Da Catania a Reggio Emilia storie di silenzi e resistenze raccontate dal giornalista Antonio Roccuzzo.
La presentazione dell’ultimo libro: “L’Italia a pezzi” del giornalista Antonio Roccuzzo. Nell’auditorium del monastero dei Benedettini di Catania, è l’occasione per un’interessante analisi su Catania e altre città italiane. Con questo libro l’autore ha raccontato gli episodi salienti delle due città Reggio Emilia e Catania; realtà che ha potuto conoscere dall’interno avendole vissute umanamente e professionalmente in periodi storici differenti.
Dopo gli onori di casa riservati al preside della facoltà di lingue Nunzio Famoso, il primo intervento è quello del giornalista/politico Claudio Fava che si è soffermato su alcune vicende, narrate anche nel libro, sottolineando l’unicità del contesto catanese. Se simili avvenimenti - argomenta Fava - in altre città avrebbero provocato delle reazioni soprattutto dell’opinione pubblica, questa reazione a Catania non c’è stata. Guardandola da fuori Catania sembra quasi sprofondata beatamente in un sonno da cui non vuole assolutamente svegliarsi.
“La lettera che Vincenzo Santapaola, figlio di del boss Nitto Santapaola, detenuto in regime di 41 bis per reati di mafia manda a La Sicilia - dichiara Fava - viene pubblicata. Tutto questo accade come fosse normale. Come a dire che chi ha dominato e insanguinato la città per decenni può permettersi anche il lusso di inviare lettere aperte in cui difende la reputazione della propria famiglia. Di tutto questo non ci si scandalizza, anzi la gente quasi ci si scherza su".
"Lo stesso giornale successivamente - continua Fava - parla di una autorizzazione a pubblicare la lettera da parte della direzione degli istituti di pena. Arriva immediata la smentita da parte della magistratura, ma di questa falsità non resta traccia… Né nelle cronache giornalistiche, né nello spirito civile di questa città. E’ uno di tanti esempi di come questo sia l’ultimo luogo d’Italia in cui tutto può accadere senza che nulla cambi”.
Fava prosegue ricordando un altro episodio recente: l’elezione a Catania come presidente della Federazione degli Autotrasportatori di Angelo Ercolano: l’ultimo rampollo (incensurato) della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato); il cugino Angelo invece sta all’ergastolo per aver ammazzato il padre di Claudio Fava, il giornalsita Giuseppe Fava, nel 1984 a Catania.
“Stupisce che nessuno si stupisca, come 1500 professionisti del settore se lo scelgano come rappresentante - commenta Fava. Il cugino con la fedina penale pulita, che viene nominato rappresentante di tutti i trasportatori della provincia, presidente di una società per azioni esibito addirittura in certe occasioni come l’esempio della migliore imprenditoria siciliana. E tutto ciò scorre nella totale indifferenza”. Le domande che Fava scandisce nell’auditorium, la richiesta alla città di indignarsi, di reagire sono le stesse che si fa Roccuzzo dalle sue pagine.
E’ il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello a soffermarsi sulla storia dello sviluppo economico dell’intera regione siciliana e sulle differenze tra questo sviluppo e quello emiliano. Il peso che hanno avuto i fondi pubblici e soprattutto le scelte opportune o meno della direzione politica-amministrativa dei due contesti regionali.
Roberto Morrione direttore di “Libera Informazione”, sottolinea il peso che hanno i monopoli dell’informazione nell’opinione pubblica e nella capacità di reazione della società civile anche a Catania. “C’è come un muro creato da Ciancio Sanfilippo a Catania - dichiara Morrione - un muro tremendo che non permette l’esistenza in città di un reale pluralismo nell’ambito dell’informazione. Questo non vuol dire che in questo muro non possano aprirsi delle finestre".
"Lo abbiamo fatto noi di Libera insieme ad Articolo21 e alla Federazione della stampa iniziando nel febbraio 2008 con un convegno - prosegue Morrione - nato per denunciare una situazione monopolistica grave. In quel convegno ci confrontammo sulla grave mancanza della cronaca siciliana nel quotidiano La Repubblica. Da quel convegno e dalla continuità in quella battaglia oggi abbiamo ottenuto che anche i catanesi come il resto dei siciliani possano trovare in edicola l’edizione regionale che prima mancava” . Morrione, ex direttore di Rainews24, prosegue sottolineando lo sviluppo egemone e ormai nazionale della mafia e delle altre organizzazioni affini, tanto che le tecniche del controllo del territorio da parte della mala sono simili, ormai a Reggio Emilia, come a Buccinasco, come a Catania.
