martedì 27 ottobre 2009

La vera festa sarebbe disfare l’Italia



Di Gilberto Oneto


La lagna nazionale si è scatenata attorno ai mancati finanziamenti e alla carenza di idee per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. La cosa commuove i pochi cui l’unità porta vantaggi ma – giustamente – lascia indifferenti tutti quelli cui non ha fatto alcun bene. La verità è che la penisola non ha mai avuto tante sciagure come da quando è politicamente unita. È un rosario di fallimenti. Ha subito guerre e cataste di morti come non ce n’erano stati in 2000 anni, ha visto milioni di suoi cittadini emigrare all’interno o all’estero a cercare fortuna, ha sprecato risorse enormi senza creare ricchezza. Si è fatta prendere da fregole di grande potenza e si è cacciata in un sacco di guai. Non è mai riuscita a garantire ai suoi cittadini i livelli di vita che – contestualizzati – avevano gli Stati pre-unitari.
Ha prodotto e gestito più ricchezza la Repubblica di Genova, ha generato più cultura il minuscolo Ducato di Mantova che l’Italia unita; Venezia era rispettata; hanno contribuito mille volte di più all’arte, alla scienza e alla civiltà d’Europa gli italiani “calpesti e derisi” di quelli avvolti nel tricolore.
Il Lombardo-Veneto era un gioiello di efficienza e prosperità. Aveva i conti a posto anche il Piemonte, prima. La Toscana era il paese più civile e progredito d’Europa e neppure i Ducati padani dovevano essere così male se l’intero esercito del duca di Modena ha deciso volontariamente di seguirlo in esilio. A sentire i meridionalisti anche il Regno delle Due Sicilie era in buona salute o aveva tutte le premesse per diventarlo: in ogni caso se ne stava tranquillo per i fatti suoi e ha mai dato fastidio a nessuno.
Se prima vivevano in pace o si ignoravano, oggi nordisti e sudisti si guardano in cagnesco a si rinfacciano a vicenda ogni colpa e iniquità. Bel risultato!
Oggi pochi si scaldano per la ricorrenza. Ci sarebbe da preoccuparsi del contrario.
A fare i patrioti ci sono solo quelli che di unità vivono: la casta, i politici, gli stipendiati d’oro della pubblica amministrazione, i finti invalidi e – forse - anche qualche idealista poco addentro alle verità della storia e drogato di retorica.
L’unità è stata l’azione violenta e truffaldina di una piccola minoranza ai danni della maggioranza. E anche la parte migliore di quella minoranza se ne è pentita: le parole di più amara delusione le hanno scritte alcuni dei suoi protagonisti, compresi molti insospettabili. Cattaneo si è rifugiato in Svizzera, Cernuschi in Francia, Bixio è andato a morire a Sumatra.
C’è una turpe analogia fra l’unità e il comunismo. Il comunismo – sostengono i più incalliti compagni, alla faccia della storia e del buon senso – era la migliore delle idee possibili: se non ha funzionato è solo perchè perché stata applicata male o solo in parte. É la stessa litania dei patrioti: il Risorgimento è stato fatto in fretta, è incompiuto; l’unità è sacrosanta ma strutturata male.
A nessuno dei fedelissimi viene in mente che il problema non sia la cattiva applicazione ma l’oggetto in sé: che il comunismo sia stata una delle peggiori schifezze prodotte dalla mente umana e che l’unità non funzioni proprio perchè non può farlo, è contro natura.
Ecco l’idea vincente per dare vitalità alla ricorrenza del 2011: il modo migliore per festeggiare l’unità è di disfarla.
Non si farebbe neppure fatica a trovare i finanziamenti: ci sono 28 milioni di padani che proverebbero piacere (e farebbero finalmente contento Padoa Schioppa) a pagare una tassa ad hoc. Sarebbe l’ultima. Davvero.

Fonte: Libero 24 luglio 2009
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Di Gilberto Oneto


La lagna nazionale si è scatenata attorno ai mancati finanziamenti e alla carenza di idee per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. La cosa commuove i pochi cui l’unità porta vantaggi ma – giustamente – lascia indifferenti tutti quelli cui non ha fatto alcun bene. La verità è che la penisola non ha mai avuto tante sciagure come da quando è politicamente unita. È un rosario di fallimenti. Ha subito guerre e cataste di morti come non ce n’erano stati in 2000 anni, ha visto milioni di suoi cittadini emigrare all’interno o all’estero a cercare fortuna, ha sprecato risorse enormi senza creare ricchezza. Si è fatta prendere da fregole di grande potenza e si è cacciata in un sacco di guai. Non è mai riuscita a garantire ai suoi cittadini i livelli di vita che – contestualizzati – avevano gli Stati pre-unitari.
Ha prodotto e gestito più ricchezza la Repubblica di Genova, ha generato più cultura il minuscolo Ducato di Mantova che l’Italia unita; Venezia era rispettata; hanno contribuito mille volte di più all’arte, alla scienza e alla civiltà d’Europa gli italiani “calpesti e derisi” di quelli avvolti nel tricolore.
Il Lombardo-Veneto era un gioiello di efficienza e prosperità. Aveva i conti a posto anche il Piemonte, prima. La Toscana era il paese più civile e progredito d’Europa e neppure i Ducati padani dovevano essere così male se l’intero esercito del duca di Modena ha deciso volontariamente di seguirlo in esilio. A sentire i meridionalisti anche il Regno delle Due Sicilie era in buona salute o aveva tutte le premesse per diventarlo: in ogni caso se ne stava tranquillo per i fatti suoi e ha mai dato fastidio a nessuno.
Se prima vivevano in pace o si ignoravano, oggi nordisti e sudisti si guardano in cagnesco a si rinfacciano a vicenda ogni colpa e iniquità. Bel risultato!
Oggi pochi si scaldano per la ricorrenza. Ci sarebbe da preoccuparsi del contrario.
A fare i patrioti ci sono solo quelli che di unità vivono: la casta, i politici, gli stipendiati d’oro della pubblica amministrazione, i finti invalidi e – forse - anche qualche idealista poco addentro alle verità della storia e drogato di retorica.
L’unità è stata l’azione violenta e truffaldina di una piccola minoranza ai danni della maggioranza. E anche la parte migliore di quella minoranza se ne è pentita: le parole di più amara delusione le hanno scritte alcuni dei suoi protagonisti, compresi molti insospettabili. Cattaneo si è rifugiato in Svizzera, Cernuschi in Francia, Bixio è andato a morire a Sumatra.
C’è una turpe analogia fra l’unità e il comunismo. Il comunismo – sostengono i più incalliti compagni, alla faccia della storia e del buon senso – era la migliore delle idee possibili: se non ha funzionato è solo perchè perché stata applicata male o solo in parte. É la stessa litania dei patrioti: il Risorgimento è stato fatto in fretta, è incompiuto; l’unità è sacrosanta ma strutturata male.
A nessuno dei fedelissimi viene in mente che il problema non sia la cattiva applicazione ma l’oggetto in sé: che il comunismo sia stata una delle peggiori schifezze prodotte dalla mente umana e che l’unità non funzioni proprio perchè non può farlo, è contro natura.
Ecco l’idea vincente per dare vitalità alla ricorrenza del 2011: il modo migliore per festeggiare l’unità è di disfarla.
Non si farebbe neppure fatica a trovare i finanziamenti: ci sono 28 milioni di padani che proverebbero piacere (e farebbero finalmente contento Padoa Schioppa) a pagare una tassa ad hoc. Sarebbe l’ultima. Davvero.

Fonte: Libero 24 luglio 2009
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