sabato 24 aprile 2010

I puttanieri, i cornuti e le escort del Risorgimento


Di Antonio Ciano


Il Vittorione puttaniere
Il puttaniere Vittorio Emanuele II, era padre di molti “figli illegittimi, avuti da varie donne ... in particolare la Chiesa gli rimproverava la relazione con la figlia di un sottufficiale dell’Esercito, Rosina Vercellana ...” definita dal Pontefice “... donna volgare e disonesta” ma si fotteva pure la moglie del criminale di guerra ungherese Istvan Turr fatto generale dal Garibaldi e diventato spia agli ordini del Savoia Vittorio Emanuele per meriti “di corna”, la moglie di un altro agente segreto, il cavalier Enrico Blusa e “...amava parlare di battaglie e di stragi con un linguaggio da bassa macelleria come se gli piacesse l’idea di un campo di battaglia ridotto a carnaio ...” e di “ ... non provare alcun dolore per i caduti in guerra ...”.
Sia il Vittorione che Cavour se la spassavano anche con la contessa di Castiglione della quale il re savoiardo teneva una foto oscena a grandezza naturale in una cassapanca:”...la contessa di Castiglione che, in passato, aveva frequentato il suo letto, quello di Cavour e una dozzina d’altri in case diverse...”. (Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme SpA, Casale Monferrato, 1998, pag. 248)
Ecco chi il destino aveva preposto a governare l’Italia! Una dinastia di puttanieri e di analfabeti che non conoscevano nemmeno la lingua italiana. La lingua parlata dal Savoia Vittorio Emanuele era il francese perché lui era francese, come francese era la lingua di corte e come ci fa sapere Denis M. Smith a pag. 32 del citato libro: “Odiava parlare italiano ... i dialetti meridionali gli erano incomprensibili”.
Quando si recò nell’Italia meridionale per passarvi alcuni giorni, forse palpando d’essere inviso e odiato dalla popolazione “...sconcertò i suoi nuovi sudditi comportandosi in modo insofferente e incivile, mancando all’ultimo momento ai ricevimenti ufficiali, o non toccando cibo ai banchetti offerti in suo onore ... e anche suo figlio Umberto, ugualmente privo di tatto, parlava con imbarazzante disgusto di Napoli e dei Napoletani” ma non schifavano i soldi del Sud che alleviarono le esauste finanze piemontesi. A Torino tutti sapevano che “... da informazioni allarmistiche giunte nella capitale piemontese risulta che nonostante la larga maggioranza ottenuta dalla monarchia sabauda nei plebisciti, quasi nessuno nell’Italia meridionale sembrava volere l’unificazione: i plebisciti erano stati chiaramente manovrati fino al punto di essere del tutto inattendibili”. (Denis M. Smith, Ibidem, pag. 31).


