martedì 10 aprile 2012

Rinasce "Cronache meridionali"


Di Floriana Guerriero
Fonte: Corriere dell'Irpinia

Nasce dalla consapevolezza della centralità che riveste oggi la riflessione meridionalista per il presente e futuro del paese la scelta di far rivivere una testata come “Cronache meridionali”, capace di offrire un contributo decisivo al dibattito sul Mezzogiorno nell’immediato dopoguerra. Una vera e propria scommessa, quella che lancia il centro studi Nicola Vella guidato da Emilio De Lorenzo e Aldo Vella, animata dallo stesso spirito che guidò la storica rivista meridionalista, frutto dell’intuizione di spiriti democratici come Giorgio Amendola, Francesco De Martino, Mario Alicata, Giorgio Napolitano e Rosario Villari, della volontà di difendere l’esperienza della sinistra e insieme i valori della Repubblica. “Cronache Meridionali” vide la luce il 1° gennaio del 1954, interrompendo le pubblicazioni con il numero 7 del settembre del giugno del 1964 e rappresentò per dieci anni un riferimento per gli intellettuali del paese. L’ambiziosa sfida era quella di elaborare idee, progetti, strategie a partire dall’attenta analisi delle singole realtà meridionali, nella convinzione che l’unitarietà del Sud dovesse emergere dalla conoscenza del tessuto economico-sociale delle singole realtà.

“Il meridionalismo - affermava Francesco De Martino - non si può neanche esaurire nell’analisi e nella storia delle forme di miseria e di oppressione economica, sociale e politica, né basta allargare la prospettiva conoscitiva sì da includere lo studio della tradizione intellettuale del Mezzogiorno nella sua forma più alta, secondo la indicazione di Gramsci”. In questo modo la riflessione sui problemi del Sud veniva affrontata con uno sguardo differente, andando al di là della semplice discussione sulla riforma agraria o sulla Cassa del Mezzogiorno, sulle nuove ondate emigratorie o sul processo di modernizzazione in atto nel paese.
Era quello un periodo certamente fecondo del dibattito sulle “questioni meridionali”, in quegli stessi anni nasceva, infatti, sul versante liberal-democratico, un’altra rivista di stampo meridionalista, fondata da Mario Pannunzio e da Francesco Compagna, unitamente a Giuseppe Galasso e De Caprariis, sempre a Napoli, “Nord e Sud”, un periodo di speranze vive e fiducia che il divario tra Settentrione e Meridione potesse essere finalmente superato. E sarà proprio la chiusura di riviste come “Cronache meridionali” e “Nord e Sud” a segnare l’inizio della progressiva perdita di centralità del Mezzogiorno e insieme di un crescente disinteresse per le aree interne, come sottolinea Aldo Vella nell’editoriale della rivista, dimenticate a vantaggio delle città . Allo stesso modo venivano meno le speranze di costruire una sinistra unitaria.

“Non c’è dubbio – prosegue Vella – che la Questione Meridionale va oggi completamente rifondata non potendosi riproporre più né nei termini liberali di “Nord e Sud”, né in quelli della storica sinistra socialcomunista. Non disconoscendo i meriti di quelle che rappresentarono, allora, le due grandi visioni possibili del problema, oggi la Questione va trattata nei termini imposti dalla contemporaneità. Liberi da schematismi ideologici, intendiamo guardare, da una parte: alla storia (tutta particolare nell’ambito della nazione Italia) del territorio meridionale per riscoprirne l’identità e, con essa, la cultura e la potenzialità; dall’altra parte al Mediterraneo e alle sue occasioni relazionali. Due strade che nessun meridionalismo ha ancora sufficientemente intrapreso”.

