venerdì 17 aprile 2009

Cosa Nostra, la massoneria e la borghesia, intrecci attuali



Di Rino Giacalone



È la descrizione della moderna «mafiopoli» che emerge dall'ultima relazione sullo stato delle indagini antimafia in provincia di Trapani, è stata redatta dalla Procura nazionale guidata dal procuratore Piero Grasso. Concetti immediatamente chiari, il giudizio è netto, si deduce da quella parte di relazione sottoscritta dall'allora pm della Dna Teresa Principato, neo procuratore aggiunto della Dda di Palermo. È adesso lei, ex procuratore aggiunto a Trapani, che coordina le indagini antimafia nel trapanese.


«La mafia esiste e non è affatto sconfitta», c'è un incessante lavoro investigativo e inquirente, «ma c'è un tessuto sociale permeabile alle organizzazioni mafiose». Analisi precisa che dice di fotografare la situazione odierna: «Cosa Nostra, a Trapani, è capillarmente radicata sul territorio ed è in grado di condizionare pesantemente la realtà sociale, economica ed istituzionale. Permane, sempre in provincia di Trapani, lo stretto rapporto esistente tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari, tecnici progettisti ed imprenditori. Fatti ormai accertati e consacrati nelle numerose sentenze emesse negli ultimi anni dal Tribunale e dalla Corte di Assise di Trapani».


Stretti i legami con le cosche palermitane, «uomo cerniera» è Matteo Messina Denaro (latitante, ricercato dal 1993), intrattiene i rapporti con la pericolosa cosca di Brancaccio, retta da Giuseppe Guttadauro, fratello di Filippo che è sposato con Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. La mafia trapanese resta alleata delle cosche dei corleonesi, ma la relazione della Dna coglie anche elementi dell'essenza di un'altra serie di rapporti: «Una specificità della criminalità trapanese resta il legame con logge massoniche, settori della borghesia professionale e della pubblica amministrazione». Indagini che danno ragione a questo assunto sono quelle come «Black Out», condotta dalla Polizia, soggetti di rilievo l'imprenditore mazarese Michele Accomando e l'ex capo dell'Utc del Comune Pino Sucameli, soggetti che si incrociano in altre indagini come quelle denominate «Hiram» (mafia e massoneria, condotta dai Carabinieri) e «Eolo» (interesse di Cosa Nostra nella realizzazione di parchi eolici, frutto di indagini della Polizia).


La mafia trapanese è «ricca»: «L'organizzazione ha una fortissima vitalità fondata su ampie risorse umane e finanziarie», sfruttate «per attuare la strategia di sommersione». Le azioni delittuose eclatanti sono ferme all'ultimo omicidio eccellente, quando l'antivigilia di Natale del 1995 fu ucciso l'agente di custodia Giuseppe Montalto. È cambiata la strategia, ma non gli uomini: «Le scelte strategiche mafiose restano saldamente in mano agli stessi soggetti responsabili dei più gravi delitti di sangue del passato».


Il «lato » amaro della relazione riguarda quello che le ultime indagini hanno evidenziato assieme al «penetrante controllo del territorio» da parte della mafia e cioè i «consensi riscossi che hanno assunto contorni di vera e propria connivenza». Situazione questa che spiega la capacità del super boss Messina Denaro a riuscire a restare ancora latitante. La relazione si sofferma parecchio sui fiancheggiatori: «Cosa Nostra può contare su una cerchia indefinita di fiancheggiatori che al momento opportuno si mettono a disposizione, soggetti che formano la cosiddetta zona grigia, all'interno della quale si materializzano momenti di una realtà sociale multiforme, il cui denominatore comune è rappresentato dal disconoscimento dell'autorità statale e dalla spontanea compenetrazione dei suoi adepti ai modelli di riferimento proposti da Cosa Nostra».