Conclude il suo intervento il presidente di Libera Informazione confidando nell’impegno dei giovani: “I giovani di Libera, come i giovani di tante altre associazioni stanno già svolgendo uno stupendo lavoro civile e quotidiano. C’è ormai una pratica quotidiana di resistenza antimafiosa, e questa resistenza dev’essere alimentata e invogliata con ogni mezzo necessario”.
L’ultimo intervento è lasciato al presidente della Federazione nazionale della Stampa Roberto Natale che sottolinea la tendenza ormai nazionale di mettere “all’indice” certe testate o singoli giornalisti che seguono inchieste scottanti sulla mafia, o semplicemente si imbattono nei poteri forti che governano l’Italia: esempio, non ultimo, della redazione del programma tv Report".
Ci sono questi e tanti altri spunti di riflessione, dentro questo libro, in gran parte venuti fuori all’incontro di Catania. L’ultima istantanea, immancabile, ci viene data leggendo la quarta di copertina:
Non esistono al mondo due luoghi più diversi tra loro di Catania e Reggio Emilia. Eppure entrambe sono città italiane, che partecipano ad un’unica storia e offrono soluzioni opposte a problemi - e a un passato - condivisi. Sono le portabandiera delle due Italie in cui viviamo e che normalmente si ignorano: Reggio nell’Emilia è lo stereotipo dell’Italia che funziona, basata sulla convivenza civile e su un circolo virtuoso di buon senso civico. Catania è il suo alter ego, sorta di Sodoma e Gomorra in mano alla mafia e al pensiero unico, dove perfino l’assassinio di un giornalista indipendente come Giuseppe Fava scivola via senza scosse e non riesce a produrre memoria collettiva. Reggio è roccaforte di una nazione fondata sui principi della liberazione dal fascismo; Catania è laboratorio dell’Italia illegale nata sulle macerie dello stato democristiano. Reggio è città con un’opinione pubblica vivace e un’informazione locale pluralista; Catania è raccontata da un giornale solo. Reggio vanta gli asili pubblici più belli e copiati del mondo; Catania è una città senza asili o quasi. A Reggio l’amministrazione pubblica è gestita come un’impresa; a Catania è un colabrodo sull’orlo del fallimento. Buongoverno e malgoverno, nord e sud come nei vecchi cliché? La verità è che anche nel ventre pasciuto dell’Emilia si annida la criminalità. E se in tempi di recessione in Sicilia si riaccende l’autonomismo, la roccaforte della sinistra italiana cede alle lusinghe della Lega.
Dopo gli onori di casa riservati al preside della facoltà di lingue Nunzio Famoso, il primo intervento è quello del giornalista/politico Claudio Fava che si è soffermato su alcune vicende, narrate anche nel libro, sottolineando l’unicità del contesto catanese. Se simili avvenimenti - argomenta Fava - in altre città avrebbero provocato delle reazioni soprattutto dell’opinione pubblica, questa reazione a Catania non c’è stata. Guardandola da fuori Catania sembra quasi sprofondata beatamente in un sonno da cui non vuole assolutamente svegliarsi.
“La lettera che Vincenzo Santapaola, figlio di del boss Nitto Santapaola, detenuto in regime di 41 bis per reati di mafia manda a La Sicilia - dichiara Fava - viene pubblicata. Tutto questo accade come fosse normale. Come a dire che chi ha dominato e insanguinato la città per decenni può permettersi anche il lusso di inviare lettere aperte in cui difende la reputazione della propria famiglia. Di tutto questo non ci si scandalizza, anzi la gente quasi ci si scherza su".
"Lo stesso giornale successivamente - continua Fava - parla di una autorizzazione a pubblicare la lettera da parte della direzione degli istituti di pena. Arriva immediata la smentita da parte della magistratura, ma di questa falsità non resta traccia… Né nelle cronache giornalistiche, né nello spirito civile di questa città. E’ uno di tanti esempi di come questo sia l’ultimo luogo d’Italia in cui tutto può accadere senza che nulla cambi”.
Fava prosegue ricordando un altro episodio recente: l’elezione a Catania come presidente della Federazione degli Autotrasportatori di Angelo Ercolano: l’ultimo rampollo (incensurato) della principale famiglia mafiosa della città. Lo zio Pippo è il reggente della cosca Santapaola (Nitto è suo cognato); il cugino Angelo invece sta all’ergastolo per aver ammazzato il padre di Claudio Fava, il giornalsita Giuseppe Fava, nel 1984 a Catania.
