di Giuseppe Scassellati Sforzolini -
Prevedere la sospensione dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, come fa il cosiddetto scudo fiscale nella sua ultima versione, è una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio. E secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria alla disposizione di una direttiva, applicando invece quest'ultima. In questo caso, ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif.
Tanto il nostro legislatore quanto i suoi numerosi critici, non sembrano aver messo a fuoco un serio problema d’incompatibilità con l’ordinamento comunitario della nuova normativa in tema di “scudo fiscale”, derivante dall’emendamento testé approvato dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge n. 103/2009, che contiene disposizioni correttive del decreto legge n. 78/2009, cosiddetto decreto anti-crisi. (1)
COSA DICE L’EMENDAMENTO
L’emendamento inserito dal Parlamento all’articolo 13-bis, comma 3, del Dl n. 78/2009, dispone che al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziare o patrimoniali detenute illegittimamente fuori dal territorio dello Stato, per i quali si determinano gli effetti di esclusione della punibilità penale di cui al comma 4 dello stesso articolo, non si applica l'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di cui all'articolo 41 del decreto legislativo n. 231/2007, il decreto anti-riciclaggio, che altrimenti graverebbe a carico degli intermediari e dei professionisti che intervengono nel rimpatrio dei capitali in questione.
Disapplicando completamente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, lo scudo fiscale approvato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009 si spinge molto oltre quanto disposto in tema di coordinamento con la normativa anti-riciclaggio tanto dall’originario Dl n. 78/2009, quanto dal precedente scudo fiscale del 2001 (decreto legge n. 350/2001). (2)
LA DIRETTIVA ANTI-RICICLAGGIO
Il decreto anti-riciclaggio è intitolato significativamente "Attuazione della direttiva 2005/60/Ce concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo". L'articolo 41 dispone che i soggetti tenuti al rispetto della normativa anti-riciclaggio, quali intermediari finanziari e professionisti, inviano alla Uif, Unità di informazione finanziaria, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (3)
Ora, la direttiva 2005/60 impone tassativamente agli Stati membri di vietare il riciclaggio di proventi da attività criminose e il finanziamento del terrorismo e dispone in modo inequivoco agli articoli 20 e seguenti che "gli Stati membri impongono" alle persone soggette alla direttiva di effettuare la segnalazione delle operazioni sospette alla Uif. La direttiva dispone che gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 249 del Trattato Ce, sono vincolati al rispetto delle disposizioni di armonizzazione minima che la direttiva contiene
Pertanto, lo Stato italiano non può sospendere l'obbligo di segnalazione di cui all'articolo 41, senza violare la direttiva. Né si può sostenere a priori che le operazioni che beneficiano del nuovo scudo fiscale non ricadrebbero comunque nell'ambito delle disposizioni anti-riciclaggio, le quali sono volte a combattere l’utilizzo dei proventi delle attività criminose. Senza addentrarsi nel tema, invero complesso e controverso, dell’estensione della non punibilità penale introdotta dal nuovo scudo fiscale, basti osservare che, se fosse fuor di dubbio che non si estende alle attività criminose, il Parlamento non avrebbe avvertito la necessità di sospendere completamente l'obbligo di segnalazione, contrariamente al precedente scudo fiscale del 2001 e alla versione “soft” approvata con il Dl n. 78/2009: entrambi non a caso escludevano espressamente la punibilità dei soli reati di natura fiscale. Peraltro, la definizione di attività criminose contenuta nella direttiva è particolarmente ampia. (4)
LE CONSEGUENZE
La conseguenza dell'emanazione di una norma interna contraria al diritto comunitario è duplice: da una parte, lo Stato italiano può essere citato dalla Commissione Europea davanti alla Corte di giustizia perché questa constati la violazione ai sensi dell'articolo 226 del Trattato Ce. La procedura di infrazione può essere più o meno rapida, a seconda dell’impulso che a essa conferisce la Commissione Europea.
La seconda conseguenza è invece atta a produrre effetti immediati in ragione del principio della primazia del diritto comunitario sul diritto interno. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria a una disposizione di una direttiva, applicando in sua vece la disposizione della direttiva stessa, se sufficientemente chiara, come in questo caso. (5) Ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif in sede di esercizio dei propri poteri di vigilanza e di normazione secondaria in merito all’applicazione della normativa anti-riciclaggio da parte delle banche e degli intermediari finanziari.
