Di Roberto Galullo
Tutti assolti per lo scandalo post terremoto. Nessun colpevole (o quasi).
Tranquilli, non sto parlando – per ora – del sisma che ha sconvolto l’Abruzzo ma di quello che il 23 novembre 1980 rase al suolo 36 comuni al confine tra la Campania e la Basilicata provocando 2.735 morti e 8.850 feriti.
Nel silenzio totale dei media nazionali – lo dico e lo ripeto spesso, ormai pressochè incapaci di trovare notizie o dare risalto a quelle che il territorio produce senza sforzo – il 23 giugno 2009 la Corte d’Appello di Napoli ha chiuso, in maniera pressoché definitiva, il capitolo giudiziario con una sentenza che lascia pochi dubbi e molto amaro in bocca.
La Giustizia penale ha scritto la parola fine (o quasi) ma quella contabile continua a perseguire gli autori di quello sciacallaggio politico-camorristico-imprenditoriale che – sulla pelle dei morti e dei vivi – ingoiò scientificamente non meno di 60mila miliardi di lire.
Questo post dà conto di questa notizia e si legherà alla vicenda abruzzese – che tra poche ore ospiterà all’Aquila un inutile G8 dove “Sua Altezza dimezzata” farà da padrone di casa - con un filo logico che domani, lunedì 6 luglio, sarà dipanato anche su Radio24 nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” in onda alle 6.45 e in replica alle 20.45 con un ospite esperto: il presidente dell’Associazione dei costruttori edili dell’Aquila (Ance), Filiberto Cicchetti.
LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI METTE IN TAVOLA I TARALLUCCI…
Il 23 giugno la Corte d’Appello di Napoli ha dunque sigillato il post-ricostruzione. Sono tutti usciti di scena i presunti colpevoli di quell’ingloriosa pagina della storia patria. Attenzione: gli ultimi sono usciti di scena per prescrizione dei reati.
Un piccolissimo riassunto. Il 2 maggio 2002 la Procura di Napoli – che ipotizzava, tra gli altri, i reati di corruzione con sostanziose mazzette a destra e manca per politici e affaristi in cambio di lavori andati poi in gran parte alla camorra – si oppose contro la decisione del Tribunale che dichiarò per tutti gli imputati il non luogo a procedere per prescrizione. Da qui il ricorso in Appello e la sentenza del 23 giugno di cui non frega niente a nessuno, tanto siamo in Italia. Meglio tette, culi e leaders dal pelo trapiantato (non solo in testa).
Quattro personaggi di calibro nel frattempo sono morti: Francesco Capaldo, Domenico Castaldo, Severino Citaristi ed Eugenio Cabib. Pace all’anima loro e che Dio sappia giudicarli. Meglio.
Gli altri sono tutti ora definitivamente usciti di scena. Si tratta, nell’ordine, dei seguenti nobiluomini (ci limitiamo ai più famosi): Carmelo Conte, Giulio De Donato, Paolo Cirino Pomicino, Corrado Ferlaino ed Enzo Scotti.
Tutto originò – forse molti lo ricorderanno – a seguito dei lavori della cosiddetta Commissione parlamentare “Mani sul terremoto” presieduta da Oscar Luigi Scalfaro tra il 1989 e il 1991. In una lunga relazione, accompagnata da 54 enormi faldoni, la Commissione all’unanimità mise nero su bianco le nefandezze, le ruberie e l’impunità politica locale e nazionale a seguito del terremoto, in fase di ricostruzione.
Molti ricorderanno l’autorizzazione al finanziamento di imprese folli (a esempio cantieri navali in montagna) o opere pazzesche come la strada Fondovale-Sele costata 24 miliardi al km o lo stadio comunale di San Gregorio Magno (3 mila abitanti in provincia di Salerno), costato più dello Stadio San Paolo a Napoli.
LAGGIU IN FONDO ALL’AULA C’E’ UN COLPEVOLE ….(IN)GIUSTIZIA E’ FATTA!
