giovedì 22 gennaio 2009

Ecco perché va fermata la sentenza di morte


Di Francesco Mario Agnoli
già componente del Consiglio Superiore della Magistratura

Di fronte alle difficoltà incontrate per dare corso al provvedimento giudiziario che lo autorizza a rimuovere il sondino che consente la nutrizione e l'idratazione della figlia (o, più probabilmente, la facilita dal momento che si è di recente appreso che la giovane donna in coma è in grado di deglutire e, quindi, di essere nutrita per via naturale) Beppino Englaro ha affermato, dalla ribalta televisiva: "Viene da pensare che in un paese come l´Italia non ci sia un minimo di civiltà. Perché non lasciare attuare le sentenze passate in giudicato è preoccupante per la nazione, è un fatto che ci riguarda tutti e chiamarsi fuori da situazioni del genere è pericoloso".

Beppino Englaro non è uomo di legge (lo sono però i suoi avvocati e la curatrice nominata ad Eluana dalla Corte d'appello di Milano) ed è ammissibile che faccia qualche confusione. In realtà non vi è nessuna sentenza passata in giudicato.

La cosiddetta “sentenza” è un semplice decreto emesso in sede di volontaria giurisdizione e come tutti i provvedimenti di volontaria non solo non può passare in giudicato, ma è emesso “rebus sic stantibus”, il che significa che può essere modificato o revocato se emergono fatti nuovi o se le circostanze che ne hanno giustificato (ad avviso del giudice) l'emanazione sono cambiate.

E', appunto, il caso di Eluana per essere emersa una circostanza non tenuta presente dai giudici milanesi: la sua capacità di deglutire naturalmentee, quindi, la possibilità di mantenerla in vita anche senza utilizzare il sondino.

Particolare tutt'altro che insignificante anche perché il decreto della Corte di Appello autorizza unicamente “l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale (...) realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico”, ma non anche l'omissione di altri mezzi (se possibili) di nutrizione, il che potrebbe esporre a denunce e a responsabilità penali i medici che dopo avere rimosso il sondino abbandonassero la giovane donna al suo destino senza accertare la possibilità di nutrirla e idratarla per le vie naturali.

Inoltre il presupposto di fatto sul quale si regge l'intera impalcatura giuridica che ha portato al rilascio dell'autorizzazione è la certezza “medico-scientifica” dell'irreversibilità dello stato vegetativo.

Le sentenze (queste sì) della Cassazione hanno battuto e ribattuto sul punto che “la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standards scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di una qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”.

I giudici milanesi al momento di emettere il decreto hanno ritenuto che gli standards loro noti giustificassero questa conclusione, tuttavia subito dopo quanto meno messa in dubbio dalla notizia che un nuovo metodo utilizzato alle Molinette di Torino aveva assicurato ad un'altra giovane in stato vegetativo permanente un “sia pure flebile recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”, per di più suscettibile di ulteriori progressi.

Si sono, quindi realizzate le condizioni se non altro per un riesame di un provvedimento insuscettibile, per sua natura, di passare in giudicato e che ha il suo presupposto in una situazione di fatto che sembra essersi modificata. Inevitabile chiedersi perché nessuno intervenga.

Il fatto è che la magistratura giudicante (Tribunali, Corti di appello, Cassazione) può muoversi solo se sollecitata da soggetti (privati o pubblici) legittimati a farlo. Nel caso di Eluana, disciplinato dalle regole della volontaria giurisdizione, sono legittimati solo il padre-tutore, che considera intoccabile il decreto (scambiato per una sentenza), e la curatrice, fin dal primo momento totalmente appiattitasi sulle posizioni del tutore.

Purtroppo, per quanto strano possa sembrare, le norme vigenti, per altro dettate in un momento nel quale nemmeno s'immaginava la possibilità di simili provvedimenti non attribuiscono questo potere di iniziativa al pubblico ministero, che pure ne è titolare in casi di assai minore rilievo.

Forse (ma è arduo ed improbabile) la difficoltà potrebbe venire superata attraverso un'opera di interpretazione delle norme vigenti “costituzionalmente orientata”, in definitiva non troppo diversa da quella che ha consentito per la prima volta in assoluto ad un giudice italiano di emettere in sede civile un provvedimento di morte.

