sabato 26 marzo 2011

Banca del Sud – Affare del Nord

di Lino Patruno


Per favore, fateci capire sulla Banca del Sud. Ci vogliono entrare le Banche popolari del Nord, e allora uno dice: finalmente si sono convinti che al Sud si può lavorare bene. Poi però si apprende che pretendono il 60 per cento: cioè appropriarsene.

Le Banche popolari del Nord sono quelle che curano gli interessi delle piccole e medie im­prese settentrionali. Atroce sospetto: la Banca del Sud cavallo di Troia per venire ancòra una volta a fare affari al Sud. Magari come 150 anni fa, quando vennero per “portare” la libertà e finirono per “portarsi” il territorio.

Ma a pensare male si fa peccato. Poi però si apprende inoltre che il candidato alla guida di questa Banca del Sud è Massimo Pon­zellini, presidente della Banca popolare di Mi­lano, città più vicina alle Alpi che al Me­diterraneo, anche se, udite udite, è la città che ospita la Conferenza sul Mediterraneo. De­vono aver scambiato l’acqua salata con la ne­ve. Merito principale di Ponzellini, oltre a tutto il suo curriculum vitae ecc. ecc., essere gradito a tal Umberto Bossi, che così si can­dida a mettersi alla testa anche del Mezzo­giorno. Bisogna però ammirare la coerenza storica. Anche la Cassa per il Mezzogiorno fu una Cassa per il Mezzogiorno ma fece tornare quasi tutti i soldi al Nord: Cassa per il Set­tentrione. Una partita di giro per l’acquisto di prodotti del Nord, per i lavori pubblici che le imprese del Nord vennero a eseguire al Sud, per gli incentivi che le medesime si presero al Sud senza che nessuno controllasse mai se i capannoni che innalzavano diventavano in­dustrie (si dovrebbe organizzare un viaggio nei cimiteri meridionali delle industrie mai nate).

Coerenza storica ma anche continuità sto­rica. Nei giorni scorsi, “La Stampa” di Torino ha avuto l’ammirevole onestà di riportare quanto ogni anno il Nord esporta al Sud: circa il 70 per cento della sua produzione. Se ci aggiungiamo i servizi (esempio la spesa delle Regioni meridionali per i ricoveri al Nord) e i costi dell’emigrazione (un laureato costa al Sud circa 100 mila euro e ne emigrano 80 mila all’anno), si arriva a 96 miliardi di euro che il Sud trasferisce ogni anno al Nord.

Dal Nord al Sud scendono invece 50 miliardi all’anno (il famoso “Sacco del Nord”). Anzi non scendono dal Nord al Sud, ma da chi è più

Ministro on. Umberto Bossi

ricco e paga più tasse (diciamo) a chi è meno ricco: scendono insomma anche da un lom­bardo benestante a un lombardo malestante. Principio di solidarietà alla base di tutti i moderni Stati democratici. Anche se fa dire al suddetto Bossi che il Sud vive a spese del Nord (titolo della “Padania” per la festa dell’unità: “Il Nord paga, il resto d’Italia festeggia”).

Il Sud si deve fare restituire 46 miliardi all’anno. Anzi di più. Perché non solo nel frattempo la spesa pubblica dello Stato con­tinua a essere maggiore al Nord (lo dice il ministero di Tremonti). Ma bisogna aggiun­gerci i 25 miliardi (almeno) di fondi Fas de­stinati appunto alle aree svantaggiate e finiti invece a coprire il taglio dell’Ici in tutt’Italia, la cassa integrazione soprattutto per le aziende del Nord, le multe ai lattivendoli padani che hanno prodotto più del pattuito fregando per primi i colleghi altrettanto padani. Ma per loro Bossi ha un debole.

Perciò crede ancora alla Befana chi teme che la Lega Nord voglia la secessione stac­candosi dal resto d’Italia. Saranno un po’ ru­stici ma non fessi. L’articolo uno del loro sta­tuto parla di “indipendenza” della Padania, cioè appunto di secessione. Ma non aggiunge se deve essere secessione statale o economica. E’ sufficiente quella economica. Cioè quella che si sta realizzando e sarà definitiva col federalismo: ciascuno si tiene il suo. Ma già il Nord, come abbiamo visto, si tiene quello del Sud. Il quale starà ancòra peggio perché, es­sendo più debole, non potrà che aumentare le tasse per dare almeno stessi asili e bus di ora.

E però la parola d’ordine è la solita: col federalismo il Sud starà meglio. Bisognerebbe sospettarne solo perché lo dicono Calderoli e compagni, notori malefattori del Sud. Il Sud dovrebbe stare meglio perché si dovrebbe go­vernare meglio. Detto da chi, col Paese terzo indebitato del mondo, continua ogni anno ad aumentare la spesa pubblica invece di dimi­nuirla.

Inutile aggiungerci contorni. Caro carbu­rante: le addizionali regionali penalizzano il Sud. Assicurazione obbligatoria auto: il 50 per cento in più di costo al Sud perché, teorizzano, più a rischio truffe (ma anche se uno non ha mai fatto incidenti paga di più rispetto a uno altrettanto “buono” del Nord). Ci sono troppi alpini meridionali, mandiamoli via. E gli insegnanti meridionali al Nord devono cedere il posto a quelli locali anche se questi sono so­mari e loro bravi. Infine viene il cantante Grignani a Bari e di fronte a un impianto audio difettoso che il suo stesso staff aveva controllato dice: siamo in Puglia non a Ber­gamo. Anzi Berghèm.

da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 25 marzo 2011

www.linopatruno.com


Fonte:Onda del Sud


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di Lino Patruno


Per favore, fateci capire sulla Banca del Sud. Ci vogliono entrare le Banche popolari del Nord, e allora uno dice: finalmente si sono convinti che al Sud si può lavorare bene. Poi però si apprende che pretendono il 60 per cento: cioè appropriarsene.