Oggi a costituire l'organigramma mafioso trapanese sono una serie di «uomini d'onore» tornati liberi, che dopo avere evitato la condanna per gravi delitti e dopo avere scontato le pene, usciti dal carcere, si sono reinseriti nell'organizzazione criminale. Ognuno con ruoli precisi. Ci sono quelli inseriti nella rete tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari, tecnici progettisti ed imprenditori, per il controllo mafioso sui pubblici appalti, merce di contraccambio denaro e procacciamento di voti. Ci sono poi quelli che tornano a comandare, nei paesi in particolare, Salemi, Vita, Campobello, per esempio. Restano quattro i mandamenti attraverso i quali oggi il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro «governa» Cosa Nostra trapanese: il mandamento di Trapani, che ricomprende le famiglie di Trapani, di Valderice e di Paceco; quello di Alcamo, che ricomprende le famiglie di Alcamo, Calatafimi e Castellammare (nel passato ricomprendeva anche la famiglia di Camporeale, durante la guerra di mafia dei primi ani '80 il mandamento di Alcamo venne sciolto e le relative famiglie furono aggregate al mandamento di Mazara; successivamente venne ricomposta la famiglia di Alcamo e ricostituito il relativo mandamento); quello di Castelvetrano, che ricomprende le famiglie di Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Gibellina, Partanna, Salaparuta e Poggioreale; questi ultimi due centri formano un'unica famiglia; e Mazara del Vallo, che ricomprende le famiglie di Salemi, Vita e Marsala. Maggiori latitanti sono oltre a Matteo Messina Denaro, il marsalese Francesco De Vita e il salemitano Salvatore Miceli.


Secondo la relazione della Dna, l'imposizione del «pizzo» a tutte le imprese, lavori e servizi pubblici, continua ad essere lo strumento principale di arricchimento e contemporaneamente di controllo del territorio da parte di Cosa Nostra: «Il pagamento del pizzo è recepito come atto dovuto da essere sostanzialmente considerato dalle imprese alla stregua di un costo di produzione; la costante registrazione di atti intimidatori e danneggiamenti più o meno gravi non è quasi mai seguita dalla collaborazione dei soggetti destinatari di tali atti che già nell'immediatezza del fatto - quindi in condizioni psicologiche che potrebbero essere favorevoli alla denuncia - si trincerano dietro la negazione assoluta di ogni seppure minimo elemento, arrivando a non ammettere addirittura ciò che è evidente».

Nel settore dei pubblici appalti, dalle indagini condotte continua ad emergere la presenza di Cosa Nostra, in particolare nella fase di esecuzione dei lavori e non soltanto con la nota pressione estorsiva. Tra i soggetti individuati alcuni arrestati, altri ad oggi sottoposti ad indagini, vi sono soggetti appartenenti o vicini all'organizzazione che partecipano ad attività di turbativa del pubblico incanto, sono emerse situazioni di assoggettamento delle stazioni appaltanti. La cosidetta «messa a posto» ha cambiato forma e metodo: si sono colti nelle indagini gli aspetti relativi al monopolio delle forniture di inerti, alle «imposizioni nella produzione, nel trasporto, gestione del mercato del lavoro».


Affari e interessi. Ma per la mafia non ci sono solo gli appalti, ma c'è anche il traffico di stupefacenti. Non è un «ritorno» perchè il commercio di droga non è mai sparito dall'agenda mafiosa, «non v'è traffico di livello alto che non veda coinvolti uomini di Cosa Nostra». Molti sono gli «uomini d'onore» attivamente dediti al traffico degli stupefacenti come testimoniano alcune indagini condotte non solo dalla Dda di Palermo ma anche dalle procure di Trapani e Marsala. Particolare attenzione la Dna ha dedicato ad una indagine coordinata dalla Procura di Trapani e condotta dalla Squadra Mobile a proposito delle truffe nell'ambito dei giochi controllati dai Monopoli di Stato e che portò all'esecuzione di 10 arresti, chiamati a rispondere, a titolo diverso, di associazione per delinquere, estorsione, sfruttamento della prostituzione, usura e di altri gravi reati. Le investigazioni hanno fatto luce su un'organizzazione criminale che, attraverso danneggiamenti ed intimidazioni, «obbligava» i gestori di alcuni locali pubblici ad installare all'interno dei propri esercizi commerciali apparecchiature per i videogiochi del genere vietato, pretendendo poi la metà dei guadagni realizzati». Dietro questi scenari di criminalità comune sarebbero emersi contatti con la mafia gelese.