Un progetto che non può non ripartire dalle voci di chi come Rocco Scotellaro o Nicola Vella seppero credere nella possibilità di una rinascita nel Sud, a partire dalle risorse del territorio, proprio come fece Vella con una battaglia conclusasi con la nascita del Consorzio Idrico dell’Alta Irpinia o ancora con la rivendicazione dei contadini dei loro diritti alla terra. “I governi di queste comunità locali, e non solo, - scrive Emilio De Lorenzo, presidente del centro studi Nicola Vella – sono oggi chiamati a sollecitare e sostenere una profonda riflessione sul mancato sviluppo, sulla contingente condizione dell’Alta Irpinia e di tutto il Sud, sull’inarrestabile declino di un territorio depotenziato, abbandonato a sé stesso, dopo il fallimento del processo di industrializzazione, la fine della stagione degli interventi straordinari, dopo le nuove inefficaci politiche di sviluppo messe in campo negli anni novanta e la progressiva desertificazione a cui si sta assistendo passivamente richiamando la centralità di un dibattito politico-culturale su Mezzogiorno e zone interne, senza per questo riproporre necessariamente il competitivo dualismo tra osso e polpa, ma recuperando una lettura critica del territorio centrata sull’analisi storica, proiettata sulle cogenti problematiche del presente.

Per questo salutiamo con favore gli sviluppi degli Stati Generali dell’Alta Irpinia, per rifiutare quella che giustamente il Procuratore della Repubblica di S. Angelo chiama autonomia”. A guidare il progetto la stessa tensione morale, politica e culturale che animò la battaglia di Nicola Vella, sindaco della prima amministrazione democratica di Lacedonia, ma anche la consapevolezza che il Sud deve tornare ad essere soggetto e non oggetto del pensiero, svolgendo un ruolo attivo nella rielaborazione di un nuovo Meridionalismo.

E vanno certamente in questa direzione i contributi che arricchiscono il primo numero, come quello di Abdon Alinovi, che sottolinea la scelta coraggiosa dei redattori di “Nuove Cronache meridionali”, ribadendo il ruolo centrale svolto dalla rivista meridionalista nel tentativo di costruire nel dopoguerra un progetto politico unitario. Alinovi non ha dubbi, il paese e soprattutto il Sud hanno bisogno di un forte partito laico di sinistra e democratico, con un’anima socialista cristiane liberale. Ma al tempo stesso la Sinistra non può sottrarsi al compito di fare i conti con le disuguaglianze legate al processo di globalizzazione, con la crisi del sistema capitalistico, a partire dalla difesa dei diritti dei lavoratori.

A ribadire le speranze di riscatto del Sud, a partire dalla sua ricchezza culturale ed intellettuale è Luigi De Magistris, altra firma illustre di questo primo numero “Seppur privi di capitale economico, il capitale culturale può essere una fondamentale risorsa per rilanciare tutto il Sud. Napoli deve essere una città-laboratorio glocal per due ordini di motivi. In primis, perché è una città del Mezzogiorno. E’ da Sud e da tutti i Sud del mondo che deve partire una sfida intellettuale contro una globalizzazione dei mercati finanziari che ha comportato la mercificazione dell’uomo e dell’esistenza. Il Sud deve rimettere al centro del dibattito politico quei valori di humanitas che il mercato ha marginalizzato….Il secondo motivo per essere protagonisti è che da qui – come anche da altri Mezzogiorni – si pensi a Porto Alegre – è partita la sfida dei beni comuni. La sfida cioè per un’altra economia possibile”.

Filippo Barbera si sofferma, invece, sulla crisi del sistema europeo che sembra delineare sempre di più uno scenario contraddistinto da una marginalizzazione degli stati più deboli all’interno della stessa Europa. Squilibri che appaiono “l’esito ineluttabile dell’ineguale sviluppo economico e territoriale del capitalismo europeo ove qualunque strategia di fuoriuscita dal sottosviluppo dei paesi e delle regioni più arretrate che passi attraverso politiche di aggiustamenti strutturali e strette di bilancio, nell’affannante quanto impossibile rincorsa delle economie più sviluppate, riuscirà difficilmente a condurre paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna e il Portogallo allo stesso livello del Pil di paesi come Germania o la Finlandia”.

