Di Francesco De Dominicis
In Italia, Sergio Marchionne, tornerà solo in queste ore, dopo la maratona americana per il lancio del piano Chrysler. I sindacati lo attendono con i fucili puntati. Così prima di rimettere piede sul suolo italiano, l’amministratore delegato di Fiat e del colosso automobilistico di Detroit ha di fatto già convocato i rappresentanti dei lavoratori. «Una delle cose che si dovrà di sicuro affrontare dopo Detroit è vederci con le parti sociali in Italia e discutere l’impatto delle decisioni prese per Chrysler sulla struttura italiana» ha detto ieri Marchionne da Zurigo.
Il top manager ha fatto sapere di attendere in cassa, entro la fine del 2009, circa 500 milioni di euro dall’erario italiano, legati al meccanismo del credito di imposta nell’ambito del programma degli incentivi al settore auto.
Dal governo il Lingotto aspetta pure l’estensione dei bonus al 2010. Per ora Marchionne ha incassato il plauso del Financial Times che ha definito «credibile» il progetto Usa. Tutti da verificare gli effetti su Fiat in Italia. Secondo l’ad «l’impatto» di Chrysler «non dovrebbe essere negativo» dentro i nostri confini. Fra le sigle, però, crescono ora dopo ora le tensioni sul destino degli stabilimenti nel nostro Paese.
Le preoccupazioni dei sindacati si concentrano, nel dettaglio, sui 1.450 operai di Termini Imerese, uno dei cinque stabilimenti dedicato all’assemblaggio di autoveicoli. Per la fabbrica siciliana di Fiat si è parlato addirittura di una conversione alla realizzazione di cabine per trattori Cnh. Ipotesi che, secondo Enzo Masini della Fiom Cgil, è assai «improbabile».
Lo spettro della chiusura, a Termini Imerese, è dietro l’angolo. Del resto da quello stabilimento, dove la cassa integrazione si mangia circa un paio di settimane al mese, esce solo la lancia Ypsilon. Tutto il 2009 è stato sofferto, con la sola eccezione di marzo e aprile, i soli due mesi che da quelle parti hanno beneficiato degli incentivi ecologici. Gli altri quattro poli Fiat, comunque, non se la passan meglio. In tutto gli operai che costruiscono auto sono circa 26mila. Cifra che supera il muro di 45mila unità se si contano anche gli addetti alla componentistica (Mirafiori meccanica, Verrone, Termoli, Marelli e Fma di Avellino). Un esercito che attende risposte e segnali di svolta. Come l’avvio della produzione di modelli di punta anche nelle fabbriche italiane. Due dei gioielli Fiat, Panda e 500, si fanno in Polonia con le fabbriche che girano a pieno regime su tre turni financo il sabato Ecco: i sindacati lamentano proprio il fatto che ai cinque stabilimenti italiani da tempo siano lasciate le briciole. Nella storica Mirafiori, a esempio, si produce solo l’Alfa Romeo Mito. E poi modelli vecchi (la Lancia Musa eoltre che le Fiat Multipla, Idea e Punto Classic). Croma, Bravo e Lancia Delta escono da Cassino e pure lì la produzione è arenata al 50% delle capacità, con la cassa integrazione che, invece, viaggia spedita. Quadro (quasi) tragico a Pomigliano d’Arco: le tre Alfa (Gt, 147 e 159) occupano gli operai una settimana al mese, giorno più giorno meno.
Un panorama assai buio un po’ dappertutto. Con una sola eccezione, quella di Melfi: un esercito di 4.900 addetti che assembla la Grande Punto, di fatto uno dei pochi modelli più venduti e 100% made in Italy. I bonus del governo per la rottamazione hanno spinto la produzione, rallentata solo nelle ultime settimane proprio per le incertezze legate al rinnovo degli incentivi da parte di palazzo Chigi.
Non basta. A fine 2009 il totale della produzione in Italia potrebbe arrivare appena a quota 645mila auto. Praticamente la metà della capacità degli stabilimenti locali. Nell’incontro di fine mese, i sindacati chiederanno a Marchionne se ha ancora senso il piano presentato tre anni fa e che prevedeva di arrivare, nel 2010, a 1,6 milioni di vetture “confezionate” nella Penisola. Un progetto assai ambizioso e saltato per aria sotto i colpi della crisi finanziaria internazionale. La bufera si sente ancora. Ragion per cui, ieri, l’ad del Lingotto ha congelato la pista dello spezzatino di Fiat Auto della quotazione: «Adesso non è il momento giusto», ha dichiarato.
L’uscita dal tunnel, però, potrebbe consentire di riprendere in mano il vecchio piano industriale, secondo le sigle del settore. Così nel summit con i vertici Fiat al centro del tavolo ci sarà un interrogativo preciso. Si tornerà su un sentiero ambizioso o l’Italia deve dire addio alla produzione di auto?