Una delle nuove frontiere è rappresentata dall'uso indebito di pubblici finanziamenti, regionali, statali e comunitari. La Guardia di Finanza ha individuato un soggetto condannato per mafia che è riuscito a percepire contribuzioni pubbliche nel settore dell'agricoltura, una parte di questa inchiesta è concentrata nell'alcamese, dove alcuni degli indagati sono peraltro risultati sottoposti a misure di prevenzione. Analoga situazione è emersa anche nei confronti di soggetti residenti a Marsala. È all'interno di queste indagini, condotte anche da Polizia e Carabinieri, che gli investigatori si sono imbattuti in quella rete di fiancheggiatori, alcuni pubblici funzionari, con posti chiave in più svariati settori, cosa che conferma «la pericolosità dell'organizzazione mafiosa, nonché la sua straordinaria capacità di infiltrare il tessuto economico e sociale».


L'attualità. Mafia e Casalesi. Anche Trapani è Gomorra. L'omicidio di un commerciante di carni oggetto di una indagine della Procura di Reggio Emilia, ha svelato «alleanze» fino a quel momento segrete, tra gli oramai famosi gruppi dei «casalesi» e i mafiosi trapanesi. La «Gomorra» criminale non è fatta solo dalla Camorra ma anche da Cosa Nostra, messi assieme da una serie di «affari». Nel caso in questione commercio di carni e riciclaggio dei relativi proventi attraverso una rete di cooperative di servizio: una complessa indagine originata dall'omicidio di un imprenditore del settore, ha posto in risalto il diretto coinvolgimento di soggetti ritenuti collegati sia al clan camorristico dei Casalesi che a soggetti originari della zona di Trapani. Sono tre le Procure antimafia impegnate nella ricerca di Matteo Messina Denaro, super boss latitante di Castelvetrano, capo assoluto della mafia trapanese, ma in grado di «comandare» anche nell'agrigentino e in una parte del palermitano. Matteo Messina Denaro avrebbe investito in diverse società imprenditoriali, maneggiando grossi capitali di provenienza illecita. La storia delle «alleanze» tra mafia e camorra non è notizia nuova. Già a metà degli anni '80 se ne occupò il giudice Giovanni Falcone dopo averne raccolto particolari dal pentito Tommaso Buscetta. Casalesi e Cosa Nostra hanno molte cose in Comune, capaci di usare le armi ma in grado a far diventare l'«illecito» impresa «lecita», riusando i capitali del traffico di droga e riuscendo ad attingere a canali pubblici di finanziamento, creando un nuovo «welfare» del malaffare.


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Di Rino Giacalone



È la descrizione della moderna «mafiopoli» che emerge dall'ultima relazione sullo stato delle indagini antimafia in provincia di Trapani, è stata redatta dalla Procura nazionale guidata dal procuratore Piero Grasso. Concetti immediatamente chiari, il giudizio è netto, si deduce da quella parte di relazione sottoscritta dall'allora pm della Dna Teresa Principato, neo procuratore aggiunto della Dda di Palermo. È adesso lei, ex procuratore aggiunto a Trapani, che coordina le indagini antimafia nel trapanese.


«La mafia esiste e non è affatto sconfitta», c'è un incessante lavoro investigativo e inquirente, «ma c'è un tessuto sociale permeabile alle organizzazioni mafiose». Analisi precisa che dice di fotografare la situazione odierna: «Cosa Nostra, a Trapani, è capillarmente radicata sul territorio ed è in grado di condizionare pesantemente la realtà sociale, economica ed istituzionale. Permane, sempre in provincia di Trapani, lo stretto rapporto esistente tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari, tecnici progettisti ed imprenditori. Fatti ormai accertati e consacrati nelle numerose sentenze emesse negli ultimi anni dal Tribunale e dalla Corte di Assise di Trapani».


Stretti i legami con le cosche palermitane, «uomo cerniera» è Matteo Messina Denaro (latitante, ricercato dal 1993), intrattiene i rapporti con la pericolosa cosca di Brancaccio, retta da Giuseppe Guttadauro, fratello di Filippo che è sposato con Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. La mafia trapanese resta alleata delle cosche dei corleonesi, ma la relazione della Dna coglie anche elementi dell'essenza di un'altra serie di rapporti: «Una specificità della criminalità trapanese resta il legame con logge massoniche, settori della borghesia professionale e della pubblica amministrazione». Indagini che danno ragione a questo assunto sono quelle come «Black Out», condotta dalla Polizia, soggetti di rilievo l'imprenditore mazarese Michele Accomando e l'ex capo dell'Utc del Comune Pino Sucameli, soggetti che si incrociano in altre indagini come quelle denominate «Hiram» (mafia e massoneria, condotta dai Carabinieri) e «Eolo» (interesse di Cosa Nostra nella realizzazione di parchi eolici, frutto di indagini della Polizia).