Ma visto che la Giustizia è con la G maiuscola (mica pinzillacchere) un colpevole è stato trovato. Forse il parafulmine che permette di lavare la coscienza a tutti.
Il poverino (si fa per dire) si chiama Antonio Fantini, 73 anni, ed è stato Presidente della Regione Campania, anche se nessuno lo ricorda più, dal 1983 al 1989. Questo ex Dc, ex deputato europeo, s’è beccato (virtualmente) 2 anni e 10 mesi. Il suo commento vale più di ogni altra cosa, come riporta il Mattino di Napoli del 24 giugno 2009 che a pagina 35 ne raccoglie lo sfogo (io mi sono commosso, non so voi). “Non so cosa dire. Sono incredulo anche perché la condanna mi viene inflitta rispetto a un solo capo d’imputazione nel quale peraltro mi veniva contestato il concorso in corruzione con altri imputati. Tutti assolti per la subentrata prescrizione. Lo stesso pm ha sempre dichiarato che io non avevo mai percepito una sola lira. Mai. Ora ovviamente proporrò appello”.
E vai con un’altra tappa di un processo che aggiungerà ferita a ferita. E vai anche con la solidarietà, come quella espressa dall’Udeur casertano che il 28 giugno in una nota strappalacrime ha espresso rammarico per le dimissioni da segretario regionale del partito. "Una notizia che ci rammarica profondamente sul piano personale e umano - spiegano dalla segreteria provinciale casertana dell'Udeur - e che è tanto più dolorosa se si considera che, ancora una volta, siano proprio i tempi della Giustizia e i meccanismi della Magistratura a condizionare la vita di un uomo che ha speso tutte le proprie energie per la politica e per la Regione Campana”” Vale la pena ricordare a quanti abbiano nutrito pur solo un dubbio sulla totale innocenza del nostro Segretario regionale – aggiungono Pino Maccauro e Fabio Sgueglia dei Popolari-Udeur - che, nel caso specifico, se non fossero subentrati i gravi problemi di salute che ne hanno richiesto la sospensione del processo, oggi potremmo anche noi brindare ad una sentenza equanime, pari a quella che ha interessato tutti gli altri imputati. Nella speranza che tale decisione non sia da considerarsi definitiva, anzi non lo è, sentiamo il dovere di ringraziare, affettuosamente, il nostro Segretario regionale, per tutto il lavoro svolto insieme negli ultimi anni, per la grinta che ha saputo trasmettere durante momenti politici recenti non meno dolorosi, e per l'entusiasmo e gli insegnamenti che non ha lesinato a donare a tutti gli amici dei Popolari-Udeur". Simili note strappalacrime sono state diffuse da tutte le segreterie provinciali dell’Udeur campano, regno di Clemente Mastella. Mi asciugo le lacrime e passo oltre.
LA CORTE DEI CONTI AGGIUNGE AI TARALLUCCI…IL VINO!
Mentre la Giustizia penale, a bordo di una tartaruga sta facendo il suo corso, quella contabile continua con le mazzate in capo a coloro che si sono spartiti la torta abboffandosi come maiali.
Il 22 gennaio 2009 la sezione giurisdizionale per la Regione Campania ha emesso una sentenza di oltre 80 pagine (www.corteconti.it) con la quale il presidente Enrico Gustapane, il consigliere Federico Lupone e la relatrice Rossella Cassaneti, hanno inchiodato al muro 9 persone coinvolte a vario titolo nella realizzazione di un opificio industriale a Oliveto Citra, destinato alla produzione di vini confezionati, che non è mai entrato in funzione a causa di una complessa serie di vicende iniziate nel ’93 e culminate con il fallimento della società.
Sapete quanto dovrebbero rifondere all’Erario lor signori? Ve lo dico io: 6,3 milioni di euro più gli interessi, la rivalutazione monetaria e le spese di giustizia. Non credeteci: non tireranno fuori un centesimo. Alla faccia nostra!
