lunedì 5 ottobre 2009

Il conte Cavour fu poco nobile con la Padania


di Gilberto Oneto


Sul Corriere di mercoledì Pierluigi Battista si inventa una garbata lettera immaginaria di Cavour indirizzandola ai «signori della Padania». Per quanto riguarda i destinatari della Padania giornale essi sono - immagino - in grado di rispondere per quel che li concerne, di sicuro ha l’autorevolezza per farlo Lorenzo Del Boca, il cui articolo ha scatenato le velleità epistolari postume del Conte. Ma la lettera è destinata anche ai «signori della Padania» paese e allora ci riguarda in tanti e mi sento anch’io autorizzato a dire la mia.
Cavour-Battista chiede una «ragionevole tregua», un armistizio, una indulgenza che metta da parte «acredine» e «malanimo» per «riconoscerci figli di una stessa storia». La richiesta è cortese e i padani, che sono in larga maggioranza gente di cuore, sapranno ascoltarla. Ma non si deve confondere una tregua con il perdono, o con l’accettazione di menzogne. Tanti cittadini degli Stati italiani di allora avevano molte ragioni per non dover mostrare troppa gratitudine o indulgenza nei confronti di Cavour, e molti dei loro pronipoti di oggi hanno pochi motivi per dover cambiare atteggiamento.
I padani - e veniamo al testo in questione - ne hanno meno di altri. Nella lettera si sfiora non senza malizia uno di questi punti, quando si dice che l’unità «non ha sfavorito o mortificato l’attività delle laboriose popolazioni settentrionali». Ci mancherebbe l’avesse fatto, visto che ci campa! Cattaneo si lamentava che il Lombardo-Veneto, con un ottavo della popolazione complessiva, fornisse all’erario imperiale austriaco più di un quarto delle sue entrate e per questo chiedeva la più ampia autonomia. Oggi le regioni padane subiscono salassi ben più gravosi e non hanno neanche il diritto di lamentarsi senza vedersi accusare di egoismo o peggio.
Ma c’è una cosa che ai padani non va giù. Quella di essere stati ingannati, truffati, presi per i fondelli e proprio principalmente dal conte di Cavour. Il Risorgimento è cominciato sventolando il progetto di un bel Regno dell’Italia settentrionale, o Superiore, come si diceva allora. Eridania la chiamava Durando, Alta Italia il Gioberti e il Rosmini, uno «Stato solo sul Po» il D’Azeglio. È per formare un Regno padano che Carlo Alberto ha iniziato la guerra del 1848: il disegno si sarebbe compiuto - aveva solennemente e vacuamente proclamato nel Discorso della Corona del 1° febbraio 1849 - «dall’Assemblea Costituente del Regno dell’Alta Italia». Con la promessa di una Costituente aveva fatto svolgere i plebisciti di fusione della Lombardia, di Venezia e dei Ducati padani. Che questo fosse l’obiettivo dei patrioti di allora è verificato da una rilettura di Fogazzaro, che in Piccolo Mondo Antico descrive in dettaglio l’Italia che si voleva: Piemonte, Lombardo-Veneto, Parma, Modena e Legazioni. Cavour aveva proseguito sulla stessa strada. Gli accordi di Plombières, che sono alla base dell’intero Risorgimento, prevedevano che: «La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell'Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia». La Padania insomma. È su questo progetto che si è fatta la guerra del 1859. È tradendo questo disegno che si è fatto il pastrocchio dell’unità, per favorire gli appetiti dei Savoia e le trame imperialistiche della Gran Bretagna.

nsomma, ai «signori della Padania» il Conte aveva promesso una cosa e poi gliene ha rifilata un’altra. Aveva prospettato uno Stato di media grandezza e dalle grandi possibilità economiche, un «grasso Belgio»: l’espressione è sua e rende l’idea. Alla fine i padani si sono trovati parte di un organismo grande e famelico come l’Austria ma senza i suoi pregi.
Vogliamo oggi celebrare civilmente il 150° dell'unità? Facciamolo raccontando le cose come sono davvero andate. Ha scritto Massimo D’Azeglio, uno che la vicenda l’ha vissuta in prima persona, che «non si fonda un’associazione umana qualunque su una serie di furberie, di perfidie e di bugie».
Non serve aggrapparsi a retorica e sentimentalismi per evitare l’esercizio di maturità civile che prevede un sereno e giusto processo ai Padri della patria. E alle madri, ai nipoti e ai pronipoti.