Il pericolo è che la crisi del capitalismo europeo possa far sentire con forza i suoi effetti proprio nel Mezzogiorno d’Italia, aggravando fenomeni come l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario o ancora l’assenza di politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico. Di qui la necessità di una nuova questione meridionale che indichi vie d’uscita concrete dalla crisi, sperimentando una diversa idea di economia e sviluppo, senza trascurare la prospettiva di un possibile sfaldamento dell’unione monetaria europea. Di grande interesse anche i contributi di Nino Lisi su “Società globali e locali. Comunità e altra modernità” che delinea il ruolo strategico a cui è chiamata la società civile nella costruzione di nuove democrazie comunitarie, che portino a un rinnovamento profondo della politica mentre Luca Meldolesi auspica un federalismo democratico da attuare a tutti i livelli della vita collettiva ed istituzionale, Ciro Raia ricorda la figura di Gilberto Marselli al fianco di Manlio Rossi Doria nell’attuazione della Riforma agraria in Calabria e poi nella campagna elettorale per conquistare un posto in Senato condotta in Alta Irpinia. Ed è proprio Marselli a restituire lo spirito dei meridionalisti come Rossi Doria e Scotellaro “Noi vivevamo un’esperienza unica; non eravamo schierati con nessun partito; eravamo sicuri di essere solo in una collocazione politica, meridionalistica e di sinistra”.

Vincenzo Gulli consegna invece una piccola storia economica del Sud dal periodo preunitario ad oggi, Emma Buondonno si sofferma su “Nuove città per un nuovo Mezzogiorno” a partire dalla necessità, nella progettazione degli spazi urbani, di conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, Paolo Saggese analizza la subalternità che ancora patisce la letteratura del Sud, evidente anche nell’esclusione dei poeti meridionali dai programmi scolastici nazionali. Da sottolineare anche un’interessante intervista a Pino Aprile che chiarisce il significato della protesta dei Forconi, collocandola nel processo in atto di graduale presa di coscienza da parte del Mezzogiorno della propria storia e dei propri diritti negati “Il Sud sa di essere stato un paese industriale distrutto con la forza all’arrivo dei Savoia. Sa che non era arretrato o oppresso o povero…Sa che è stato educato a sentirsi sbagliato, sporco, arretrato. E sa che negli ultimi 150 anni c’è stata una sistematica operazione economica di abbattimento delle sue infrastrutture a partire dai treni”.



Fonte: Corriere dell'Irpinia

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Di Floriana Guerriero
Fonte: Corriere dell'Irpinia

Nasce dalla consapevolezza della centralità che riveste oggi la riflessione meridionalista per il presente e futuro del paese la scelta di far rivivere una testata come “Cronache meridionali”, capace di offrire un contributo decisivo al dibattito sul Mezzogiorno nell’immediato dopoguerra. Una vera e propria scommessa, quella che lancia il centro studi Nicola Vella guidato da Emilio De Lorenzo e Aldo Vella, animata dallo stesso spirito che guidò la storica rivista meridionalista, frutto dell’intuizione di spiriti democratici come Giorgio Amendola, Francesco De Martino, Mario Alicata, Giorgio Napolitano e Rosario Villari, della volontà di difendere l’esperienza della sinistra e insieme i valori della Repubblica. “Cronache Meridionali” vide la luce il 1° gennaio del 1954, interrompendo le pubblicazioni con il numero 7 del settembre del giugno del 1964 e rappresentò per dieci anni un riferimento per gli intellettuali del paese. L’ambiziosa sfida era quella di elaborare idee, progetti, strategie a partire dall’attenta analisi delle singole realtà meridionali, nella convinzione che l’unitarietà del Sud dovesse emergere dalla conoscenza del tessuto economico-sociale delle singole realtà.

