Nella storia dell’informazione non c’è stato mai un momento in cui chi aveva il compito di “procurare” informazione abbia tanto parlato di sé da far sembrare notizia il fatto stesso di darne. E s’interroga il giornalista, sul suo ruolo in questo oceano mediatico dove trovare notizie è facile. Il difficile è darle per buone. Insomma, si parla molto d’informazione e molta se ne produce, ma sarà poi vero? Ad esempio, i blog sono o non sono organi d’informazione? E comunicare i fatti è un compito che può essere di tutti? Cercando lumi abbiamo interpellato Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, numero uno di una categoria sulla quale sparare a zero è tanto facile da essere diventato quasi uno sport nazionale. D’altronde gli stessi addetti ai lavori – talvolta - hanno reso agevole il compito ai cecchini. Neppure Del Boca – ben lieto di concedere un’intervista ad una testata on line registrata – è troppo tenero con i suoi colleghi, non li difende per partito preso, ma pure aggiunge “solo ai giornalisti è affidata la sopravvivenza della carta stampata”. Facciamo però un passo indietro.
DT – C’è una discussione aperta da tempo, e che sembra non avere fine: l’informazione in Internet. Divisa tra chi la vuole libera da ogni vincolo e chi la vorrebbe regolamentata. E mentre si discute, in rete sfocia un fiume incontrollabile di parole
LDB – I siti Internet nascono spontaneamente, in modo quasi anarchico e finchè fanno opinione, finchè fanno piazza, va bene così. Se vuoi esprimerti sul Crocifisso nelle aule fallo pure, così come se vuoi raccontare al mondo cosa hai fatto ieri sera, o dire per quale dei candidati a sindaco voterai. Non c’è problema, il bar (o la piazza) nascono ben prima della Rete. La pretesa di fare informazione è invece altra cosa.
DT – Dunque…
LDB – Occorre dare al lettore delle garanzie, assicurare credibilità. Per fare questo è necessario che dietro quelle pagine elettroniche ci sia un responsabile che risponda a tutti gli effetti di ciò che scrive o che approva. Dunque, se offri notizie serve la registrazione e per scriverle servono dei giornalisti. Mi rendo conto che col tempo la questione cresce nelle sue dimensioni, l’informazione in rete è un segmento importante e non c’è una riposta univoca. Ma sta tutto nella differenza tra notizia e opinione, tra fare piazza e fare giornalismo.
DT – Eppure oggi c’è un’altra tendenza che sembra voler annullare le distanze tra chi produce informazione ed il suo destinatario: il giornalismo partecipativo, per cui è sufficiente un cellulare con fotocamera per trasformarsi in reporter
LDB – Non c’è niente di nuovo sotto il sole: quando ero un garzone di bottega nella redazione de La Stampa, a Novara, di segnalazioni ne arrivavano a decine, i cittadini si mettevano al telefono e segnalavano fatti, disservizi, problemi. Oggi sono cambiati gli strumenti, ma il concetto è immutato. Piuttosto dietro ad ogni segnalazione è necessario un giornalista che verifichi, non si può mettere in rete tutto.
DT – Quindi non le dispiace il coinvolgimento diretto della gente
LDB - Il cittadino è per sua natura partecipativo: basta dargli gli strumenti. Al tempo stesso non si può considerare un sito Internet come una buca delle lettere dove entra di tutto. Deve essere un luogo di crescita culturale, quindi non si può prendere tutto per oro colato.
DT – La sensazione è che ci troviamo ancora nell’epoca del grande rodaggio e che, una volta terminato questo l’informazione in rete trionferà seppellendo definitivamente la carta stampata
LDB – Ci sono più scuole di pensiero al riguardo. Certo, c’è chi ha teorizzato la scomparsa dei giornali come Philip Meyer (autore di The Vanishing Newspaper) che ha scritto che nel 2040 non ci sarà più carta stampata e che il New York Times venderà la sua ultima copia. Molti gli hanno creduto, tra cui lo stesso NYT che quando ha recensito il libro ha fatto di più, anticipando la data fatale. E’ un’opinione catastrofista ma non è detto che si verifichi, certo l’informazione telmatica acquisterà un peso sempre maggiore, ma i giornali – ed anche i libri – probabilmente non scompariranno
DT – In quale maniera potranno sopravvivere? Quando il giornale arriva in edicola la notizia è già vecchia
LDB – Prendiamo un esempio: l’elezione di Obama. E’ evidente che all’indomani del successo elettorale, la gente – in tutto il mondo – sapeva benissimo cosa fosse accaduto. Anche i giornali d’altro canto, non hanno potuto fare a meno di dare la notizia. Ma il loro mestiere va oltre, ed è quello di approfondire, di dare alla gente la possibilità di capire ciò che accade. I giornali non solo devono dare la notizia ma devono spiegarla, e soprattutto non devono scioccare il lettore, ma metterlo in condizione di comprendere.
DT – E’ la condizione per rimanere in vita
LDB – Infatti, e tutto dipende dai giornalisti. Finchè si accapiglieranno, finchè sbaglieranno i congiuntivi e propaganderanno opinioni da bar, il distacco col pubblico sarà sempre più ampio. E se poi i giornali penseranno ancora di rivolgersi non a lettori ma ad elettori (e questo oggi capita trasversalmente), il distacco è destinato a diventare una voragine.
DT – In un’altra circostanza aveva detto che l’informazione locale, almeno quella stampata, correva meno pericoli della stampa nazionale
LDB – Ha un ruolo importantissimo ed erroneamente considerato di serie B. Tornando all’esempio dell’elezione di Obama, il pubblico ha avuto mille fonti d’informazione possibili per acquisire la notizia. E mentre sapeva tutto sul presidente degli Stati Uniti capitava che magari il cittadino di una realtà di provincia non sapesse cosa era accaduto la sera prima durante il Consiglio comunale svoltosi a trecento metri da casa sua.
DT – Dunque l’informazione locale va rivalutata
LDB – Assolutamente sì. E bisogna considerare che occuparsi del locale richiede sempre il massimo della serietà e dell’attenzione. Se si è imprecisi su Obama può capitare che nessuno se ne accorga, ma se si sbaglia l’orario della farmacia notturna chi ha mal di denti se ne accorgerà, eccome. In provincia gli errori non passano.
DT – L’ultima domanda la rivolgo allo storico, in maniera particolare all’appassionato scrittore di vicende risorgimentali notoriamente critico verso casa Savoia. Nel 2011 ci saranno le celebrazioni per il 150mo anniversario dell’Unita d’Italia. Secondo lei se ne parla troppo, troppo poco o con troppa polemica?
LDB – Se ne parla male, perché si va avanti a raccontare una storia che non esiste nell’immaginario collettivo. Non c’è alcun entusiasmo e soprattutto alcuna preparazione sulla storia borbonica. E così finirà che l’anniversario – che in realtà copre due anni se vi includiamo la spedizione dei Mille – sarà celebrato con l’inaugurazione di una circumvallazione , il restauro di un teatro e di una cupola, con buona pace del 150mo. Gli intellettuali festeggeranno invece a modo loro, pubblicando libri. E’ già partito Arrigo Petacco con un volume su Cavour e altri ne seguiranno, e ci sarò anche io
DT – Cosa proporrà?
LDB – Un ennesimo libro revisionista che prova a raccontare la storia che non c’è, perché i generali, intenti a nascondere troppi errori, non l’hanno scritta. Una storia che fa più male, che mette in evidenza molte falle e ben poche virtù, ma per questo sarà una storia più vera.
(Antonella Durazzo)
Fonte:Daringtodo
Segnalazione ASDS
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