Fonte:Il Giornale
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di Gilberto Oneto


Sul Corriere di mercoledì Pierluigi Battista si inventa una garbata lettera immaginaria di Cavour indirizzandola ai «signori della Padania». Per quanto riguarda i destinatari della Padania giornale essi sono - immagino - in grado di rispondere per quel che li concerne, di sicuro ha l’autorevolezza per farlo Lorenzo Del Boca, il cui articolo ha scatenato le velleità epistolari postume del Conte. Ma la lettera è destinata anche ai «signori della Padania» paese e allora ci riguarda in tanti e mi sento anch’io autorizzato a dire la mia.
Cavour-Battista chiede una «ragionevole tregua», un armistizio, una indulgenza che metta da parte «acredine» e «malanimo» per «riconoscerci figli di una stessa storia». La richiesta è cortese e i padani, che sono in larga maggioranza gente di cuore, sapranno ascoltarla. Ma non si deve confondere una tregua con il perdono, o con l’accettazione di menzogne. Tanti cittadini degli Stati italiani di allora avevano molte ragioni per non dover mostrare troppa gratitudine o indulgenza nei confronti di Cavour, e molti dei loro pronipoti di oggi hanno pochi motivi per dover cambiare atteggiamento.
I padani - e veniamo al testo in questione - ne hanno meno di altri. Nella lettera si sfiora non senza malizia uno di questi punti, quando si dice che l’unità «non ha sfavorito o mortificato l’attività delle laboriose popolazioni settentrionali». Ci mancherebbe l’avesse fatto, visto che ci campa! Cattaneo si lamentava che il Lombardo-Veneto, con un ottavo della popolazione complessiva, fornisse all’erario imperiale austriaco più di un quarto delle sue entrate e per questo chiedeva la più ampia autonomia. Oggi le regioni padane subiscono salassi ben più gravosi e non hanno neanche il diritto di lamentarsi senza vedersi accusare di egoismo o peggio.
Ma c’è una cosa che ai padani non va giù. Quella di essere stati ingannati, truffati, presi per i fondelli e proprio principalmente dal conte di Cavour. Il Risorgimento è cominciato sventolando il progetto di un bel Regno dell’Italia settentrionale, o Superiore, come si diceva allora. Eridania la chiamava Durando, Alta Italia il Gioberti e il Rosmini, uno «Stato solo sul Po» il D’Azeglio. È per formare un Regno padano che Carlo Alberto ha iniziato la guerra del 1848: il disegno si sarebbe compiuto - aveva solennemente e vacuamente proclamato nel Discorso della Corona del 1° febbraio 1849 - «dall’Assemblea Costituente del Regno dell’Alta Italia». Con la promessa di una Costituente aveva fatto svolgere i plebisciti di fusione della Lombardia, di Venezia e dei Ducati padani. Che questo fosse l’obiettivo dei patrioti di allora è verificato da una rilettura di Fogazzaro, che in Piccolo Mondo Antico descrive in dettaglio l’Italia che si voleva: Piemonte, Lombardo-Veneto, Parma, Modena e Legazioni. Cavour aveva proseguito sulla stessa strada. Gli accordi di Plombières, che sono alla base dell’intero Risorgimento, prevedevano che: «La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell'Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia». La Padania insomma. È su questo progetto che si è fatta la guerra del 1859. È tradendo questo disegno che si è fatto il pastrocchio dell’unità, per favorire gli appetiti dei Savoia e le trame imperialistiche della Gran Bretagna.

nsomma, ai «signori della Padania» il Conte aveva promesso una cosa e poi gliene ha rifilata un’altra. Aveva prospettato uno Stato di media grandezza e dalle grandi possibilità economiche, un «grasso Belgio»: l’espressione è sua e rende l’idea. Alla fine i padani si sono trovati parte di un organismo grande e famelico come l’Austria ma senza i suoi pregi.
Vogliamo oggi celebrare civilmente il 150° dell'unità? Facciamolo raccontando le cose come sono davvero andate. Ha scritto Massimo D’Azeglio, uno che la vicenda l’ha vissuta in prima persona, che «non si fonda un’associazione umana qualunque su una serie di furberie, di perfidie e di bugie».
Non serve aggrapparsi a retorica e sentimentalismi per evitare l’esercizio di maturità civile che prevede un sereno e giusto processo ai Padri della patria. E alle madri, ai nipoti e ai pronipoti.

Fonte:Il Giornale
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