“Stupisce che nessuno si stupisca, come 1500 professionisti del settore se lo scelgano come rappresentante - commenta Fava. Il cugino con la fedina penale pulita, che viene nominato rappresentante di tutti i trasportatori della provincia, presidente di una società per azioni esibito addirittura in certe occasioni come l’esempio della migliore imprenditoria siciliana. E tutto ciò scorre nella totale indifferenza”. Le domande che Fava scandisce nell’auditorium, la richiesta alla città di indignarsi, di reagire sono le stesse che si fa Roccuzzo dalle sue pagine.
E’ il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello a soffermarsi sulla storia dello sviluppo economico dell’intera regione siciliana e sulle differenze tra questo sviluppo e quello emiliano. Il peso che hanno avuto i fondi pubblici e soprattutto le scelte opportune o meno della direzione politica-amministrativa dei due contesti regionali.
Roberto Morrione direttore di “Libera Informazione”, sottolinea il peso che hanno i monopoli dell’informazione nell’opinione pubblica e nella capacità di reazione della società civile anche a Catania. “C’è come un muro creato da Ciancio Sanfilippo a Catania - dichiara Morrione - un muro tremendo che non permette l’esistenza in città di un reale pluralismo nell’ambito dell’informazione. Questo non vuol dire che in questo muro non possano aprirsi delle finestre".
"Lo abbiamo fatto noi di Libera insieme ad Articolo21 e alla Federazione della stampa iniziando nel febbraio 2008 con un convegno - prosegue Morrione - nato per denunciare una situazione monopolistica grave. In quel convegno ci confrontammo sulla grave mancanza della cronaca siciliana nel quotidiano La Repubblica. Da quel convegno e dalla continuità in quella battaglia oggi abbiamo ottenuto che anche i catanesi come il resto dei siciliani possano trovare in edicola l’edizione regionale che prima mancava” . Morrione, ex direttore di Rainews24, prosegue sottolineando lo sviluppo egemone e ormai nazionale della mafia e delle altre organizzazioni affini, tanto che le tecniche del controllo del territorio da parte della mala sono simili, ormai a Reggio Emilia, come a Buccinasco, come a Catania.
Conclude il suo intervento il presidente di Libera Informazione confidando nell’impegno dei giovani: “I giovani di Libera, come i giovani di tante altre associazioni stanno già svolgendo uno stupendo lavoro civile e quotidiano. C’è ormai una pratica quotidiana di resistenza antimafiosa, e questa resistenza dev’essere alimentata e invogliata con ogni mezzo necessario”.
L’ultimo intervento è lasciato al presidente della Federazione nazionale della Stampa Roberto Natale che sottolinea la tendenza ormai nazionale di mettere “all’indice” certe testate o singoli giornalisti che seguono inchieste scottanti sulla mafia, o semplicemente si imbattono nei poteri forti che governano l’Italia: esempio, non ultimo, della redazione del programma tv Report".
Ci sono questi e tanti altri spunti di riflessione, dentro questo libro, in gran parte venuti fuori all’incontro di Catania. L’ultima istantanea, immancabile, ci viene data leggendo la quarta di copertina:
Non esistono al mondo due luoghi più diversi tra loro di Catania e Reggio Emilia. Eppure entrambe sono città italiane, che partecipano ad un’unica storia e offrono soluzioni opposte a problemi - e a un passato - condivisi. Sono le portabandiera delle due Italie in cui viviamo e che normalmente si ignorano: Reggio nell’Emilia è lo stereotipo dell’Italia che funziona, basata sulla convivenza civile e su un circolo virtuoso di buon senso civico. Catania è il suo alter ego, sorta di Sodoma e Gomorra in mano alla mafia e al pensiero unico, dove perfino l’assassinio di un giornalista indipendente come Giuseppe Fava scivola via senza scosse e non riesce a produrre memoria collettiva. Reggio è roccaforte di una nazione fondata sui principi della liberazione dal fascismo; Catania è laboratorio dell’Italia illegale nata sulle macerie dello stato democristiano. Reggio è città con un’opinione pubblica vivace e un’informazione locale pluralista; Catania è raccontata da un giornale solo. Reggio vanta gli asili pubblici più belli e copiati del mondo; Catania è una città senza asili o quasi. A Reggio l’amministrazione pubblica è gestita come un’impresa; a Catania è un colabrodo sull’orlo del fallimento. Buongoverno e malgoverno, nord e sud come nei vecchi cliché? La verità è che anche nel ventre pasciuto dell’Emilia si annida la criminalità. E se in tempi di recessione in Sicilia si riaccende l’autonomismo, la roccaforte della sinistra italiana cede alle lusinghe della Lega.
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