Di Franco Cardini
Una straordinaria coincidenza ha voluto che, in un brevissimo giro di giorni, si realizzasse la sia pur imperfetta tregua nel territorio di Gaza, si celebrasse la “Giornata della memoria” del 27 gennaio, si diffondesse la notizia della riassunzione della comunità dissidente lefebvriana in seno alla Chiesa e scoppiasse lo scandalo delle dichiarazioni del vescovo Richard Williamson alla televisione svedese a proposito dell’esistenza delle camere a gas nel campo di Auschwitz-Birkenau e del relativo numero di vittime. Lo scalpore suscitato dall’eco di quelle dichiarazioni – sulle quali, in dettaglio, si è tuttavia riusciti a sapere alquanto poco – ha dominato la scena: ed ha fatto purtroppo sì che, appunto in occasione della “Giornata della memoria” e in imbarazzante contraddizione con la denominazione di essa, nessuno di sia ricordato degli oltre 1600 palestinesi morti a Gaza, di cui circa un terzo minorenni, a causa di una rappresaglia tanto inutile quanto sproporzionata (i morti di parte israeliana non arrivano a una ventina). Quando si aprì il processo di Norimberga, nel novembre 1945, si dichiarò che precipuo scopo di esso era impedire che nel mondo si consumassero altri massacri di vite innocenti. A distanza di sessantaquattro anni da quell’evento, bisogna dire non solo che tale scopo non è stato raggiunto, ma anche che il “silenzio degli innocenti” è di una terribile profondità, quando i loro diritti e addirittura la loro vita non interessano a nessuno e non sono utili a nessuna causa. Così, purtroppo, accade oggi dei palestinesi.
Le esternazioni di monsignor Williamson, immediatamente stigmatizzate con fermezza sia dalla Santa Sede, sia dalla stessa comunità lefebvriana di cui egli fa parte, hanno ovviamente ricondotto in primo piano le polemiche relative ai cosiddetti “revisionismo” e “negazionismo”. Al riguardo, le voci che si sono levate sono state particolarmente severe. La deputata Fiamma Nirenstein ha affermato che “il negazionismo copre un antisemitismo genocida” che “non è più un vezzo da intellettuali, ma una minaccia guidata in primis dall’Iran di Ahmadinejad (che sta costruendo l’atomica)”, e che “vuole distruggere il popolo ebraico” (così il quotidiano “Liberal” del 29.1, p.4). Secondo la signora Nirenstein, “In tanti hanno negato, diminuito o minimizzato l’Olocausto: lo fanno per dire che gli ebrei sono così abietti da mentire anche su una questione con un carattere morale così importante come lo sterminio. E che quindi devono essere distrutti”: se quanto il quotidiano di Adornato fa dire alla signora Nirenstein è esatto, debbo osservare che la sua interpretazione dei reconditi fini dei “negazionisti” mi pare a dir poco forzata. Da parte sua Gad Lerner ha chiamato in causa, a proposito di Williamson, l’intera Chiesa cattolica che si ostina a distinguere tra l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista, sottolineando come il vescovo tradizionalista sia “il prodotto degenere di una corrente di pensiero più vasta” (“La Repubblica”, 29.1, p.27). Ma la distinzione tra antigiudaismo, che rimase sempre sul piano teologico e dottrinale-controversistico anche se produsse alcuni esiti condannabili, e antisemitismo, una dottrina segnata dal materialismo e dal determinismo biologico di una scienza che ha trionfato tra Sette e Ottocento ma che ormai è destituita di fondamento, è obiettivamente un fatto incontrovertibile sul piano sia storico, sia concettuale: per quanto senza dubbio, a livello di cultura diffusa, non ci sia dubbio che l’antigiudaismo diffuso in Germania (piu negli ambienti luterani che in quelli cattolici) abbia spianato la strada al demagogico antisemitismo nazista. Inoltre, Lerner rimprovera al cristianesimo il suo carattere intrinsecamente proselitistico: può aver dal suo punto di vista ragione, ma non c’è nulla da fare. Il cristiano è chiamato a impegnarsi per fra sì che, alla Fine dei Tempi, tutto il genere umano divenga un solo gregge sotto un unico pastore. I tempi e i modi in cui lo diverrà, sono inconoscibili: ma ciò fa parte essenziale e integrante della Promessa, e non si può chiedere ai cristiani di diventar qualcosa di diverso da quel che sono nel nome del rispetto per gli altri o della tolleranza, valori molto alti ma storici, quindi relativi. Il carattere essenziale della fede cristiana à, come quello di tutte le altre fedi, assoluto, quindi di per se negoziabile. Non c’e dialogo sui valori assoluti, che per loro natura sono metafisici; si dialoga sulla compartecipazione al genere umano, coesistenza, sulla collaborazione, sul rispetto e sulla libertà reciproci. Per il resto, Lerner richiama Oz il quale ha sottolineato come Gesù fosse non cristiano, bensì ebreo: hanno perfettamente ragione, tanto Oz quanto Lerner. Il punto à che il Gesù dei cristiani non si esaurisce nel Gesù storico: il cilicio Saul, un tessitore nato non lontano dal Libano terra natale di Lerner, lo ha spiegato bene (al di là della controversa attribuzione delle sue lettere, come appunto Lerner rammenta). Gesù era certo ebreo: ma il progetto di un cristianesimo “eresia ebraica”, per così dire, à stato accantonato allorché la tesi di Paolo e di Barnaba, quella della Ecclesia e gentibus, ha battuto quella di Pietro e di Giacomo, l’Ecclesia e circumcisione. Il cristianesimo non può non ritenere l’ebraismo “intrinseco” a sé: ma e irrevocabilmente altra cosa rispetto ad esso.