Pertanto, si può prevedere che la tenuta della norma che il Parlamento ha voluto introdurre nel decreto legge n. 103/2009 si rivelerà assai tenue.
(1) Il Dl n. 103/2009 è stato convertito in legge dal Parlamento l’1 ottobre 2009. Invece il Dl n. 78/2009, è stato convertito con la legge n. 102 del 3 agosto 2009.
(2) Anche il comma 4 è stato emendato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009. Ed è un emendamento particolarmente significativo al riguardo. Infatti, il nuovo comma 4 elimina un periodo dell’originario comma 4 del Dl n. 78/2009 che richiamava espressamente l’applicabilità delle disposizioni in tema di anti-riciclaggio di cui allo scudo fiscale del 2001 (articolo 17 del Dl n. 350/2001). Tali disposizioni non abolivano affatto l’obbligo di segnalazione, anzi lo ribadivano, escludendo unicamente che il rimpatrio fosse di per sé solo sufficiente a fondare il sospetto ai fini della segnalazione. Inoltre, l’originario comma 4 escludeva dal proprio campo di applicazione i reati, tranne quelli di infedele o omessa dichiarazione fiscale.
(3) La Uif è l’Unità di informazione finanziaria costituita in seno alla Banca d’Italia, che dal 1° gennaio 2008 ha inglobato l’Ufficio italiano cambi.
(4) Secondo la direttiva, costituisce «attività criminosa»: qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave. «Reati gravi» sono almeno: i reati di terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti, le attività delle organizzazioni criminali, la frode grave, la corruzione e i reati punibili con una pena privativa della libertà superiore a un anno (ovvero in certi casi superiore a sei mesi).
(5) “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l'abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione (...) sono tenuti ad applicare la direttiva stessa .” (Sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo spa c. Comune di Milano e Impresa Ing. Lodigiani spa, causa 103/88, Raccolta della giurisprudenza 1989, pag. 1839).
LO SCUDO INCOMPATIBILE CON LE NORME EUROPEE
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Ieri alle 19.48
- di Giuseppe Scassellati Sforzolini -
Prevedere la sospensione dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, come fa il cosiddetto scudo fiscale nella sua ultima versione, è una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio. E secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria alla disposizione di una direttiva, applicando invece quest'ultima. In questo caso, ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif. Tanto il nostro legislatore quanto i suoi numerosi critici, non sembrano aver messo a fuoco un serio problema d’incompatibilità con l’ordinamento comunitario della nuova normativa in tema di “scudo fiscale”, derivante dall’emendamento testé approvato dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge n. 103/2009, che contiene disposizioni correttive del decreto legge n. 78/2009, cosiddetto decreto anti-crisi. (1)COSA DICE L’EMENDAMENTOL’emendamento inserito dal Parlamento all’articolo 13-bis, comma 3, del Dl n. 78/2009, dispone che al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziare o patrimoniali detenute illegittimamente fuori dal territorio dello Stato, per i quali si determinano gli effetti di esclusione della punibilità penale di cui al comma 4 dello stesso articolo, non si applica l'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di cui all'articolo 41 del decreto legislativo n. 231/2007, il decreto anti-riciclaggio, che altrimenti graverebbe a carico degli intermediari e dei professionisti che intervengono nel rimpatrio dei capitali in questione.Disapplicando completamente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, lo scudo fiscale approvato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009 si spinge molto oltre quanto disposto in tema di coordinamento con la normativa anti-riciclaggio tanto dall’originario Dl n. 78/2009, quanto dal precedente scudo fiscale del 2001 (decreto legge n. 350/2001). (2)LA DIRETTIVA ANTI-RICICLAGGIOIl decreto anti-riciclaggio è intitolato significativamente "Attuazione della direttiva 2005/60/Ce concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo". L'articolo 41 dispone che i soggetti tenuti al rispetto della normativa anti-riciclaggio, quali intermediari finanziari e professionisti, inviano alla Uif, Unità di informazione finanziaria, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (3)Ora, la direttiva 2005/60 impone tassativamente agli Stati membri di vietare il riciclaggio di proventi da attività criminose e il finanziamento del terrorismo e dispone in modo