Il Vittorione? Figlio di un macellaio
I Savoia potrebbero incazzarsi nel leggere i nostri resoconti di una storia finalmente diversa da quella propinataci dai vari regimi; di una cosa però possono andare orgogliosi: Vittorio Emanuele II non era un Savoia ma, come ci fa sapere Massimo D’Azeglio “... il suo vero padre era un macellaio di Porta Romana a Firenze ...” .
Infatti Vittorio Emanuele II era figlio spurio sostituito al vero Vittorio Emanuele quando il vero erede subì ustioni mortali a Poggio Imperiale nel Settembre 1822 .
A Napoli, Vittorio Emanuele II sarebbe stato chiamato “ figlie ‘e zoccola”.
A pag. 11 del libro “Vittorio Emanuele II” di Pier Francesco Gasparetto leggiamo quanto segue: “Proprio a Poggio Imperiale il piccolo Vittorio corre il primo rischio serio della sua vita. Rischia di finire bruciato vivo nella culla. I fatti, secondo il rapporto del caporale Minutti, vivacizzato da un uso personalissimo della lingua e della punteggiatura e indirizzato ‘All’Illustrissimo Signor Commissario del Quartiere Santo Spirito’, si svolsero in questo modo: “La sera del sedici stante verso le undici e mezzo, la Baglia di Sua Altezza Imperiale e Reale il Principe di Carignano, essendo nel suo appartamento, e volendo con il lume ammazzare le zanzare gli prese fuoco lo zanzariere; ed il vestito che aveva ancora indosso, volendo salvare il Bambino che era in letto accese ancora il medesimo alle grida della medesima accorse delle Cameriste, e altre persone di servizio, e spensero il fuoco, essendo rimasto nel letto mezzo materasso, e la Baglia si dice che stia in pericolo ti vita, stante di essersi bruciata sotto. Che è quanto”.
A Firenze, e non solo a Firenze, all’indomani di questo episodio si comincia subito a fantasticare. A molti appare miracoloso (troppo miracoloso) che il bambino, che pur si è trovato nella culla in fiamme ( pochi giorni dopo l’incidente sia sano e vispo come prima, mentre la nutrice, che si è trovata solamente “ accanto “ alla culla, pochi giorni dopo muoia a causa delle bruciature. Chi vi legge la mano del destino, chi della Provvidenza, chi, invece sussurra che il bambino morto tra le fiamme è stato sostituito a tamburo battente con un altro della stessa età. Non lo si dice solo in quei giorni, ma si continuerà a dirlo per tempo ancora, quando, miracolato, crescendo, dimostrerà diversità sempre più appariscenti con il padre, con il fratello, e con gli antenati in blocco. Fisiche, di stile, di comportamento, di gusti, di tutto[...] lo stesso Massimo D’Azeglio sosterrà sempre che era un “ figlio di un macellaio di Porta Romana a Firenze” e ne specificherà persino il nome: “ certo Tanaca”. (Pier Francesco Gasparetto, Vittorio Emanuele II, Rusconi Libri s.r.l., Milano, 1994, pag. 11-12).

Capitolo tratto dal libro di Antonio Ciano "Le stragi e gli eccidi dei savoia" secondo volume
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Di Antonio Ciano


Il Vittorione puttaniere
Il puttaniere Vittorio Emanuele II, era padre di molti “figli illegittimi, avuti da varie donne ... in particolare la Chiesa gli rimproverava la relazione con la figlia di un sottufficiale dell’Esercito, Rosina Vercellana ...” definita dal Pontefice “... donna volgare e disonesta” ma si fotteva pure la moglie del criminale di guerra ungherese Istvan Turr fatto generale dal Garibaldi e diventato spia agli ordini del Savoia Vittorio Emanuele per meriti “di corna”, la moglie di un altro agente segreto, il cavalier Enrico Blusa e “...amava parlare di battaglie e di stragi con un linguaggio da bassa macelleria come se gli piacesse l’idea di un campo di battaglia ridotto a carnaio ...” e di “ ... non provare alcun dolore per i caduti in guerra ...”.
Sia il Vittorione che Cavour se la spassavano anche con la contessa di Castiglione della quale il re savoiardo teneva una foto oscena a grandezza naturale in una cassapanca:”...la contessa di Castiglione che, in passato, aveva frequentato il suo letto, quello di Cavour e una dozzina d’altri in case diverse...”. (Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme SpA, Casale Monferrato, 1998, pag. 248)
Ecco chi il destino aveva preposto a governare l’Italia! Una dinastia di puttanieri e di analfabeti che non conoscevano nemmeno la lingua italiana. La lingua parlata dal Savoia Vittorio Emanuele era il francese perché lui era francese, come francese era la lingua di corte e come ci fa sapere Denis M. Smith a pag. 32 del citato libro: “Odiava parlare italiano ... i dialetti meridionali gli erano incomprensibili”.
Quando si recò nell’Italia meridionale per passarvi alcuni giorni, forse palpando d’essere inviso e odiato dalla popolazione “...sconcertò i suoi nuovi sudditi comportandosi in modo insofferente e incivile, mancando all’ultimo momento ai ricevimenti ufficiali, o non toccando cibo ai banchetti offerti in suo onore ... e anche suo figlio Umberto, ugualmente privo di tatto, parlava con imbarazzante disgusto di Napoli e dei Napoletani” ma non schifavano i soldi del Sud che alleviarono le esauste finanze piemontesi. A Torino tutti sapevano che “... da informazioni allarmistiche giunte nella capitale piemontese risulta che nonostante la larga maggioranza ottenuta dalla monarchia sabauda nei plebisciti, quasi nessuno nell’Italia meridionale sembrava volere l’unificazione: i plebisciti erano stati chiaramente manovrati fino al punto di essere del tutto inattendibili”. (Denis M. Smith, Ibidem, pag. 31).