“Il meridionalismo - affermava Francesco De Martino - non si può neanche esaurire nell’analisi e nella storia delle forme di miseria e di oppressione economica, sociale e politica, né basta allargare la prospettiva conoscitiva sì da includere lo studio della tradizione intellettuale del Mezzogiorno nella sua forma più alta, secondo la indicazione di Gramsci”. In questo modo la riflessione sui problemi del Sud veniva affrontata con uno sguardo differente, andando al di là della semplice discussione sulla riforma agraria o sulla Cassa del Mezzogiorno, sulle nuove ondate emigratorie o sul processo di modernizzazione in atto nel paese.
Era quello un periodo certamente fecondo del dibattito sulle “questioni meridionali”, in quegli stessi anni nasceva, infatti, sul versante liberal-democratico, un’altra rivista di stampo meridionalista, fondata da Mario Pannunzio e da Francesco Compagna, unitamente a Giuseppe Galasso e De Caprariis, sempre a Napoli, “Nord e Sud”, un periodo di speranze vive e fiducia che il divario tra Settentrione e Meridione potesse essere finalmente superato. E sarà proprio la chiusura di riviste come “Cronache meridionali” e “Nord e Sud” a segnare l’inizio della progressiva perdita di centralità del Mezzogiorno e insieme di un crescente disinteresse per le aree interne, come sottolinea Aldo Vella nell’editoriale della rivista, dimenticate a vantaggio delle città . Allo stesso modo venivano meno le speranze di costruire una sinistra unitaria.

“Non c’è dubbio – prosegue Vella – che la Questione Meridionale va oggi completamente rifondata non potendosi riproporre più né nei termini liberali di “Nord e Sud”, né in quelli della storica sinistra socialcomunista. Non disconoscendo i meriti di quelle che rappresentarono, allora, le due grandi visioni possibili del problema, oggi la Questione va trattata nei termini imposti dalla contemporaneità. Liberi da schematismi ideologici, intendiamo guardare, da una parte: alla storia (tutta particolare nell’ambito della nazione Italia) del territorio meridionale per riscoprirne l’identità e, con essa, la cultura e la potenzialità; dall’altra parte al Mediterraneo e alle sue occasioni relazionali. Due strade che nessun meridionalismo ha ancora sufficientemente intrapreso”.

Un progetto che non può non ripartire dalle voci di chi come Rocco Scotellaro o Nicola Vella seppero credere nella possibilità di una rinascita nel Sud, a partire dalle risorse del territorio, proprio come fece Vella con una battaglia conclusasi con la nascita del Consorzio Idrico dell’Alta Irpinia o ancora con la rivendicazione dei contadini dei loro diritti alla terra. “I governi di queste comunità locali, e non solo, - scrive Emilio De Lorenzo, presidente del centro studi Nicola Vella – sono oggi chiamati a sollecitare e sostenere una profonda riflessione sul mancato sviluppo, sulla contingente condizione dell’Alta Irpinia e di tutto il Sud, sull’inarrestabile declino di un territorio depotenziato, abbandonato a sé stesso, dopo il fallimento del processo di industrializzazione, la fine della stagione degli interventi straordinari, dopo le nuove inefficaci politiche di sviluppo messe in campo negli anni novanta e la progressiva desertificazione a cui si sta assistendo passivamente richiamando la centralità di un dibattito politico-culturale su Mezzogiorno e zone interne, senza per questo riproporre necessariamente il competitivo dualismo tra osso e polpa, ma recuperando una lettura critica del territorio centrata sull’analisi storica, proiettata sulle cogenti problematiche del presente.

Per questo salutiamo con favore gli sviluppi degli Stati Generali dell’Alta Irpinia, per rifiutare quella che giustamente il Procuratore della Repubblica di S. Angelo chiama autonomia”. A guidare il progetto la stessa tensione morale, politica e culturale che animò la battaglia di Nicola Vella, sindaco della prima amministrazione democratica di Lacedonia, ma anche la consapevolezza che il Sud deve tornare ad essere soggetto e non oggetto del pensiero, svolgendo un ruolo attivo nella rielaborazione di un nuovo Meridionalismo.

E vanno certamente in questa direzione i contributi che arricchiscono il primo numero, come quello di Abdon Alinovi, che sottolinea la scelta coraggiosa dei redattori di “Nuove Cronache meridionali”, ribadendo il ruolo centrale svolto dalla rivista meridionalista nel tentativo di costruire nel dopoguerra un progetto politico unitario. Alinovi non ha dubbi, il paese e soprattutto il Sud hanno bisogno di un forte partito laico di sinistra e democratico, con un’anima socialista cristiane liberale. Ma al tempo stesso la Sinistra non può sottrarsi al compito di fare i conti con le disuguaglianze legate al processo di globalizzazione, con la crisi del sistema capitalistico, a partire dalla difesa dei diritti dei lavoratori.