inequivoco agli articoli 20 e seguenti che "gli Stati membri impongono" alle persone soggette alla direttiva di effettuare la segnalazione delle operazioni sospette alla Uif. La direttiva dispone che gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 249 del Trattato Ce, sono vincolati al rispetto delle disposizioni di armonizzazione minima che la direttiva contienePertanto, lo Stato italiano non può sospendere l'obbligo di segnalazione di cui all'articolo 41, senza violare la direttiva. Né si può sostenere a priori che le operazioni che beneficiano del nuovo scudo fiscale non ricadrebbero comunque nell'ambito delle disposizioni anti-riciclaggio, le quali sono volte a combattere l’utilizzo dei proventi delle attività criminose. Senza addentrarsi nel tema, invero complesso e controverso, dell’estensione della non punibilità penale introdotta dal nuovo scudo fiscale, basti osservare che, se fosse fuor di dubbio che non si estende alle attività criminose, il Parlamento non avrebbe avvertito la necessità di sospendere completamente l'obbligo di segnalazione, contrariamente al precedente scudo fiscale del 2001 e alla versione “soft” approvata con il Dl n. 78/2009: entrambi non a caso escludevano espressamente la punibilità dei soli reati di natura fiscale. Peraltro, la definizione di attività criminose contenuta nella direttiva è particolarmente ampia. (4)LE CONSEGUENZELa conseguenza dell'emanazione di una norma interna contraria al diritto comunitario è duplice: da una parte, lo Stato italiano può essere citato dalla Commissione Europea davanti alla Corte di giustizia perché questa constati la violazione ai sensi dell'articolo 226 del Trattato Ce. La procedura di infrazione può essere più o meno rapida, a seconda dell’impulso che a essa conferisce la Commissione Europea.La seconda conseguenza è invece atta a produrre effetti immediati in ragione del principio della primazia del diritto comunitario sul diritto interno. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria a una disposizione di una direttiva, applicando in sua vece la disposizione della direttiva stessa, se sufficientemente chiara, come in questo caso. (5) Ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif in sede di esercizio dei propri poteri di vigilanza e di normazione secondaria in merito all’applicazione della normativa anti-riciclaggio da parte delle banche e degli intermediari finanziari.Pertanto, si può prevedere che la tenuta della norma che il Parlamento ha voluto introdurre nel decreto legge n. 103/2009 si rivelerà assai tenue.(1) Il Dl n. 103/2009 è stato convertito in legge dal Parlamento l’1 ottobre 2009. Invece il Dl n. 78/2009, è stato convertito con la legge n. 102 del 3 agosto 2009.(2) Anche il comma 4 è stato emendato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009. Ed è un emendamento particolarmente significativo al riguardo. Infatti, il nuovo comma 4 elimina un periodo dell’originario comma 4 del Dl n. 78/2009 che richiamava espressamente l’applicabilità delle disposizioni in tema di anti-riciclaggio di cui allo scudo fiscale del 2001 (articolo 17 del Dl n. 350/2001). Tali disposizioni non abolivano affatto l’obbligo di segnalazione, anzi lo ribadivano, escludendo unicamente che il rimpatrio fosse di per sé solo sufficiente a fondare il sospetto ai fini della segnalazione. Inoltre, l’originario comma 4 escludeva dal proprio campo di applicazione i reati, tranne quelli di infedele o omessa dichiarazione fiscale.(3) La Uif è l’Unità di informazione finanziaria costituita in seno alla Banca d’Italia, che dal 1° gennaio 2008 ha inglobato l’Ufficio italiano cambi.(4) Secondo la direttiva, costituisce «attività criminosa»: qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave. «Reati gravi» sono almeno: i reati di terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti, le attività delle organizzazioni criminali, la frode grave, la corruzione e i reati punibili con una pena privativa della libertà superiore a un anno (ovvero in certi casi superiore a sei mesi).(5) “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l'abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione (...) sono tenuti ad applicare la direttiva stessa .”
Prevedere la sospensione dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, come fa il cosiddetto scudo fiscale nella sua ultima versione, è una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio. E secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria alla disposizione di una direttiva, applicando invece quest'ultima. In questo caso, ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif.