LE 3 LEZIONI DA TRARRE PER LA RICOSTRUZIONE IN ABRUZZO
Venerdì 3 luglio il Governo ha (salvo verifiche contrarie) sbloccato due miliardi per la ricostruzione. “Finora – giura Filiberto Cicchetti, a capo dell’Ance aquilana – di soldi non se ne sono visti e la situazione dal punto di vista sociale ed economico non è delle migliori”.
Miliardi – comunque – di riffa o di raffa pioveranno sull’Aquila e sui comuni terremotati e non c’è dubbio che le difficoltà non mancheranno. E non saranno solo dal punto di vista delle infiltrazioni delle mafie, in gioiosa trasferta.
Tra le mani mi capita infatti un bel e breve saggio scritto il 12 aprile 2009 su www.lexitalia.it da Giovanni Virga che ricorda i primi due enormi rischi: assunzioni allegre e appalti pubblici manovrati con disinvoltura.
Dal punto di vista delle assunzioni emblematica è la maxi-mega-sanatoria della legge 730/86 che dispose l’immissione in ruolo del personale usato precariamente, sulla base di semplici convenzioni, in occasione di ben 9 terremoti e che aveva come unico requisito quello di aver svolto servizio per almeno un anno. Insomma i terremoti si prestano ad assunzioni in grado di placare gli appetiti clientelari soprattutto della politica.
Il secondo campo è quello in cui si esercitano gli sciacalli – anzi essendo in Abruzzo, i lupi marsicani – del dopo terremoto: gli appalti pubblici. Facile cadere nella tentazione di scavalcare le procedure che impongono gare pubbliche e finire con trattative private ma che magari affidano perfino il collaudo delle opere eseguite, alle stesse imprese concessionarie. Come ci ricorda, del resto, la stessa Sezione I giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con la sentenza del 3 luglio 2001, n.197, che riguarda (ma guarda tu che coincidenza) il terremoto verificatosi in Abruzzo nel maggio 1985.
La terza lezione da trarre – che si sposa meravigliosamente con le prime due – è quella del rischio delle infiltrazioni mafiose. “Stefano Vespa ovviamente figlio di” su Panorama del 9 luglio 2009 a pagina 39 si accorge e ci ricorda che il Procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore assicura al collega dell’Aquila Alfredo Rossini la massima collaborazione per evitare le infiltrazioni camorristiche. Intanto la prefettura dell’Aquila ha deciso di pubblicare online tutti gli appalti. Il Governo, infine, ha dato vita a una task force antimafia formata da tre magistrati di provata esperienza.
Bastano le assicurazioni di un giornale vicino-vicino a Silvio, una task force formata indirettamente dallo stesso Silvio e la trasparenza della Rete per evitare le infiltrazioni?
La mia risposta è una sola: no. Ho già scritto il 17 aprile su questo blog con dovizia di particolari della presenza consolidata delle mafie in Abruzzo.
Tutti assolti per lo scandalo post terremoto. Nessun colpevole (o quasi).
Tranquilli, non sto parlando – per ora – del sisma che ha sconvolto l’Abruzzo ma di quello che il 23 novembre 1980 rase al suolo 36 comuni al confine tra la Campania e la Basilicata provocando 2.735 morti e 8.850 feriti.
Nel silenzio totale dei media nazionali – lo dico e lo ripeto spesso, ormai pressochè incapaci di trovare notizie o dare risalto a quelle che il territorio produce senza sforzo – il 23 giugno 2009 la Corte d’Appello di Napoli ha chiuso, in maniera pressoché definitiva, il capitolo giudiziario con una sentenza che lascia pochi dubbi e molto amaro in bocca.
La Giustizia penale ha scritto la parola fine (o quasi) ma quella contabile continua a perseguire gli autori di quello sciacallaggio politico-camorristico-imprenditoriale che – sulla pelle dei morti e dei vivi – ingoiò scientificamente non meno di 60mila miliardi di lire.
