Il Giudice per le indagini preliminari di Perugia: “Gravi indizi di colpevolezza a carico degli imputati”. Le motivazioni depositate: “Il pubblico ufficiale è a libro paga del privato”
Un quadro sconcertante e indubbio. È connotato da «gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati», con «poche parti da depennare», il reato di corruzione contestato a Diego Anemone, Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro della Giovampaola secondo il gip di Perugia Paolo Micheli che ieri ha disposto la custodia cautelare in carcere nei loro confronti, accogliendo la richiesta dei pm del capoluogo umbro titolari del fascicolo su alcuni degli appalti per i «Grandi eventi», e che l’Ansa anticipa.
TUTTO PIANIFICATO - Ricostruendo i rapporti tra i quattro, il giudice ha tra l’altro sostenuto che «tutto era pianificato ab initio, in una logica di completa bilateralità e disponibilità reciproca: dei soggetti pubblici a favorire, del privato a elargire utilità di vario genere». L’imprenditore e i tre funzionari pubblici sono stati arrestati nell’ambito dell’inchiesta avviata dai pm di Firenze e poi trasferita a Perugia per competenza visto il coinvolgimento dell’ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro. I magistrati perugini Federico Centrone, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi hanno quindi chiesto nei confronti di Anemone, Balducci, De Santis e Della Giovampaola l’applicazione della custodia cautelare in carcere disposta ieri dal gip Micheli che ha anche riconosciuto la competenza dell’Ufficio umbro a indagare. Il giudice ha inoltre deciso di sottoporre i quattro a interrogatorio di garanzia, avendo rilevato che il quadro istruttorio è mutato rispetto a quando ci fu l’analogo atto da parte del gip di Firenze (pur essendo rimasta immutata l’accusa formale contestata).
MALAFFARE NELLA GESTIONE – Nella sua ordinanza, Micheli ha sostenuto che dall’indagine emerge «un quadro emblematico di malaffare nella gestione della cosa pubblica, dove la corruzione si annida fra le stesse condizioni poste da chi è chiamato ad amministrarla, e giunge al grottesco risultato di una assoluta bilateralità di cointeressenze». «Non solo il pubblico ufficiale è ‘a libro pagà del privato – ha scritto il giudice -, disposto ad intervenire per risolvergli ogni eventuale problema con un rapporto di sinallagmaticità fra le sue prestazioni di favore e i vantaggi che riceve (macchine, arredi di valore, appuntamenti sessuali), ma anche il privato dà la sua costante disponibilità al potente interlocutore, che sa di dover compiacere, pena la perdita di prospettive di lavoro, al fine di dare risposte alle esigenze del pubblico ufficiale, vuoi per mantenergli una efficace rete di public relations (trovando magari sistemazioni lavorative a persone vicine ad altri soggetti di rilevante influenza), vuoi per fini più strettamente personali, da occasioni di lavoro per un parente a meri capricci propri o di familiari».
IL RUOLO DEL GIUDICE - Nel provvedimento il giudice si è anche soffermato sul ruolo di Achille Toro, considerato «depositario» di quei segreti d’ufficio che, secondo l’accusa, sarebbero stati rivelati alla cosiddetta «cricca», e del figlio Camillo, attraverso il quale sarebbero state veicolate le informazioni. Il giudice ha quindi ricordato che Emanuel Messina cominciò ad attivarsi nel settembre 2009, «per conto» di Anemone per «procacciarsi notizie sulle vicende giudiziarie d’interesse dell’imprenditore». «Ciò accade - ha sostenuto - fin da subito presso un ‘luì che risulta in contatto con un ‘figliò e un ‘padrè (poi identificati in Edgardo Azzopardi, Camillo e Achille Toro)». È comunque a fine gennaio 2010, che i contatti con Camillo Toro «e le pressioni affinchè fornisca aggiornamenti continui sullo stato della situazione subiscono una vistosa impennata, anche in virtù degli articoli di stampa che nel frattempo determinano i primi scambi formali di corrispondenza tra le procure di Roma e di Firenze».
Fonte:Giornalettismo
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