Tanto il nostro legislatore quanto i suoi numerosi critici, non sembrano aver messo a fuoco un serio problema d’incompatibilità con l’ordinamento comunitario della nuova normativa in tema di “scudo fiscale”, derivante dall’emendamento testé approvato dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge n. 103/2009, che contiene disposizioni correttive del decreto legge n. 78/2009, cosiddetto decreto anti-crisi. (1)
COSA DICE L’EMENDAMENTO
L’emendamento inserito dal Parlamento all’articolo 13-bis, comma 3, del Dl n. 78/2009, dispone che al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziare o patrimoniali detenute illegittimamente fuori dal territorio dello Stato, per i quali si determinano gli effetti di esclusione della punibilità penale di cui al comma 4 dello stesso articolo, non si applica l'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di cui all'articolo 41 del decreto legislativo n. 231/2007, il decreto anti-riciclaggio, che altrimenti graverebbe a carico degli intermediari e dei professionisti che intervengono nel rimpatrio dei capitali in questione.
Disapplicando completamente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, lo scudo fiscale approvato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009 si spinge molto oltre quanto disposto in tema di coordinamento con la normativa anti-riciclaggio tanto dall’originario Dl n. 78/2009, quanto dal precedente scudo fiscale del 2001 (decreto legge n. 350/2001). (2)
LA DIRETTIVA ANTI-RICICLAGGIO
Il decreto anti-riciclaggio è intitolato significativamente "Attuazione della direttiva 2005/60/Ce concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo". L'articolo 41 dispone che i soggetti tenuti al rispetto della normativa anti-riciclaggio, quali intermediari finanziari e professionisti, inviano alla Uif, Unità di informazione finanziaria, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (3)
Ora, la direttiva 2005/60 impone tassativamente agli Stati membri di vietare il riciclaggio di proventi da attività criminose e il finanziamento del terrorismo e dispone in modo inequivoco agli articoli 20 e seguenti che "gli Stati membri impongono" alle persone soggette alla direttiva di effettuare la segnalazione delle operazioni sospette alla Uif. La direttiva dispone che gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 249 del Trattato Ce, sono vincolati al rispetto delle disposizioni di armonizzazione minima che la direttiva contiene
Pertanto, lo Stato italiano non può sospendere l'obbligo di segnalazione di cui all'articolo 41, senza violare la direttiva. Né si può sostenere a priori che le operazioni che beneficiano del nuovo scudo fiscale non ricadrebbero comunque nell'ambito delle disposizioni anti-riciclaggio, le quali sono volte a combattere l’utilizzo dei proventi delle attività criminose. Senza addentrarsi nel tema, invero complesso e controverso, dell’estensione della non punibilità penale introdotta dal nuovo scudo fiscale, basti osservare che, se fosse fuor di dubbio che non si estende alle attività criminose, il Parlamento non avrebbe avvertito la necessità di sospendere completamente l'obbligo di segnalazione, contrariamente al precedente scudo fiscale del 2001 e alla versione “soft” approvata con il Dl n. 78/2009: entrambi non a caso escludevano espressamente la punibilità dei soli reati di natura fiscale. Peraltro, la definizione di attività criminose contenuta nella direttiva è particolarmente ampia. (4)
LE CONSEGUENZE
La conseguenza dell'emanazione di una norma interna contraria al diritto comunitario è duplice: da una parte, lo Stato italiano può essere citato dalla Commissione Europea davanti alla Corte di giustizia perché questa constati la violazione ai sensi dell'articolo 226 del Trattato Ce. La procedura di infrazione può essere più o meno rapida, a seconda dell’impulso che a essa conferisce la Commissione Europea.
La seconda conseguenza è invece atta a produrre effetti immediati in ragione del principio della primazia del diritto comunitario sul diritto interno. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria a una disposizione di una direttiva, applicando in sua vece la disposizione della direttiva stessa, se sufficientemente chiara, come in questo caso. (5) Ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif in sede di esercizio dei propri poteri di vigilanza e di normazione secondaria in merito all’applicazione della normativa anti-riciclaggio da parte delle banche e degli intermediari finanziari.
Pertanto, si può prevedere che la tenuta della norma che il Parlamento ha voluto introdurre nel decreto legge n. 103/2009 si rivelerà assai tenue.
(1) Il Dl n. 103/2009 è stato convertito in legge dal Parlamento l’1 ottobre 2009. Invece il Dl n. 78/2009, è stato convertito con la legge n. 102 del 3 agosto 2009.