Le Banche popolari del Nord sono quelle che curano gli interessi delle piccole e medie im­prese settentrionali. Atroce sospetto: la Banca del Sud cavallo di Troia per venire ancòra una volta a fare affari al Sud. Magari come 150 anni fa, quando vennero per “portare” la libertà e finirono per “portarsi” il territorio.

Ma a pensare male si fa peccato. Poi però si apprende inoltre che il candidato alla guida di questa Banca del Sud è Massimo Pon­zellini, presidente della Banca popolare di Mi­lano, città più vicina alle Alpi che al Me­diterraneo, anche se, udite udite, è la città che ospita la Conferenza sul Mediterraneo. De­vono aver scambiato l’acqua salata con la ne­ve. Merito principale di Ponzellini, oltre a tutto il suo curriculum vitae ecc. ecc., essere gradito a tal Umberto Bossi, che così si can­dida a mettersi alla testa anche del Mezzo­giorno. Bisogna però ammirare la coerenza storica. Anche la Cassa per il Mezzogiorno fu una Cassa per il Mezzogiorno ma fece tornare quasi tutti i soldi al Nord: Cassa per il Set­tentrione. Una partita di giro per l’acquisto di prodotti del Nord, per i lavori pubblici che le imprese del Nord vennero a eseguire al Sud, per gli incentivi che le medesime si presero al Sud senza che nessuno controllasse mai se i capannoni che innalzavano diventavano in­dustrie (si dovrebbe organizzare un viaggio nei cimiteri meridionali delle industrie mai nate).

Coerenza storica ma anche continuità sto­rica. Nei giorni scorsi, “La Stampa” di Torino ha avuto l’ammirevole onestà di riportare quanto ogni anno il Nord esporta al Sud: circa il 70 per cento della sua produzione. Se ci aggiungiamo i servizi (esempio la spesa delle Regioni meridionali per i ricoveri al Nord) e i costi dell’emigrazione (un laureato costa al Sud circa 100 mila euro e ne emigrano 80 mila all’anno), si arriva a 96 miliardi di euro che il Sud trasferisce ogni anno al Nord.

Dal Nord al Sud scendono invece 50 miliardi all’anno (il famoso “Sacco del Nord”). Anzi non scendono dal Nord al Sud, ma da chi è più

Ministro on. Umberto Bossi

ricco e paga più tasse (diciamo) a chi è meno ricco: scendono insomma anche da un lom­bardo benestante a un lombardo malestante. Principio di solidarietà alla base di tutti i moderni Stati democratici. Anche se fa dire al suddetto Bossi che il Sud vive a spese del Nord (titolo della “Padania” per la festa dell’unità: “Il Nord paga, il resto d’Italia festeggia”).

Il Sud si deve fare restituire 46 miliardi all’anno. Anzi di più. Perché non solo nel frattempo la spesa pubblica dello Stato con­tinua a essere maggiore al Nord (lo dice il ministero di Tremonti). Ma bisogna aggiun­gerci i 25 miliardi (almeno) di fondi Fas de­stinati appunto alle aree svantaggiate e finiti invece a coprire il taglio dell’Ici in tutt’Italia, la cassa integrazione soprattutto per le aziende del Nord, le multe ai lattivendoli padani che hanno prodotto più del pattuito fregando per primi i colleghi altrettanto padani. Ma per loro Bossi ha un debole.

Perciò crede ancora alla Befana chi teme che la Lega Nord voglia la secessione stac­candosi dal resto d’Italia. Saranno un po’ ru­stici ma non fessi. L’articolo uno del loro sta­tuto parla di “indipendenza” della Padania, cioè appunto di secessione. Ma non aggiunge se deve essere secessione statale o economica. E’ sufficiente quella economica. Cioè quella che si sta realizzando e sarà definitiva col federalismo: ciascuno si tiene il suo. Ma già il Nord, come abbiamo visto, si tiene quello del Sud. Il quale starà ancòra peggio perché, es­sendo più debole, non potrà che aumentare le tasse per dare almeno stessi asili e bus di ora.

E però la parola d’ordine è la solita: col federalismo il Sud starà meglio. Bisognerebbe sospettarne solo perché lo dicono Calderoli e compagni, notori malefattori del Sud. Il Sud dovrebbe stare meglio perché si dovrebbe go­vernare meglio. Detto da chi, col Paese terzo indebitato del mondo, continua ogni anno ad aumentare la spesa pubblica invece di dimi­nuirla.

Inutile aggiungerci contorni. Caro carbu­rante: le addizionali regionali penalizzano il Sud. Assicurazione obbligatoria auto: il 50 per cento in più di costo al Sud perché, teorizzano, più a rischio truffe (ma anche se uno non ha mai fatto incidenti paga di più rispetto a uno altrettanto “buono” del Nord). Ci sono troppi alpini meridionali, mandiamoli via. E gli insegnanti meridionali al Nord devono cedere il posto a quelli locali anche se questi sono so­mari e loro bravi. Infine viene il cantante Grignani a Bari e di fronte a un impianto audio difettoso che il suo stesso staff aveva controllato dice: siamo in Puglia non a Ber­gamo. Anzi Berghèm.

da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 25 marzo 2011

www.linopatruno.com


Fonte:Onda del Sud


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