La mafia trapanese è «ricca»: «L'organizzazione ha una fortissima vitalità fondata su ampie risorse umane e finanziarie», sfruttate «per attuare la strategia di sommersione». Le azioni delittuose eclatanti sono ferme all'ultimo omicidio eccellente, quando l'antivigilia di Natale del 1995 fu ucciso l'agente di custodia Giuseppe Montalto. È cambiata la strategia, ma non gli uomini: «Le scelte strategiche mafiose restano saldamente in mano agli stessi soggetti responsabili dei più gravi delitti di sangue del passato».


Il «lato » amaro della relazione riguarda quello che le ultime indagini hanno evidenziato assieme al «penetrante controllo del territorio» da parte della mafia e cioè i «consensi riscossi che hanno assunto contorni di vera e propria connivenza». Situazione questa che spiega la capacità del super boss Messina Denaro a riuscire a restare ancora latitante. La relazione si sofferma parecchio sui fiancheggiatori: «Cosa Nostra può contare su una cerchia indefinita di fiancheggiatori che al momento opportuno si mettono a disposizione, soggetti che formano la cosiddetta zona grigia, all'interno della quale si materializzano momenti di una realtà sociale multiforme, il cui denominatore comune è rappresentato dal disconoscimento dell'autorità statale e dalla spontanea compenetrazione dei suoi adepti ai modelli di riferimento proposti da Cosa Nostra».


Oggi a costituire l'organigramma mafioso trapanese sono una serie di «uomini d'onore» tornati liberi, che dopo avere evitato la condanna per gravi delitti e dopo avere scontato le pene, usciti dal carcere, si sono reinseriti nell'organizzazione criminale. Ognuno con ruoli precisi. Ci sono quelli inseriti nella rete tra esponenti mafiosi, uomini politici, pubblici funzionari, tecnici progettisti ed imprenditori, per il controllo mafioso sui pubblici appalti, merce di contraccambio denaro e procacciamento di voti. Ci sono poi quelli che tornano a comandare, nei paesi in particolare, Salemi, Vita, Campobello, per esempio. Restano quattro i mandamenti attraverso i quali oggi il capo mafia latitante Matteo Messina Denaro «governa» Cosa Nostra trapanese: il mandamento di Trapani, che ricomprende le famiglie di Trapani, di Valderice e di Paceco; quello di Alcamo, che ricomprende le famiglie di Alcamo, Calatafimi e Castellammare (nel passato ricomprendeva anche la famiglia di Camporeale, durante la guerra di mafia dei primi ani '80 il mandamento di Alcamo venne sciolto e le relative famiglie furono aggregate al mandamento di Mazara; successivamente venne ricomposta la famiglia di Alcamo e ricostituito il relativo mandamento); quello di Castelvetrano, che ricomprende le famiglie di Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Gibellina, Partanna, Salaparuta e Poggioreale; questi ultimi due centri formano un'unica famiglia; e Mazara del Vallo, che ricomprende le famiglie di Salemi, Vita e Marsala. Maggiori latitanti sono oltre a Matteo Messina Denaro, il marsalese Francesco De Vita e il salemitano Salvatore Miceli.


Secondo la relazione della Dna, l'imposizione del «pizzo» a tutte le imprese, lavori e servizi pubblici, continua ad essere lo strumento principale di arricchimento e contemporaneamente di controllo del territorio da parte di Cosa Nostra: «Il pagamento del pizzo è recepito come atto dovuto da essere sostanzialmente considerato dalle imprese alla stregua di un costo di produzione; la costante registrazione di atti intimidatori e danneggiamenti più o meno gravi non è quasi mai seguita dalla collaborazione dei soggetti destinatari di tali atti che già nell'immediatezza del fatto - quindi in condizioni psicologiche che potrebbero essere favorevoli alla denuncia - si trincerano dietro la negazione assoluta di ogni seppure minimo elemento, arrivando a non ammettere addirittura ciò che è evidente».

