domenica 4 gennaio 2009

MISURE ANTICRISI? MA LO STATO CI GUADAGNA


Di Tito Boeri


Il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo di 390 milioni. Un risultato sorprendente. Pur con la prudenza dovuta al livello del debito pubblico, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale. Invece, il provvedimento prevede un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, per compensare quello delle spese. In recessione l'unico modo per migliorare i conti pubblici è far ripartire l'economia. E il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d'opera perché le misure di spesa appaiono sotto finanziate.

Grazie all’ottimo lavoro del servizio bilancio della Camera, abbiamo finalmente un quadro completo del decreto anticrisi varato quasi due settimane fa dal nostro Consiglio dei ministri. Il risultato è però sorprendente. Dopo che a Washington il 16 novembre scorso era stato annunciato dal ministro Tremonti un piano da 80 miliardi, ridotto solo tre giorni dopo a 12,7 miliardi, poi sceso a 7 miliardi, a 6,5 e, infine, il 29 novembre a 3,7 miliardi, ci ritroviamo ad avere un intervento a saldo zero. Più precisamente, il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo, tra variazioni nette nelle entrate e nelle uscite, di 390 milioni. Non solo non c’è una riduzione della pressione fiscale, ma vi è un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, di 3 miliardi e mezzo che serve più che a compensare l’aumento netto delle spese.

CRESCE SOLO LA BUROCRAZIA

Dal punto di vista macroeconomico, questo significa che ci stiamo preparando alla peggiore recessione del Dopoguerra sparando a salve. Una manovra antirecessiva può, infatti, avere un significativo impatto macroeconomico solo se varia i saldi. In un contesto come quello attuale, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale per rilanciare l’economia. Certo, tutto questo andava fatto con prudenza, dato il livello del nostro debito pubblico. E mettendo subito in atto piani che ci portassero, quando la crisi sarà finita, a finanziare stabilmente le minori entrate (o maggiori spese) decise oggi con riduzioni permanenti della spesa, come quelle che stiamo proponendo sulle varie missioni del bilancio pubblico. Il decreto anticrisi, invece, finanzia le maggiori spese con maggiori entrate, innalzando ancora di più la pressione fiscale. C’è da chiedersi come reagiranno gli altri governi del G20 e il Fondo monetario, che da tempo chiedono una forte azione di stimolo fiscale coordinata tra i diversi paesi, cui anche l’Italia è chiamata a dare un contributo.
I dettagli riguardo all’impatto della manovra sul bilancio dello Stato (la tabella sul bilancio della pubblica amministrazione è più complessa, ma comunque consegna un saldo positivo) vengono forniti dalla tabella qui sotto. La parte del leone viene svolta dalla rivalutazione dei valori contabili Ias, una misura di riallineamento dei valori fiscali e contabili che in parte anticipa entrate future. Oggi, semmai, dovrebbe essere compiuta l’operazione opposta, immediate riduzioni di tasse oggi compensati da riduzioni di spesa domani. Vi sono poi circa 500 milioni che derivano da inasprimenti dell’Iva. Si noti che negli altri paesi si sta procedendo in direzione diametralmente opposta, riducendo l’Iva, come consentito dalla Commissione europea.
Il decreto anticrisi si limita così a redistribuire risorse. E la redistribuzione, modesta peraltro, avviene con costi amministrativi molto elevati soprattutto in rapporto alle erogazioni concesse ai cittadini, come mettono in luce Massimo Baldini, Simone Pellegrino e Paola Monti. Si crea tanta burocrazia, ma nessun posto di lavoro con manovre di questo tipo. E non si offre protezione alla grande platea di lavoratori con contratti a termine che rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi mesi.
Si dirà che una manovra a saldo zero non peggiora i conti pubblici, a differenza di quanto sta avvenendo in altri paesi. Ma non è così. Primo, perché in fasi di crisi come questa i conti peggiorano comunque e l’unico modo per migliorarli è far ripartire al più presto l’economia, creando le condizioni per cui i tagli alle tasse e le nuove spese decise oggi siano sostenibili, possano durare nel tempo. Secondo, perché il governo rischia di doversi trovare fra qualche mese a spendere molto di più di quanto previsto. Le misure di spesa appaiono sotto finanziate: a esempio, stimiamo che la social card costerà almeno 600 milioni, 150 in più di quelli stanziati per questa misura. E i fondi aggiuntivi per gli ammortizzatori sociali non sono comunque adeguati, anche mantenendo le regole attuali, per tassi di disoccupazione a due cifre. Questo significa che il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d’opera, come esplicitamente previsto dal decreto attuativo della social card, per chiudere il rubinetto delle erogazioni oppure per ampliare le dotazioni dei vari fondi, rendendo così discorsivi gli effetti della spesa.