(2) Anche il comma 4 è stato emendato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009. Ed è un emendamento particolarmente significativo al riguardo. Infatti, il nuovo comma 4 elimina un periodo dell’originario comma 4 del Dl n. 78/2009 che richiamava espressamente l’applicabilità delle disposizioni in tema di anti-riciclaggio di cui allo scudo fiscale del 2001 (articolo 17 del Dl n. 350/2001). Tali disposizioni non abolivano affatto l’obbligo di segnalazione, anzi lo ribadivano, escludendo unicamente che il rimpatrio fosse di per sé solo sufficiente a fondare il sospetto ai fini della segnalazione. Inoltre, l’originario comma 4 escludeva dal proprio campo di applicazione i reati, tranne quelli di infedele o omessa dichiarazione fiscale.
(3) La Uif è l’Unità di informazione finanziaria costituita in seno alla Banca d’Italia, che dal 1° gennaio 2008 ha inglobato l’Ufficio italiano cambi.
(4) Secondo la direttiva, costituisce «attività criminosa»: qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave. «Reati gravi» sono almeno: i reati di terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti, le attività delle organizzazioni criminali, la frode grave, la corruzione e i reati punibili con una pena privativa della libertà superiore a un anno (ovvero in certi casi superiore a sei mesi).
(5) “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l'abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione (...) sono tenuti ad applicare la direttiva stessa .” (Sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo spa c. Comune di Milano e Impresa Ing. Lodigiani spa, causa 103/88, Raccolta della giurisprudenza 1989, pag. 1839).
LO SCUDO INCOMPATIBILE CON LE NORME EUROPEE
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Ieri alle 19.48
- di Giuseppe Scassellati Sforzolini -
Prevedere la sospensione dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, come fa il cosiddetto scudo fiscale nella sua ultima versione, è una violazione della direttiva europea anti-riciclaggio. E secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria alla disposizione di una direttiva, applicando invece quest'ultima. In questo caso, ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif. Tanto il nostro legislatore quanto i suoi numerosi critici, non sembrano aver messo a fuoco un serio problema d’incompatibilità con l’ordinamento comunitario della nuova normativa in tema di “scudo fiscale”, derivante dall’emendamento testé approvato dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge n. 103/2009, che contiene disposizioni correttive del decreto legge n. 78/2009, cosiddetto decreto anti-crisi. (1)COSA DICE L’EMENDAMENTOL’emendamento inserito dal Parlamento all’articolo 13-bis, comma 3, del Dl n. 78/2009, dispone che al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziare o patrimoniali detenute illegittimamente fuori dal territorio dello Stato, per i quali si determinano gli effetti di esclusione della punibilità penale di cui al comma 4 dello stesso articolo, non si applica l'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di cui all'articolo 41 del decreto legislativo n. 231/2007, il decreto anti-riciclaggio, che altrimenti graverebbe a carico degli intermediari e dei professionisti che intervengono nel rimpatrio dei capitali in questione.Disapplicando completamente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, lo scudo fiscale approvato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009 si spinge molto oltre quanto disposto in tema di coordinamento con la normativa anti-riciclaggio tanto dall’originario Dl n. 78/2009, quanto dal precedente scudo fiscale del 2001 (decreto legge n. 350/2001). (2)LA DIRETTIVA ANTI-RICICLAGGIOIl decreto anti-riciclaggio è intitolato significativamente "Attuazione della direttiva 2005/60/Ce concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo". L'articolo 41 dispone che i soggetti tenuti al rispetto della normativa anti-riciclaggio, quali intermediari finanziari e professionisti, inviano alla Uif, Unità di informazione finanziaria, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. (3)Ora, la direttiva 2005/60 impone tassativamente agli Stati membri di vietare il riciclaggio di proventi da attività criminose e il finanziamento del terrorismo e dispone in modo inequivoco agli articoli 20 e seguenti che "gli Stati membri impongono" alle persone soggette alla direttiva di effettuare la segnalazione delle operazioni sospette alla Uif. La direttiva dispone che gli Stati membri possono adottare disposizioni più severe. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 249 del Trattato Ce, sono vincolati al rispetto delle disposizioni di armonizzazione minima che la direttiva contienePertanto, lo Stato italiano non può sospendere l'obbligo di segnalazione di cui all'articolo 41, senza violare la direttiva. Né si può sostenere a priori che le operazioni che beneficiano del nuovo scudo fiscale non ricadrebbero comunque nell'ambito delle disposizioni anti-riciclaggio, le quali sono volte a combattere l’utilizzo dei proventi delle attività criminose. Senza addentrarsi nel tema, invero complesso e controverso, dell’estensione della non punibilità penale introdotta dal nuovo scudo fiscale, basti osservare che, se fosse fuor di dubbio che non si estende alle attività criminose, il Parlamento non avrebbe avvertito la necessità di sospendere completamente l'obbligo di segnalazione, contrariamente al precedente scudo fiscale del 2001 e alla versione “soft” approvata con il Dl n. 78/2009: entrambi non a caso escludevano espressamente la punibilità dei soli reati di natura fiscale. Peraltro, la definizione di attività criminose contenuta nella direttiva è particolarmente ampia. (4)LE CONSEGUENZELa conseguenza dell'emanazione di una norma interna contraria al diritto comunitario è duplice: da una parte, lo Stato italiano può essere citato dalla Commissione Europea davanti alla Corte di giustizia perché questa constati la violazione ai sensi dell'articolo 226 del Trattato Ce. La procedura di infrazione può essere più o meno rapida, a seconda dell’impulso che a essa conferisce la Commissione Europea.La seconda conseguenza è invece atta a produrre effetti immediati in ragione del principio della primazia del diritto comunitario sul diritto interno. Infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, non solo qualsiasi giudice, ma anche qualsiasi autorità pubblica, è tenuta a disapplicare una norma interna, anche di rango primario, contraria a una disposizione di una direttiva, applicando in sua vece la disposizione della direttiva stessa, se sufficientemente chiara, come in questo caso. (5) Ciò vale in particolare per la Banca d'Italia e l'Uif in sede di esercizio dei propri poteri di vigilanza e di normazione secondaria in merito all’applicazione della normativa anti-riciclaggio da parte delle banche e degli intermediari finanziari.Pertanto, si può prevedere che la tenuta della norma che il Parlamento ha voluto introdurre nel decreto legge n. 103/2009 si rivelerà assai tenue.(1) Il Dl n. 103/2009 è stato convertito in legge dal Parlamento l’1 ottobre 2009. Invece il Dl n. 78/2009, è stato convertito con la legge n. 102 del 3 agosto 2009.(2) Anche il comma 4 è stato emendato dal Parlamento in sede di conversione del Dl n. 103/2009. Ed è un emendamento particolarmente significativo al riguardo. Infatti, il nuovo comma 4 elimina un periodo dell’originario comma 4 del Dl n. 78/2009 che richiamava espressamente l’applicabilità delle disposizioni in tema di anti-riciclaggio di cui allo scudo fiscale del 2001 (articolo 17 del Dl n. 350/2001). Tali disposizioni non abolivano affatto l’obbligo di segnalazione, anzi lo ribadivano, escludendo unicamente che il rimpatrio fosse di per sé solo sufficiente a fondare il sospetto ai fini della segnalazione. Inoltre, l’originario comma 4 escludeva dal proprio campo di applicazione i reati, tranne quelli di infedele o omessa dichiarazione fiscale.(3) La Uif è l’Unità di informazione finanziaria costituita in seno alla Banca d’Italia, che dal 1° gennaio 2008 ha inglobato l’Ufficio italiano cambi.(4) Secondo la direttiva, costituisce «attività criminosa»: qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave. «Reati gravi» sono almeno: i reati di terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti, le attività delle organizzazioni criminali, la frode grave, la corruzione e i reati punibili con una pena privativa della libertà superiore a un anno (ovvero in certi casi superiore a sei mesi).(5) “In tutti i casi in cui talune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, tanto se questo non abbia trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l'abbia trasposta in modo inadeguato. Qualora sussistano i presupposti occorrenti perché la direttiva possa essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi della pubblica amministrazione (...) sono tenuti ad applicare la direttiva stessa .”
(Sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo spa c. Comune di Milano e Impresa Ing. Lodigiani spa, causa 103/88, Raccolta della giurisprudenza 1989, pag. 1839).
Fonte:La voce info
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