Questo post dà conto di questa notizia e si legherà alla vicenda abruzzese – che tra poche ore ospiterà all’Aquila un inutile G8 dove “Sua Altezza dimezzata” farà da padrone di casa - con un filo logico che domani, lunedì 6 luglio, sarà dipanato anche su Radio24 nella mia trasmissione “Un abuso al giorno” in onda alle 6.45 e in replica alle 20.45 con un ospite esperto: il presidente dell’Associazione dei costruttori edili dell’Aquila (Ance), Filiberto Cicchetti.
LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI METTE IN TAVOLA I TARALLUCCI…
Il 23 giugno la Corte d’Appello di Napoli ha dunque sigillato il post-ricostruzione. Sono tutti usciti di scena i presunti colpevoli di quell’ingloriosa pagina della storia patria. Attenzione: gli ultimi sono usciti di scena per prescrizione dei reati.
Un piccolissimo riassunto. Il 2 maggio 2002 la Procura di Napoli – che ipotizzava, tra gli altri, i reati di corruzione con sostanziose mazzette a destra e manca per politici e affaristi in cambio di lavori andati poi in gran parte alla camorra – si oppose contro la decisione del Tribunale che dichiarò per tutti gli imputati il non luogo a procedere per prescrizione. Da qui il ricorso in Appello e la sentenza del 23 giugno di cui non frega niente a nessuno, tanto siamo in Italia. Meglio tette, culi e leaders dal pelo trapiantato (non solo in testa).
Quattro personaggi di calibro nel frattempo sono morti: Francesco Capaldo, Domenico Castaldo, Severino Citaristi ed Eugenio Cabib. Pace all’anima loro e che Dio sappia giudicarli. Meglio.
Gli altri sono tutti ora definitivamente usciti di scena. Si tratta, nell’ordine, dei seguenti nobiluomini (ci limitiamo ai più famosi): Carmelo Conte, Giulio De Donato, Paolo Cirino Pomicino, Corrado Ferlaino ed Enzo Scotti.
Tutto originò – forse molti lo ricorderanno – a seguito dei lavori della cosiddetta Commissione parlamentare “Mani sul terremoto” presieduta da Oscar Luigi Scalfaro tra il 1989 e il 1991. In una lunga relazione, accompagnata da 54 enormi faldoni, la Commissione all’unanimità mise nero su bianco le nefandezze, le ruberie e l’impunità politica locale e nazionale a seguito del terremoto, in fase di ricostruzione.
Molti ricorderanno l’autorizzazione al finanziamento di imprese folli (a esempio cantieri navali in montagna) o opere pazzesche come la strada Fondovale-Sele costata 24 miliardi al km o lo stadio comunale di San Gregorio Magno (3 mila abitanti in provincia di Salerno), costato più dello Stadio San Paolo a Napoli.
LAGGIU IN FONDO ALL’AULA C’E’ UN COLPEVOLE ….(IN)GIUSTIZIA E’ FATTA!
Ma visto che la Giustizia è con la G maiuscola (mica pinzillacchere) un colpevole è stato trovato. Forse il parafulmine che permette di lavare la coscienza a tutti.
Il poverino (si fa per dire) si chiama Antonio Fantini, 73 anni, ed è stato Presidente della Regione Campania, anche se nessuno lo ricorda più, dal 1983 al 1989. Questo ex Dc, ex deputato europeo, s’è beccato (virtualmente) 2 anni e 10 mesi. Il suo commento vale più di ogni altra cosa, come riporta il Mattino di Napoli del 24 giugno 2009 che a pagina 35 ne raccoglie lo sfogo (io mi sono commosso, non so voi). “Non so cosa dire. Sono incredulo anche perché la condanna mi viene inflitta rispetto a un solo capo d’imputazione nel quale peraltro mi veniva contestato il concorso in corruzione con altri imputati. Tutti assolti per la subentrata prescrizione. Lo stesso pm ha sempre dichiarato che io non avevo mai percepito una sola lira. Mai. Ora ovviamente proporrò appello”.