Quelle della signora Nirenstein e di Gad Lerner ono solo due voci note e autorevoli, che cito – tra le molte che potrei citare - non solo perché appartengono a due ebrei, ma anche perché si tratta di due miei vecchi amici personali, per quanto purtroppo non ci si veda da un pezzo. Dissento quindi da loro: ma lealmente e con la massima cordialità. Noto con dispiacere del resto che i cattolici hanno detto cose ancora piu gravi e più inesatte di loro , fino a giungere in qualche caso a conclusioni che non esito a definir deliranti: un vescovo tedesco ha potuto spingersi fino ad accusare il collega Williamson di “blasfemia”. Ora, che un prelato esprima pareri storici impegnativi e lo faccia molto alla leggera, è un conto (difatti il Vaticano ha opportunamente imposto a Williamson di tacere); che così facendo addirittura bestemmi, è comunque improponibile. Ho l’impressione che se, invece di parlare di Auschwitz, avesse messo in dubbio il dogma dell’Immacolata Concezione certi cattolici se la sarebbero presa meno.
Voglio dire che non bisogna perdere la calma. Ormai da anni assistiamo a una pericolosa confusione di piani e di giudizi. Le parole “revisionismo” e “negazionismo” sono divenute due deterrenti usando i quali si sono addirittura messi insieme personaggi molto eterogenei tra loro: quali Ernst Nolte, uno storico illustre; David Irving, personalità strana e inquietante ma studioso di valore e autore si ricerche apprezzate (attualmente è in prigione in Austria per un delitto d’opinione); Robert Faurisson, che può essere anche sospettati di monomania ma ha fatto sul sistema concentrazionario nazista rilievi interessanti, per quanto inquinati poi da una poco coerente assoluzione globale dell’hitlerismo dall’accusa di genocidio; molti ricercatori o sedicenti tali di varia estrazione e intenzione; e una pletora di visionari, qualcuno decisamente psicopatico. Ma due cose da non fare mai, per nessun motivo e nei confronti di nessuno, e da erspingere con fermezza quando se ne sia oggetto, sono il terrorismo-ricatto e la generalizzazione. Si tratta di una letteratura che va giudicata caso per caso, criticata e confutata quando se ne riscontrino i caratteri di serietà e di almeno presumibile fondatezza e ignorata nei casi restanti. Quando e se necessario (ma solo allora) esistono gli strumenti giuridici: la denunzia e le querele.
Come comportarsi quindi, nei confronti del “negazionismo”-ricerca (ma in questo caso la parola-chiave non dovrebbe essere usata) e del “negazionismo”-calunnia-provocazione? A questo riguardo, io resto fedele a un “eptalogo” molto semplice, che espongo qui in termini piu chiari e stringati possibile.
Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all’interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sono praticamente suscettibili di attenuare in modo sensibile le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.
Secondo: la shoah può e dev’essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; se nel corso delle ricerche avvenga d’imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.
Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso con lo scopo da screditare la causa ebraica, quella sionista o quella israeliana attraverso un tentativo di destituzione di credito della shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo e la società civile il diritto e il dovere di metterlo al bando.
Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s’impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell’eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo.
Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un’interpretazione “canonica” e “definitiva” della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).
Sesto: l’antisemitismo è una cosa precisa, cioè la tesi che esista uno specifico razziale comune ed esclusivo a tutti gli ebrei e che esso sia biologicamente e deterministicamente malvagio, inferiore e criminale; l’eventuale limitazione della portata della shoah e al limite la sua negazione possono essere ingiustificate, irragionevoli e demenziali e magari possono servire da pretesto per introdurre temi antisemiti, ma in sé e per sé non hanno con l’antisemitismo nulla a che fare (al punto che un cattivo “uso della shoah” e stato condannato da studiosi che sono tuttavia ebrei, quali Norman G. Finkelstein).
Settimo: pur essendo indubbio che dietro al “revisionismo-negazionismo” possano celarsi, in certi casi, istanze antisioniste e antisemite, il sistematico processo alle intenzioni e il ricorso al ricatto-intimidazione (“dici questo, allora sei antisemita”) sono sempre e comunque inaccettabili sia come metodo, sia come sistematico strumento di risposta. Sono inaccettabili sul piano morale perchè disonesti e su quello tattico-strategico perchè controproducenti. In particolare, è evidente che la critica alle scelte di questo o di quel governo israeliano non può e non deve esser pregiudizialmente sospetta di aver nulla a che fare con il razzismo e con l’antisemitismo. Il giorno che la critica alla dirigenza israeliana, o anche alla sua opinione pubblica, divenisse meno lecita di quella alle dirigenze e/o alle opinioni pubbliche francesi, canadesi o lituane, ci si troverebbe di fronte a un allarmante caso di razzismo alla rovescia.
Questo “eptalogo” è peggio che ovvio: è banale. Proprio per questo mi allarma il fatto che non sia ordinariamente e spontaneamente seguito da chiunque sia dotato di un minimo di discernimento. Ma a questo punto si profila a mio avviso una realtà allarmante. Badate: non sottovalutate quel che sto per denunziare: è il frutto dell’esperienza di un anziano e forse non troppo intelligente (ma abbastanza colto e preparato) signore che viaggia di continuo, ascolta i discorsi della gente in treno e nei bar; uno che per la sua professione partecipa di continuo a convegni e a dibattiti; uno che parla con giovani di ogni parte d’Italia e del mondo ed essere in contatto, come cattolico, con molti suoi correligionari; uno che la sua passione e il suo lavoro hanno portato spesso tanto in Israele quanto nei paesi del Vicino Oriente e che ha molti amici ebrei che lo considerano troppo filomusulmano e molti amici musulmani che lo ritengono troppo propoenso alla simpatia e all’indulgenza nei confronti degli ebrei e d’Israele. Ebbene, state tutti in campana, perchè è vero: lo si chiami come si vuole, ormai il “revisionismo-negazionismo” sta facendo silenziosamente breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. Cresce il numero di chi in pubblico afferma una cosa e in privato sostiene esattamente il contrario. E sapete perchè? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere. Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e, questo sì, può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita, anche se è difficile immaginare sotto quali forme potrebbe prtesentarsi.
Io credo che “revisionismo” e “negazionismo” siano tigri di carta. Intendo dire che non mi stupirebbe se alcune argomentazioni sostenute dai loro fautori fossero in grado di precisare e magari di ridimensionare questo o quel particolare della tragedia dello sterminio. Ma l’orrore delle leggi razziali, della privazione dei beni e della libertà, del sistema schiavistico- concentrazionario, degli assassini e delle sevizie, non ne verrebbe nella sua sostanza scalfito. Esiste però un modo solo per cancellare il revisionismo e il negazionismo impedendo ai loro sostenitori di atteggiarsi a vittime della verità. Affrontare razionalmente e pacatamente le loro tesi, confutarle, distruggerle; e con ciò definitivamente screditare chi se ne fa araldo. A me non interessa che il vescovo Williamson subisca sanzioni o condanne. Desidero che mi dimostri quanto afferma con prove documentarie certe, se può. Lo faccia davanti a una commissione di esperti scelta con criteri sicuri. O taccia e si vergogni. Questo è il solo modo per cancellare per sempre i calunniatori della shoah. Israele e il mondo ebraico hanno tutto l’interesse a imporre questo confronto: che sarebbe, anche massmedialmente, un formidabile spettacolo. Che cosa stiamo aspettando?