Nel settore dei pubblici appalti, dalle indagini condotte continua ad emergere la presenza di Cosa Nostra, in particolare nella fase di esecuzione dei lavori e non soltanto con la nota pressione estorsiva. Tra i soggetti individuati alcuni arrestati, altri ad oggi sottoposti ad indagini, vi sono soggetti appartenenti o vicini all'organizzazione che partecipano ad attività di turbativa del pubblico incanto, sono emerse situazioni di assoggettamento delle stazioni appaltanti. La cosidetta «messa a posto» ha cambiato forma e metodo: si sono colti nelle indagini gli aspetti relativi al monopolio delle forniture di inerti, alle «imposizioni nella produzione, nel trasporto, gestione del mercato del lavoro».


Affari e interessi. Ma per la mafia non ci sono solo gli appalti, ma c'è anche il traffico di stupefacenti. Non è un «ritorno» perchè il commercio di droga non è mai sparito dall'agenda mafiosa, «non v'è traffico di livello alto che non veda coinvolti uomini di Cosa Nostra». Molti sono gli «uomini d'onore» attivamente dediti al traffico degli stupefacenti come testimoniano alcune indagini condotte non solo dalla Dda di Palermo ma anche dalle procure di Trapani e Marsala. Particolare attenzione la Dna ha dedicato ad una indagine coordinata dalla Procura di Trapani e condotta dalla Squadra Mobile a proposito delle truffe nell'ambito dei giochi controllati dai Monopoli di Stato e che portò all'esecuzione di 10 arresti, chiamati a rispondere, a titolo diverso, di associazione per delinquere, estorsione, sfruttamento della prostituzione, usura e di altri gravi reati. Le investigazioni hanno fatto luce su un'organizzazione criminale che, attraverso danneggiamenti ed intimidazioni, «obbligava» i gestori di alcuni locali pubblici ad installare all'interno dei propri esercizi commerciali apparecchiature per i videogiochi del genere vietato, pretendendo poi la metà dei guadagni realizzati». Dietro questi scenari di criminalità comune sarebbero emersi contatti con la mafia gelese.

Una delle nuove frontiere è rappresentata dall'uso indebito di pubblici finanziamenti, regionali, statali e comunitari. La Guardia di Finanza ha individuato un soggetto condannato per mafia che è riuscito a percepire contribuzioni pubbliche nel settore dell'agricoltura, una parte di questa inchiesta è concentrata nell'alcamese, dove alcuni degli indagati sono peraltro risultati sottoposti a misure di prevenzione. Analoga situazione è emersa anche nei confronti di soggetti residenti a Marsala. È all'interno di queste indagini, condotte anche da Polizia e Carabinieri, che gli investigatori si sono imbattuti in quella rete di fiancheggiatori, alcuni pubblici funzionari, con posti chiave in più svariati settori, cosa che conferma «la pericolosità dell'organizzazione mafiosa, nonché la sua straordinaria capacità di infiltrare il tessuto economico e sociale».


L'attualità. Mafia e Casalesi. Anche Trapani è Gomorra. L'omicidio di un commerciante di carni oggetto di una indagine della Procura di Reggio Emilia, ha svelato «alleanze» fino a quel momento segrete, tra gli oramai famosi gruppi dei «casalesi» e i mafiosi trapanesi. La «Gomorra» criminale non è fatta solo dalla Camorra ma anche da Cosa Nostra, messi assieme da una serie di «affari». Nel caso in questione commercio di carni e riciclaggio dei relativi proventi attraverso una rete di cooperative di servizio: una complessa indagine originata dall'omicidio di un imprenditore del settore, ha posto in risalto il diretto coinvolgimento di soggetti ritenuti collegati sia al clan camorristico dei Casalesi che a soggetti originari della zona di Trapani. Sono tre le Procure antimafia impegnate nella ricerca di Matteo Messina Denaro, super boss latitante di Castelvetrano, capo assoluto della mafia trapanese, ma in grado di «comandare» anche nell'agrigentino e in una parte del palermitano. Matteo Messina Denaro avrebbe investito in diverse società imprenditoriali, maneggiando grossi capitali di provenienza illecita. La storia delle «alleanze» tra mafia e camorra non è notizia nuova. Già a metà degli anni '80 se ne occupò il giudice Giovanni Falcone dopo averne raccolto particolari dal pentito Tommaso Buscetta. Casalesi e Cosa Nostra hanno molte cose in Comune, capaci di usare le armi ma in grado a far diventare l'«illecito» impresa «lecita», riusando i capitali del traffico di droga e riuscendo ad attingere a canali pubblici di finanziamento, creando un nuovo «welfare» del malaffare.


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