Fonte:Liberonews
Segnalazione A.S.D.S. (Agenzia Stampa Due Sicilie)
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Di Francesco De Dominicis
In Italia, Sergio Marchionne, tornerà solo in queste ore, dopo la maratona americana per il lancio del piano Chrysler. I sindacati lo attendono con i fucili puntati. Così prima di rimettere piede sul suolo italiano, l’amministratore delegato di Fiat e del colosso automobilistico di Detroit ha di fatto già convocato i rappresentanti dei lavoratori. «Una delle cose che si dovrà di sicuro affrontare dopo Detroit è vederci con le parti sociali in Italia e discutere l’impatto delle decisioni prese per Chrysler sulla struttura italiana» ha detto ieri Marchionne da Zurigo.
Il top manager ha fatto sapere di attendere in cassa, entro la fine del 2009, circa 500 milioni di euro dall’erario italiano, legati al meccanismo del credito di imposta nell’ambito del programma degli incentivi al settore auto.
Dal governo il Lingotto aspetta pure l’estensione dei bonus al 2010. Per ora Marchionne ha incassato il plauso del Financial Times che ha definito «credibile» il progetto Usa. Tutti da verificare gli effetti su Fiat in Italia. Secondo l’ad «l’impatto» di Chrysler «non dovrebbe essere negativo» dentro i nostri confini. Fra le sigle, però, crescono ora dopo ora le tensioni sul destino degli stabilimenti nel nostro Paese.
Le preoccupazioni dei sindacati si concentrano, nel dettaglio, sui 1.450 operai di Termini Imerese, uno dei cinque stabilimenti dedicato all’assemblaggio di autoveicoli. Per la fabbrica siciliana di Fiat si è parlato addirittura di una conversione alla realizzazione di cabine per trattori Cnh. Ipotesi che, secondo Enzo Masini della Fiom Cgil, è assai «improbabile».
Lo spettro della chiusura, a Termini Imerese, è dietro l’angolo. Del resto da quello stabilimento, dove la cassa integrazione si mangia circa un paio di settimane al mese, esce solo la lancia Ypsilon. Tutto il 2009 è stato sofferto, con la sola eccezione di marzo e aprile, i soli due mesi che da quelle parti hanno beneficiato degli incentivi ecologici. Gli altri quattro poli Fiat, comunque, non se la passan meglio. In tutto gli operai che costruiscono auto sono circa 26mila. Cifra che supera il muro di 45mila unità se si contano anche gli addetti alla componentistica (Mirafiori meccanica, Verrone, Termoli, Marelli e Fma di Avellino). Un esercito che attende risposte e segnali di svolta. Come l’avvio della produzione di modelli di punta anche nelle fabbriche italiane. Due dei gioielli Fiat, Panda e 500, si fanno in Polonia con le fabbriche che girano a pieno regime su tre turni financo il sabato Ecco: i sindacati lamentano proprio il fatto che ai cinque stabilimenti italiani da tempo siano lasciate le briciole. Nella storica Mirafiori, a esempio, si produce solo l’Alfa Romeo Mito. E poi modelli vecchi (la Lancia Musa eoltre che le Fiat Multipla, Idea e Punto Classic). Croma, Bravo e Lancia Delta escono da Cassino e pure lì la produzione è arenata al 50% delle capacità, con la cassa integrazione che, invece, viaggia spedita. Quadro (quasi) tragico a Pomigliano d’Arco: le tre Alfa (Gt, 147 e 159) occupano gli operai una settimana al mese, giorno più giorno meno.
Un panorama assai buio un po’ dappertutto. Con una sola eccezione, quella di Melfi: un esercito di 4.900 addetti che assembla la Grande Punto, di fatto uno dei pochi modelli più venduti e 100% made in Italy. I bonus del governo per la rottamazione hanno spinto la produzione, rallentata solo nelle ultime settimane proprio per le incertezze legate al rinnovo degli incentivi da parte di palazzo Chigi.
Non basta. A fine 2009 il totale della produzione in Italia potrebbe arrivare appena a quota 645mila auto. Praticamente la metà della capacità degli stabilimenti locali. Nell’incontro di fine mese, i sindacati chiederanno a Marchionne se ha ancora senso il piano presentato tre anni fa e che prevedeva di arrivare, nel 2010, a 1,6 milioni di vetture “confezionate” nella Penisola. Un progetto assai ambizioso e saltato per aria sotto i colpi della crisi finanziaria internazionale. La bufera si sente ancora. Ragion per cui, ieri, l’ad del Lingotto ha congelato la pista dello spezzatino di Fiat Auto della quotazione: «Adesso non è il momento giusto», ha dichiarato.
L’uscita dal tunnel, però, potrebbe consentire di riprendere in mano il vecchio piano industriale, secondo le sigle del settore. Così nel summit con i vertici Fiat al centro del tavolo ci sarà un interrogativo preciso. Si tornerà su un sentiero ambizioso o l’Italia deve dire addio alla produzione di auto?
Fonte:Liberonews
Segnalazione A.S.D.S. (Agenzia Stampa Due Sicilie)
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