Una straordinaria coincidenza ha voluto che, in un brevissimo giro di giorni, si realizzasse la sia pur imperfetta tregua nel territorio di Gaza, si celebrasse la “Giornata della memoria” del 27 gennaio, si diffondesse la notizia della riassunzione della comunità dissidente lefebvriana in seno alla Chiesa e scoppiasse lo scandalo delle dichiarazioni del vescovo Richard Williamson alla televisione svedese a proposito dell’esistenza delle camere a gas nel campo di Auschwitz-Birkenau e del relativo numero di vittime. Lo scalpore suscitato dall’eco di quelle dichiarazioni – sulle quali, in dettaglio, si è tuttavia riusciti a sapere alquanto poco – ha dominato la scena: ed ha fatto purtroppo sì che, appunto in occasione della “Giornata della memoria” e in imbarazzante contraddizione con la denominazione di essa, nessuno di sia ricordato degli oltre 1600 palestinesi morti a Gaza, di cui circa un terzo minorenni, a causa di una rappresaglia tanto inutile quanto sproporzionata (i morti di parte israeliana non arrivano a una ventina). Quando si aprì il processo di Norimberga, nel novembre 1945, si dichiarò che precipuo scopo di esso era impedire che nel mondo si consumassero altri massacri di vite innocenti. A distanza di sessantaquattro anni da quell’evento, bisogna dire non solo che tale scopo non è stato raggiunto, ma anche che il “silenzio degli innocenti” è di una terribile profondità, quando i loro diritti e addirittura la loro vita non interessano a nessuno e non sono utili a nessuna causa. Così, purtroppo, accade oggi dei palestinesi.
Le esternazioni di monsignor Williamson, immediatamente stigmatizzate con fermezza sia dalla Santa Sede, sia dalla stessa comunità lefebvriana di cui egli fa parte, hanno ovviamente ricondotto in primo piano le polemiche relative ai cosiddetti “revisionismo” e “negazionismo”. Al riguardo, le voci che si sono levate sono state particolarmente severe. La deputata Fiamma Nirenstein ha affermato che “il negazionismo copre un antisemitismo genocida” che “non è più un vezzo da intellettuali, ma una minaccia guidata in primis dall’Iran di Ahmadinejad (che sta costruendo l’atomica)”, e che “vuole distruggere il popolo ebraico” (così il quotidiano “Liberal” del 29.1, p.4). Secondo la signora Nirenstein, “In tanti hanno negato, diminuito o minimizzato l’Olocausto: lo fanno per dire che gli ebrei sono così abietti da mentire anche su una questione con un carattere morale così importante come lo sterminio. E che quindi devono essere distrutti”: se quanto il quotidiano di Adornato fa dire alla signora Nirenstein è esatto, debbo osservare che la sua interpretazione dei reconditi fini dei “negazionisti” mi pare a dir poco forzata. Da parte sua Gad Lerner ha chiamato in causa, a proposito di Williamson, l’intera Chiesa cattolica che si ostina a distinguere tra l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista, sottolineando come il vescovo tradizionalista sia “il prodotto degenere di una corrente di pensiero più vasta” (“La Repubblica”, 29.1, p.27). Ma la distinzione tra antigiudaismo, che rimase sempre sul piano teologico e dottrinale-controversistico anche se produsse alcuni esiti condannabili, e antisemitismo, una dottrina segnata dal materialismo e dal determinismo biologico di una scienza che ha trionfato tra Sette e Ottocento ma che ormai è destituita di fondamento, è obiettivamente un fatto incontrovertibile sul piano sia storico, sia concettuale: per quanto senza dubbio, a livello di cultura diffusa, non ci sia dubbio che l’antigiudaismo diffuso in Germania (piu negli ambienti luterani che in quelli cattolici) abbia spianato la strada al demagogico antisemitismo nazista. Inoltre, Lerner rimprovera al cristianesimo il suo carattere intrinsecamente proselitistico: può aver dal suo punto di vista ragione, ma non c’è nulla da fare. Il cristiano è chiamato a impegnarsi per fra sì che, alla Fine dei Tempi, tutto il genere umano divenga un solo gregge sotto un unico pastore. I tempi e i modi in cui lo diverrà, sono inconoscibili: ma ciò fa parte essenziale e integrante della Promessa, e non si può chiedere ai cristiani di diventar qualcosa di diverso da quel che sono nel nome del rispetto per gli altri o della tolleranza, valori molto alti ma storici, quindi relativi. Il carattere essenziale della fede cristiana à, come quello di tutte le altre fedi, assoluto, quindi di per se negoziabile. Non c’e dialogo sui valori assoluti, che per loro natura sono metafisici; si dialoga sulla compartecipazione al genere umano, coesistenza, sulla collaborazione, sul rispetto e sulla libertà reciproci. Per il resto, Lerner richiama Oz il quale ha sottolineato come Gesù fosse non cristiano, bensì ebreo: hanno perfettamente ragione, tanto Oz quanto Lerner. Il punto à che il Gesù dei cristiani non si esaurisce nel Gesù storico: il cilicio Saul, un tessitore nato non lontano dal Libano terra natale di Lerner, lo ha spiegato bene (al di là della controversa attribuzione delle sue lettere, come appunto Lerner rammenta). Gesù era certo ebreo: ma il progetto di un cristianesimo “eresia ebraica”, per così dire, à stato accantonato allorché la tesi di Paolo e di Barnaba, quella della Ecclesia e gentibus, ha battuto quella di Pietro e di Giacomo, l’Ecclesia e circumcisione. Il cristianesimo non può non ritenere l’ebraismo “intrinseco” a sé: ma e irrevocabilmente altra cosa rispetto ad esso.