Fonte:La Voce Info

Quadro di copertura DL 185/2008 – effetti sul SNF per il 2009
(milioni di euro)

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Di Tito Boeri


Il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo di 390 milioni. Un risultato sorprendente. Pur con la prudenza dovuta al livello del debito pubblico, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale. Invece, il provvedimento prevede un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, per compensare quello delle spese. In recessione l'unico modo per migliorare i conti pubblici è far ripartire l'economia. E il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d'opera perché le misure di spesa appaiono sotto finanziate.

Grazie all’ottimo lavoro del servizio bilancio della Camera, abbiamo finalmente un quadro completo del decreto anticrisi varato quasi due settimane fa dal nostro Consiglio dei ministri. Il risultato è però sorprendente. Dopo che a Washington il 16 novembre scorso era stato annunciato dal ministro Tremonti un piano da 80 miliardi, ridotto solo tre giorni dopo a 12,7 miliardi, poi sceso a 7 miliardi, a 6,5 e, infine, il 29 novembre a 3,7 miliardi, ci ritroviamo ad avere un intervento a saldo zero. Più precisamente, il decreto anticrisi ha un saldo netto in positivo, tra variazioni nette nelle entrate e nelle uscite, di 390 milioni. Non solo non c’è una riduzione della pressione fiscale, ma vi è un incremento netto delle entrate, in gran parte tributarie, di 3 miliardi e mezzo che serve più che a compensare l’aumento netto delle spese.