Fonte:Da La Voce di Romagna del 18 gennaio 2009
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Di Francesco Mario Agnoli
già componente del Consiglio Superiore della Magistratura

Di fronte alle difficoltà incontrate per dare corso al provvedimento giudiziario che lo autorizza a rimuovere il sondino che consente la nutrizione e l'idratazione della figlia (o, più probabilmente, la facilita dal momento che si è di recente appreso che la giovane donna in coma è in grado di deglutire e, quindi, di essere nutrita per via naturale) Beppino Englaro ha affermato, dalla ribalta televisiva: "Viene da pensare che in un paese come l´Italia non ci sia un minimo di civiltà. Perché non lasciare attuare le sentenze passate in giudicato è preoccupante per la nazione, è un fatto che ci riguarda tutti e chiamarsi fuori da situazioni del genere è pericoloso".

Beppino Englaro non è uomo di legge (lo sono però i suoi avvocati e la curatrice nominata ad Eluana dalla Corte d'appello di Milano) ed è ammissibile che faccia qualche confusione. In realtà non vi è nessuna sentenza passata in giudicato.

La cosiddetta “sentenza” è un semplice decreto emesso in sede di volontaria giurisdizione e come tutti i provvedimenti di volontaria non solo non può passare in giudicato, ma è emesso “rebus sic stantibus”, il che significa che può essere modificato o revocato se emergono fatti nuovi o se le circostanze che ne hanno giustificato (ad avviso del giudice) l'emanazione sono cambiate.

E', appunto, il caso di Eluana per essere emersa una circostanza non tenuta presente dai giudici milanesi: la sua capacità di deglutire naturalmentee, quindi, la possibilità di mantenerla in vita anche senza utilizzare il sondino.

Particolare tutt'altro che insignificante anche perché il decreto della Corte di Appello autorizza unicamente “l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale (...) realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico”, ma non anche l'omissione di altri mezzi (se possibili) di nutrizione, il che potrebbe esporre a denunce e a responsabilità penali i medici che dopo avere rimosso il sondino abbandonassero la giovane donna al suo destino senza accertare la possibilità di nutrirla e idratarla per le vie naturali.

Inoltre il presupposto di fatto sul quale si regge l'intera impalcatura giuridica che ha portato al rilascio dell'autorizzazione è la certezza “medico-scientifica” dell'irreversibilità dello stato vegetativo.

Le sentenze (queste sì) della Cassazione hanno battuto e ribattuto sul punto che “la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standards scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di una qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”.

I giudici milanesi al momento di emettere il decreto hanno ritenuto che gli standards loro noti giustificassero questa conclusione, tuttavia subito dopo quanto meno messa in dubbio dalla notizia che un nuovo metodo utilizzato alle Molinette di Torino aveva assicurato ad un'altra giovane in stato vegetativo permanente un “sia pure flebile recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”, per di più suscettibile di ulteriori progressi.

Si sono, quindi realizzate le condizioni se non altro per un riesame di un provvedimento insuscettibile, per sua natura, di passare in giudicato e che ha il suo presupposto in una situazione di fatto che sembra essersi modificata. Inevitabile chiedersi perché nessuno intervenga.

Il fatto è che la magistratura giudicante (Tribunali, Corti di appello, Cassazione) può muoversi solo se sollecitata da soggetti (privati o pubblici) legittimati a farlo. Nel caso di Eluana, disciplinato dalle regole della volontaria giurisdizione, sono legittimati solo il padre-tutore, che considera intoccabile il decreto (scambiato per una sentenza), e la curatrice, fin dal primo momento totalmente appiattitasi sulle posizioni del tutore.

Purtroppo, per quanto strano possa sembrare, le norme vigenti, per altro dettate in un momento nel quale nemmeno s'immaginava la possibilità di simili provvedimenti non attribuiscono questo potere di iniziativa al pubblico ministero, che pure ne è titolare in casi di assai minore rilievo.

Forse (ma è arduo ed improbabile) la difficoltà potrebbe venire superata attraverso un'opera di interpretazione delle norme vigenti “costituzionalmente orientata”, in definitiva non troppo diversa da quella che ha consentito per la prima volta in assoluto ad un giudice italiano di emettere in sede civile un provvedimento di morte.

Fonte:Da La Voce di Romagna del 18 gennaio 2009

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