Quelle della signora Nirenstein e di Gad Lerner ono solo due voci note e autorevoli, che cito – tra le molte che potrei citare - non solo perché appartengono a due ebrei, ma anche perché si tratta di due miei vecchi amici personali, per quanto purtroppo non ci si veda da un pezzo. Dissento quindi da loro: ma lealmente e con la massima cordialità. Noto con dispiacere del resto che i cattolici hanno detto cose ancora piu gravi e più inesatte di loro , fino a giungere in qualche caso a conclusioni che non esito a definir deliranti: un vescovo tedesco ha potuto spingersi fino ad accusare il collega Williamson di “blasfemia”. Ora, che un prelato esprima pareri storici impegnativi e lo faccia molto alla leggera, è un conto (difatti il Vaticano ha opportunamente imposto a Williamson di tacere); che così facendo addirittura bestemmi, è comunque improponibile. Ho l’impressione che se, invece di parlare di Auschwitz, avesse messo in dubbio il dogma dell’Immacolata Concezione certi cattolici se la sarebbero presa meno.
Voglio dire che non bisogna perdere la calma. Ormai da anni assistiamo a una pericolosa confusione di piani e di giudizi. Le parole “revisionismo” e “negazionismo” sono divenute due deterrenti usando i quali si sono addirittura messi insieme personaggi molto eterogenei tra loro: quali Ernst Nolte, uno storico illustre; David Irving, personalità strana e inquietante ma studioso di valore e autore si ricerche apprezzate (attualmente è in prigione in Austria per un delitto d’opinione); Robert Faurisson, che può essere anche sospettati di monomania ma ha fatto sul sistema concentrazionario nazista rilievi interessanti, per quanto inquinati poi da una poco coerente assoluzione globale dell’hitlerismo dall’accusa di genocidio; molti ricercatori o sedicenti tali di varia estrazione e intenzione; e una pletora di visionari, qualcuno decisamente psicopatico. Ma due cose da non fare mai, per nessun motivo e nei confronti di nessuno, e da erspingere con fermezza quando se ne sia oggetto, sono il terrorismo-ricatto e la generalizzazione. Si tratta di una letteratura che va giudicata caso per caso, criticata e confutata quando se ne riscontrino i caratteri di serietà e di almeno presumibile fondatezza e ignorata nei casi restanti. Quando e se necessario (ma solo allora) esistono gli strumenti giuridici: la denunzia e le querele.
Come comportarsi quindi, nei confronti del “negazionismo”-ricerca (ma in questo caso la parola-chiave non dovrebbe essere usata) e del “negazionismo”-calunnia-provocazione? A questo riguardo, io resto fedele a un “eptalogo” molto semplice, che espongo qui in termini piu chiari e stringati possibile.
Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all’interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sono praticamente suscettibili di attenuare in modo sensibile le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.
Secondo: la shoah può e dev’essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; se nel corso delle ricerche avvenga d’imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.
Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso con lo scopo da screditare la causa ebraica, quella sionista o quella israeliana attraverso un tentativo di destituzione di credito della shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo e la società civile il diritto e il dovere di metterlo al bando.
Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s’impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell’eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo.
Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un’interpretazione “canonica” e “definitiva” della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).
Sesto: l’antisemitismo è una cosa precisa, cioè la tesi che esista uno specifico razziale comune ed esclusivo a tutti gli ebrei e che esso sia biologicamente e deterministicamente malvagio, inferiore e criminale; l’eventuale limitazione della portata della shoah e al limite la sua negazione possono essere ingiustificate, irragionevoli e demenziali e magari possono servire da pretesto per introdurre temi antisemiti, ma in sé e per sé non hanno con l’antisemitismo nulla a che fare (al punto che un cattivo “uso della shoah” e stato condannato da studiosi che sono tuttavia ebrei, quali Norman G. Finkelstein).
Settimo: pur essendo indubbio che dietro al “revisionismo-negazionismo” possano celarsi, in certi casi, istanze antisioniste e antisemite, il sistematico processo alle intenzioni e il ricorso al ricatto-intimidazione (“dici questo, allora sei antisemita”) sono sempre e comunque inaccettabili sia come metodo, sia come sistematico strumento di risposta. Sono inaccettabili sul piano morale perchè disonesti e su quello tattico-strategico perchè controproducenti. In particolare, è evidente che la critica alle scelte di questo o di quel governo israeliano non può e non deve esser pregiudizialmente sospetta di aver nulla a che fare con il razzismo e con l’antisemitismo. Il giorno che la critica alla dirigenza israeliana, o anche alla sua opinione pubblica, divenisse meno lecita di quella alle dirigenze e/o alle opinioni pubbliche francesi, canadesi o lituane, ci si troverebbe di fronte a un allarmante caso di razzismo alla rovescia.
Questo “eptalogo” è peggio che ovvio: è banale. Proprio per questo mi allarma il fatto che non sia ordinariamente e spontaneamente seguito da chiunque sia dotato di un minimo di discernimento. Ma a questo punto si profila a mio avviso una realtà allarmante. Badate: non sottovalutate quel che sto per denunziare: è il frutto dell’esperienza di un anziano e forse non troppo intelligente (ma abbastanza colto e preparato) signore che viaggia di continuo, ascolta i discorsi della gente in treno e nei bar; uno che per la sua professione partecipa di continuo a convegni e a dibattiti; uno che parla con giovani di ogni parte d’Italia e del mondo ed essere in contatto, come cattolico, con molti suoi correligionari; uno che la sua passione e il suo lavoro hanno portato spesso tanto in Israele quanto nei paesi del Vicino Oriente e che ha molti amici ebrei che lo considerano troppo filomusulmano e molti amici musulmani che lo ritengono troppo propoenso alla simpatia e all’indulgenza nei confronti degli ebrei e d’Israele. Ebbene, state tutti in campana, perchè è vero: lo si chiami come si vuole, ormai il “revisionismo-negazionismo” sta facendo silenziosamente breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. Cresce il numero di chi in pubblico afferma una cosa e in privato sostiene esattamente il contrario. E sapete perchè? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere. Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e, questo sì, può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita, anche se è difficile immaginare sotto quali forme potrebbe prtesentarsi.
Io credo che “revisionismo” e “negazionismo” siano tigri di carta. Intendo dire che non mi stupirebbe se alcune argomentazioni sostenute dai loro fautori fossero in grado di precisare e magari di ridimensionare questo o quel particolare della tragedia dello sterminio. Ma l’orrore delle leggi razziali, della privazione dei beni e della libertà, del sistema schiavistico- concentrazionario, degli assassini e delle sevizie, non ne verrebbe nella sua sostanza scalfito. Esiste però un modo solo per cancellare il revisionismo e il negazionismo impedendo ai loro sostenitori di atteggiarsi a vittime della verità. Affrontare razionalmente e pacatamente le loro tesi, confutarle, distruggerle; e con ciò definitivamente screditare chi se ne fa araldo. A me non interessa che il vescovo Williamson subisca sanzioni o condanne. Desidero che mi dimostri quanto afferma con prove documentarie certe, se può. Lo faccia davanti a una commissione di esperti scelta con criteri sicuri. O taccia e si vergogni. Questo è il solo modo per cancellare per sempre i calunniatori della shoah. Israele e il mondo ebraico hanno tutto l’interesse a imporre questo confronto: che sarebbe, anche massmedialmente, un formidabile spettacolo. Che cosa stiamo aspettando?
Fonte:Franco Cardini
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