CRESCE SOLO LA BUROCRAZIA

Dal punto di vista macroeconomico, questo significa che ci stiamo preparando alla peggiore recessione del Dopoguerra sparando a salve. Una manovra antirecessiva può, infatti, avere un significativo impatto macroeconomico solo se varia i saldi. In un contesto come quello attuale, sarebbe stato fondamentale aumentare la spesa pubblica o ridurre la pressione fiscale per rilanciare l’economia. Certo, tutto questo andava fatto con prudenza, dato il livello del nostro debito pubblico. E mettendo subito in atto piani che ci portassero, quando la crisi sarà finita, a finanziare stabilmente le minori entrate (o maggiori spese) decise oggi con riduzioni permanenti della spesa, come quelle che stiamo proponendo sulle varie missioni del bilancio pubblico. Il decreto anticrisi, invece, finanzia le maggiori spese con maggiori entrate, innalzando ancora di più la pressione fiscale. C’è da chiedersi come reagiranno gli altri governi del G20 e il Fondo monetario, che da tempo chiedono una forte azione di stimolo fiscale coordinata tra i diversi paesi, cui anche l’Italia è chiamata a dare un contributo.
I dettagli riguardo all’impatto della manovra sul bilancio dello Stato (la tabella sul bilancio della pubblica amministrazione è più complessa, ma comunque consegna un saldo positivo) vengono forniti dalla tabella qui sotto. La parte del leone viene svolta dalla rivalutazione dei valori contabili Ias, una misura di riallineamento dei valori fiscali e contabili che in parte anticipa entrate future. Oggi, semmai, dovrebbe essere compiuta l’operazione opposta, immediate riduzioni di tasse oggi compensati da riduzioni di spesa domani. Vi sono poi circa 500 milioni che derivano da inasprimenti dell’Iva. Si noti che negli altri paesi si sta procedendo in direzione diametralmente opposta, riducendo l’Iva, come consentito dalla Commissione europea.
Il decreto anticrisi si limita così a redistribuire risorse. E la redistribuzione, modesta peraltro, avviene con costi amministrativi molto elevati soprattutto in rapporto alle erogazioni concesse ai cittadini, come mettono in luce Massimo Baldini, Simone Pellegrino e Paola Monti. Si crea tanta burocrazia, ma nessun posto di lavoro con manovre di questo tipo. E non si offre protezione alla grande platea di lavoratori con contratti a termine che rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi mesi.
Si dirà che una manovra a saldo zero non peggiora i conti pubblici, a differenza di quanto sta avvenendo in altri paesi. Ma non è così. Primo, perché in fasi di crisi come questa i conti peggiorano comunque e l’unico modo per migliorarli è far ripartire al più presto l’economia, creando le condizioni per cui i tagli alle tasse e le nuove spese decise oggi siano sostenibili, possano durare nel tempo. Secondo, perché il governo rischia di doversi trovare fra qualche mese a spendere molto di più di quanto previsto. Le misure di spesa appaiono sotto finanziate: a esempio, stimiamo che la social card costerà almeno 600 milioni, 150 in più di quelli stanziati per questa misura. E i fondi aggiuntivi per gli ammortizzatori sociali non sono comunque adeguati, anche mantenendo le regole attuali, per tassi di disoccupazione a due cifre. Questo significa che il governo dovrà presumibilmente intervenire in corso d’opera, come esplicitamente previsto dal decreto attuativo della social card, per chiudere il rubinetto delle erogazioni oppure per ampliare le dotazioni dei vari fondi, rendendo così discorsivi gli effetti della spesa.

Fonte:La Voce Info

Quadro di copertura DL 185/2008 – effetti sul SNF per il 2009
(milioni di euro)

1 commento:

Anonimo ha detto...

IL NOSTRO MOVIMENTO

Finalmente ci siamo!

E’ nata l’Unione Nazionale Italiana degli Impiegati Statali: "U.N.I.STAT."

Un movimento libero, autonomo ed indipendente: lavoratori e pensionati dello Stato uniti per dare vita alle aspettative del "popolo delle buste paga".

Un popolo fatto di gente che “campa” di stipendio e che non ha la possibilità di adeguare autonomamente le proprie entrate al costo della vita.

Un popolo che non si sente adeguatamente rappresentato in parlamento da “questa” classe politica, nè sufficientemente tutelato sul posto di lavoro da “questi” sindacati che dovrebbero difendere il potere d’acquisto di salari e pensioni.

Un popolo che ha più volte palesato su queste pagine la necessità di un soggetto politico “nuovo”.

Ebbene, adesso, il movimento c'è, è nato!

L’UNISTAT si batte per il miglioramento della qualità della vita dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.

Obiettivi primari ed inalienabili dell’UNISTAT sono la democrazia, l'uguaglianza, la libertà e la giustizia sociale.

L’UNISTAT avversa il tentativo di abbattere gli istituti di democrazia istituzionale vigenti che, anzi, vanno quotidianamente e senza soluzione di continuità, arricchiti di democrazia sostanziale e quindi di contenuto socialmente valido.

Accetta e difende i principi e le finalità della Costituzione Italiana e, pertanto, si proclama pluralista dal punto di vista ideologico, politico e religioso, nel convincimento che la persona umana non ha frontiere, nè barriere fisiche, nè psichiche e che l'individuo deve continuamente anelare alla pace, alla democrazia, alla giustizia ed alla libertà nel completo rispetto delle leggi, ma combattendo con fermezza tutto ciò che ad esse costituisca attentato.

Ai nostri amici, ai nostri lettori, a tutti i nostri sostenitori - iscritti e simpatizzanti - non verrà mai chiesto alcun contributo economico d’iscrizione, ma soltanto di “PARTECIPARE”!

La Segreteria Nazionale

 
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