il professor Gianfranco Miglio (1918-2001), teorico della Lega movimento delle origini, formazione che era ancora lontana dall’approdo alla Lega regime di oggi, nei suoi esperimenti da alchimista costituzionale, aveva auspicato una terza macro- area, oltre alle due sopra indicate: l’Etruria. Certo la Lega 2010 non è la fotocopia della Lega 1992, quella che giurava sulla secessione un giorno sì e l’altro pure. Né quella Lega, liberale e liberista, popolare e popolana, aveva molto in comune con la Lega statalista e comunitaria dei giorni nostri. Se quella Lega si rifaceva a Ronald Reagan (1911-2004) e a Margaret Thatcher, la Lega 2010 si rifà a Mariano Rumor (1915-1990) e Toni Bisaglia (1929-1984), apostoli del doroteismo veneto scesi a Roma per radicare il vangelo della democristianità e della moderazione al potere. Non a caso lo zoccolo duro di chi adesso vota Lega, vent’anni fa applaudiva i dogi dello scudo crociato veronese o vicentino.
Altro che Alighiero Noschese (1932-1979), principe degli imitatori. Umberto Bossi è lo Zelig della politica nazionale. Un signore esploso per annientare la Dc (e anche i resti del Pci) e finito, dopo pochi lustri, per assorbire le lezioni più profonde delle due sigle storiche della Prima Repubblica. Più passano i giorni più la linea del Carroccio si avvicina alla linea del bianco fiore, tanto che la Balena Bianca oggi pare mimetizzata nella Balena Verde. Più passa il tempo, più l’org anizzazione, capillare e militare, della Lega, sembra riaggiornare sul campo i precetti del partito comunista, rimodellato da Lenin (1870-1924) sugli schemi gerarchici propri di una caserma. Insomma. Bossi fa sul serio. Altro che capopopolo naif e istintivo. Ci sono metodo e studio nella sua strategia (semigramsciana) di penetrazione tra i gangli del Potere.
Oggi la Lega è un incrocio tra nordismo riveduto (al posto dei meridionali il nemico da battere sono diventati gli immigrati), rivalutazione democristiana, prudenza dorotea e militanza organizzativa paraleninista. Un autentico partito di lotta e di governo. Ora. Una formazione così complessa può giocare come vuole, come capitava al Brasile di Pelè. All’attacco. In difesa. Alla viva il parroco. Tanto, al momento opportuno, quando voleva, Pelè poteva uccellare gli avversari senza pietà e senza eccessivi patemi. Ecco. Il Bossi 2010 può giocare, contemporaneamente, in difesa dello Stato nazionale (vedi le polemiche contro l’europeismo acritico) e in difesa dello Stato arlecchino (vedi il tamburo battente sul federalismo spinto, una foglia di fico per nascondere il vero oscuro oggetto del desiderio: il battesimo ufficiale della Padania, cioè la scissione dello Stato unitario). Orbene. L’Italia è arrivata troppo tardi (solo 150 anni fa) al traguardo dell’Unità, tanto che Benedetto Croce (1866-1952) individuava in questo ritardo il virus di quella malattia morale, per la cui cura venne chiamato il «guaritore» di Predappio. Non solo arrivò in ritardo, l’Italia, all’Unità. Ma vi arrivò senza un moto di popolo. Cosicché la ricucitura nazionale venne percepita come una missione coloniale dal Nord, e come un’annessione militare dal Sud. Il contrario di una visione condivisa.
Bossi è Bossi. Uno che fa politica a zig-zag. Oggi non sbraita per il divorzio tra le due Italie. Ma da domani potrebbe tirare dal cassetto il progetto originario per la cui redazione arruolò un Mago Merlino di nome Miglio. Potrebbe, il capo leghista, fare anche in modo che gli eventi vadano lentamente verso la disunità, senza forzare la mano.
In tal caso, che dovrebbe fare il Meridione? Non farsi trovare spiazzato, come succede spesso al portiere rossonero Dida. In soldoni il Sud dovrebbe essere in grado di ribattere all’offensiva «padana» con una classe dirigente degna di questo nome. Una parola. A scorrere i nomi degli eletti che quasi annualmente rinnovano le istituzioni democratiche, viene da fare ripetutamente il segno della croce. Tranne poche eccezioni, il livello della rappresentanza - duole dirlo - è caratterizzato da una sempre più diffusa mediocrità, concentrata più a tutelare i propri interessi particolari che a salvaguardare gli interessi generali. Domande finali. Con questa squadra il Mezzogiorno dovrebbe competere con la Lega di Bossi? Bisognerebbe trovare fra questi rappresentanti gli uomini di ferro in grado di abbozzare la rivoluzione meridionale? Con questa classe dirigente il Sud dovrebbe essere in grado di sostenere anche la sfida della secessione, qualora i padani dovessero decidere in tal senso? Certo, la rottura dell’Unità potrebbe persino rivelarsi un affare per il Sud, che in tal modo non avrebbe più alibi per dimostrare di saper crescere. Ma la qualità del personale politico e dirigente, purtroppo, non induce all’ottimismo. Servirebbero più Mourinho del Sud, ma in giro non se ne vedono. E quando ci sono, non li assume nessuno.
Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 04/04/2010
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