Il Vittorione? Figlio di un macellaio
I Savoia potrebbero incazzarsi nel leggere i nostri resoconti di una storia finalmente diversa da quella propinataci dai vari regimi; di una cosa però possono andare orgogliosi: Vittorio Emanuele II non era un Savoia ma, come ci fa sapere Massimo D’Azeglio “... il suo vero padre era un macellaio di Porta Romana a Firenze ...” .
Infatti Vittorio Emanuele II era figlio spurio sostituito al vero Vittorio Emanuele quando il vero erede subì ustioni mortali a Poggio Imperiale nel Settembre 1822 .
A Napoli, Vittorio Emanuele II sarebbe stato chiamato “ figlie ‘e zoccola”.
A pag. 11 del libro “Vittorio Emanuele II” di Pier Francesco Gasparetto leggiamo quanto segue: “Proprio a Poggio Imperiale il piccolo Vittorio corre il primo rischio serio della sua vita. Rischia di finire bruciato vivo nella culla. I fatti, secondo il rapporto del caporale Minutti, vivacizzato da un uso personalissimo della lingua e della punteggiatura e indirizzato ‘All’Illustrissimo Signor Commissario del Quartiere Santo Spirito’, si svolsero in questo modo: “La sera del sedici stante verso le undici e mezzo, la Baglia di Sua Altezza Imperiale e Reale il Principe di Carignano, essendo nel suo appartamento, e volendo con il lume ammazzare le zanzare gli prese fuoco lo zanzariere; ed il vestito che aveva ancora indosso, volendo salvare il Bambino che era in letto accese ancora il medesimo alle grida della medesima accorse delle Cameriste, e altre persone di servizio, e spensero il fuoco, essendo rimasto nel letto mezzo materasso, e la Baglia si dice che stia in pericolo ti vita, stante di essersi bruciata sotto. Che è quanto”.
A Firenze, e non solo a Firenze, all’indomani di questo episodio si comincia subito a fantasticare. A molti appare miracoloso (troppo miracoloso) che il bambino, che pur si è trovato nella culla in fiamme ( pochi giorni dopo l’incidente sia sano e vispo come prima, mentre la nutrice, che si è trovata solamente “ accanto “ alla culla, pochi giorni dopo muoia a causa delle bruciature. Chi vi legge la mano del destino, chi della Provvidenza, chi, invece sussurra che il bambino morto tra le fiamme è stato sostituito a tamburo battente con un altro della stessa età. Non lo si dice solo in quei giorni, ma si continuerà a dirlo per tempo ancora, quando, miracolato, crescendo, dimostrerà diversità sempre più appariscenti con il padre, con il fratello, e con gli antenati in blocco. Fisiche, di stile, di comportamento, di gusti, di tutto[...] lo stesso Massimo D’Azeglio sosterrà sempre che era un “ figlio di un macellaio di Porta Romana a Firenze” e ne specificherà persino il nome: “ certo Tanaca”. (Pier Francesco Gasparetto, Vittorio Emanuele II, Rusconi Libri s.r.l., Milano, 1994, pag. 11-12).

Capitolo tratto dal libro di Antonio Ciano "Le stragi e gli eccidi dei savoia" secondo volume
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1 commento:

Anonimo ha detto...

A proposito di Vittorio Emanuele scambiato nella culla: Nelle cronache del tempo in Sardegna si civettava che fosse stato un corno sardo , un prete che si fotteva la regina Maria Teresa . Basta osservare la fisionomia di vitt. Emanuele, ( basso, tozzo, moro e a pelo pecorino! è un sardo d.o.c.

 
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