E vai con un’altra tappa di un processo che aggiungerà ferita a ferita. E vai anche con la solidarietà, come quella espressa dall’Udeur casertano che il 28 giugno in una nota strappalacrime ha espresso rammarico per le dimissioni da segretario regionale del partito. "Una notizia che ci rammarica profondamente sul piano personale e umano - spiegano dalla segreteria provinciale casertana dell'Udeur - e che è tanto più dolorosa se si considera che, ancora una volta, siano proprio i tempi della Giustizia e i meccanismi della Magistratura a condizionare la vita di un uomo che ha speso tutte le proprie energie per la politica e per la Regione Campana”” Vale la pena ricordare a quanti abbiano nutrito pur solo un dubbio sulla totale innocenza del nostro Segretario regionale – aggiungono Pino Maccauro e Fabio Sgueglia dei Popolari-Udeur - che, nel caso specifico, se non fossero subentrati i gravi problemi di salute che ne hanno richiesto la sospensione del processo, oggi potremmo anche noi brindare ad una sentenza equanime, pari a quella che ha interessato tutti gli altri imputati. Nella speranza che tale decisione non sia da considerarsi definitiva, anzi non lo è, sentiamo il dovere di ringraziare, affettuosamente, il nostro Segretario regionale, per tutto il lavoro svolto insieme negli ultimi anni, per la grinta che ha saputo trasmettere durante momenti politici recenti non meno dolorosi, e per l'entusiasmo e gli insegnamenti che non ha lesinato a donare a tutti gli amici dei Popolari-Udeur". Simili note strappalacrime sono state diffuse da tutte le segreterie provinciali dell’Udeur campano, regno di Clemente Mastella. Mi asciugo le lacrime e passo oltre.
LA CORTE DEI CONTI AGGIUNGE AI TARALLUCCI…IL VINO!
Mentre la Giustizia penale, a bordo di una tartaruga sta facendo il suo corso, quella contabile continua con le mazzate in capo a coloro che si sono spartiti la torta abboffandosi come maiali.
Il 22 gennaio 2009 la sezione giurisdizionale per la Regione Campania ha emesso una sentenza di oltre 80 pagine (www.corteconti.it) con la quale il presidente Enrico Gustapane, il consigliere Federico Lupone e la relatrice Rossella Cassaneti, hanno inchiodato al muro 9 persone coinvolte a vario titolo nella realizzazione di un opificio industriale a Oliveto Citra, destinato alla produzione di vini confezionati, che non è mai entrato in funzione a causa di una complessa serie di vicende iniziate nel ’93 e culminate con il fallimento della società.
Sapete quanto dovrebbero rifondere all’Erario lor signori? Ve lo dico io: 6,3 milioni di euro più gli interessi, la rivalutazione monetaria e le spese di giustizia. Non credeteci: non tireranno fuori un centesimo. Alla faccia nostra!
LE 3 LEZIONI DA TRARRE PER LA RICOSTRUZIONE IN ABRUZZO
Venerdì 3 luglio il Governo ha (salvo verifiche contrarie) sbloccato due miliardi per la ricostruzione. “Finora – giura Filiberto Cicchetti, a capo dell’Ance aquilana – di soldi non se ne sono visti e la situazione dal punto di vista sociale ed economico non è delle migliori”.
Miliardi – comunque – di riffa o di raffa pioveranno sull’Aquila e sui comuni terremotati e non c’è dubbio che le difficoltà non mancheranno. E non saranno solo dal punto di vista delle infiltrazioni delle mafie, in gioiosa trasferta.
Tra le mani mi capita infatti un bel e breve saggio scritto il 12 aprile 2009 su www.lexitalia.it da Giovanni Virga che ricorda i primi due enormi rischi: assunzioni allegre e appalti pubblici manovrati con disinvoltura.