A ribadire le speranze di riscatto del Sud, a partire dalla sua ricchezza culturale ed intellettuale è Luigi De Magistris, altra firma illustre di questo primo numero “Seppur privi di capitale economico, il capitale culturale può essere una fondamentale risorsa per rilanciare tutto il Sud. Napoli deve essere una città-laboratorio glocal per due ordini di motivi. In primis, perché è una città del Mezzogiorno. E’ da Sud e da tutti i Sud del mondo che deve partire una sfida intellettuale contro una globalizzazione dei mercati finanziari che ha comportato la mercificazione dell’uomo e dell’esistenza. Il Sud deve rimettere al centro del dibattito politico quei valori di humanitas che il mercato ha marginalizzato….Il secondo motivo per essere protagonisti è che da qui – come anche da altri Mezzogiorni – si pensi a Porto Alegre – è partita la sfida dei beni comuni. La sfida cioè per un’altra economia possibile”.

Filippo Barbera si sofferma, invece, sulla crisi del sistema europeo che sembra delineare sempre di più uno scenario contraddistinto da una marginalizzazione degli stati più deboli all’interno della stessa Europa. Squilibri che appaiono “l’esito ineluttabile dell’ineguale sviluppo economico e territoriale del capitalismo europeo ove qualunque strategia di fuoriuscita dal sottosviluppo dei paesi e delle regioni più arretrate che passi attraverso politiche di aggiustamenti strutturali e strette di bilancio, nell’affannante quanto impossibile rincorsa delle economie più sviluppate, riuscirà difficilmente a condurre paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna e il Portogallo allo stesso livello del Pil di paesi come Germania o la Finlandia”.

Il pericolo è che la crisi del capitalismo europeo possa far sentire con forza i suoi effetti proprio nel Mezzogiorno d’Italia, aggravando fenomeni come l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario o ancora l’assenza di politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico. Di qui la necessità di una nuova questione meridionale che indichi vie d’uscita concrete dalla crisi, sperimentando una diversa idea di economia e sviluppo, senza trascurare la prospettiva di un possibile sfaldamento dell’unione monetaria europea. Di grande interesse anche i contributi di Nino Lisi su “Società globali e locali. Comunità e altra modernità” che delinea il ruolo strategico a cui è chiamata la società civile nella costruzione di nuove democrazie comunitarie, che portino a un rinnovamento profondo della politica mentre Luca Meldolesi auspica un federalismo democratico da attuare a tutti i livelli della vita collettiva ed istituzionale, Ciro Raia ricorda la figura di Gilberto Marselli al fianco di Manlio Rossi Doria nell’attuazione della Riforma agraria in Calabria e poi nella campagna elettorale per conquistare un posto in Senato condotta in Alta Irpinia. Ed è proprio Marselli a restituire lo spirito dei meridionalisti come Rossi Doria e Scotellaro “Noi vivevamo un’esperienza unica; non eravamo schierati con nessun partito; eravamo sicuri di essere solo in una collocazione politica, meridionalistica e di sinistra”.

Vincenzo Gulli consegna invece una piccola storia economica del Sud dal periodo preunitario ad oggi, Emma Buondonno si sofferma su “Nuove città per un nuovo Mezzogiorno” a partire dalla necessità, nella progettazione degli spazi urbani, di conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, Paolo Saggese analizza la subalternità che ancora patisce la letteratura del Sud, evidente anche nell’esclusione dei poeti meridionali dai programmi scolastici nazionali. Da sottolineare anche un’interessante intervista a Pino Aprile che chiarisce il significato della protesta dei Forconi, collocandola nel processo in atto di graduale presa di coscienza da parte del Mezzogiorno della propria storia e dei propri diritti negati “Il Sud sa di essere stato un paese industriale distrutto con la forza all’arrivo dei Savoia. Sa che non era arretrato o oppresso o povero…Sa che è stato educato a sentirsi sbagliato, sporco, arretrato. E sa che negli ultimi 150 anni c’è stata una sistematica operazione economica di abbattimento delle sue infrastrutture a partire dai treni”.



Fonte: Corriere dell'Irpinia

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