Dal punto di vista delle assunzioni emblematica è la maxi-mega-sanatoria della legge 730/86 che dispose l’immissione in ruolo del personale usato precariamente, sulla base di semplici convenzioni, in occasione di ben 9 terremoti e che aveva come unico requisito quello di aver svolto servizio per almeno un anno. Insomma i terremoti si prestano ad assunzioni in grado di placare gli appetiti clientelari soprattutto della politica.
Il secondo campo è quello in cui si esercitano gli sciacalli – anzi essendo in Abruzzo, i lupi marsicani – del dopo terremoto: gli appalti pubblici. Facile cadere nella tentazione di scavalcare le procedure che impongono gare pubbliche e finire con trattative private ma che magari affidano perfino il collaudo delle opere eseguite, alle stesse imprese concessionarie. Come ci ricorda, del resto, la stessa Sezione I giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con la sentenza del 3 luglio 2001, n.197, che riguarda (ma guarda tu che coincidenza) il terremoto verificatosi in Abruzzo nel maggio 1985.
La terza lezione da trarre – che si sposa meravigliosamente con le prime due – è quella del rischio delle infiltrazioni mafiose. “Stefano Vespa ovviamente figlio di” su Panorama del 9 luglio 2009 a pagina 39 si accorge e ci ricorda che il Procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore assicura al collega dell’Aquila Alfredo Rossini la massima collaborazione per evitare le infiltrazioni camorristiche. Intanto la prefettura dell’Aquila ha deciso di pubblicare online tutti gli appalti. Il Governo, infine, ha dato vita a una task force antimafia formata da tre magistrati di provata esperienza.
Bastano le assicurazioni di un giornale vicino-vicino a Silvio, una task force formata indirettamente dallo stesso Silvio e la trasparenza della Rete per evitare le infiltrazioni?
La mia risposta è una sola: no. Ho già scritto il 17 aprile su questo blog con dovizia di particolari della presenza consolidata delle mafie in Abruzzo.
Ne ho scritto anche, negli stessi giorni, sul Sole-24 Ore. Non bastasse suggerisco ai miei lettori di riprendere in mano l’inchiesta su Repubblica di lunedì 29 giugno a pagina 15 di Attilio Bolzoni. Bastino il titolo e il sommario: “L’Aquila, le amicizie pericolose all’ombra della prima new town – L’uomo che ha avviato gli scavi legato ai prestanome dei Ciancimino”.
Per chi vuole approfondire è facile reperire l’inchiesta su Internet ma il concetto è chiaro: lo Stato chiacchiera e promette, la mafia fa, anticipa e fotte.
Cicchetti dell’Ance assicura che è tutto sotto controllo ma, in realtà, questo sarà un test durissimo per lo Stato: la torta della ricostruzione è miliardaria e le mafie ne sanno una più del diavolo.
Il rischio è che si finisca con il (ri)vivere sulla propria pelle – di abruzzesi e italiani tutti - il titolo di un libro edito da Franco Angeli nel 1994 nella collana “Sociologia del diritto”, il cui autore e curatore era Sergio Pappalardo con il contributo di Vincenzo Ferrari. Il titolo sembra un invito a nozze: “Un terremoto per amico”.
Per chi vuole approfondire è facile reperire l’inchiesta su Internet ma il concetto è chiaro: lo Stato chiacchiera e promette, la mafia fa, anticipa e fotte.
Cicchetti dell’Ance assicura che è tutto sotto controllo ma, in realtà, questo sarà un test durissimo per lo Stato: la torta della ricostruzione è miliardaria e le mafie ne sanno una più del diavolo.
Il rischio è che si finisca con il (ri)vivere sulla propria pelle – di abruzzesi e italiani tutti - il titolo di un libro edito da Franco Angeli nel 1994 nella collana “Sociologia del diritto”, il cui autore e curatore era Sergio Pappalardo con il contributo di Vincenzo Ferrari. Il titolo sembra un invito a nozze: “Un terremoto per amico”.
Fonte:Il Sole 24 ore
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