Di Giordano Bruno Guerri
Il primogenito, Otto, è morto ieri - quasi centenario - dopo essere stato per ben 85 anni aspirante al trono, imperatore di un impero che non c’era più.
I suoi mancati sudditi austriaci oggi lo piangono in coro, con segni palesi di vero lutto. E non certo per quella sua faccia buona da Geppetto colto e internazionale.
Piangono la morte di un Asburgo, il rappresentante di una casata che per noi è quella del «Barbaro invasor», mentre per loro è stata una grande dinastia che li ha resi un grande popolo.
Viene da chiedersi perché niente di simile accade o accadrà, da noi, con i Savoia. Eppure riuscirono finalmente a unificare l’Italia, eppure anche i piccoli Savoia hanno sofferto l’esilio. Ma la differenza di trattamento non dipende da fatti storici: non c’entra che nel Lombardo-Veneto si ricordi ancora la buona amministrazione di Francesco Giuseppe; non c’entra che Otto si sia opposto all’Anschluss nazista che voleva conquistare l’Austria, nel 1938, proprio nell’anno in cui i Savoia firmavano le leggi razziali fasciste.
Credo che la differenza stia nel fatto che gli Asburgo amavano il loro popolo, i Savoia no: «L’Italia è un carciofo che si mangia a foglia a foglia», era il loro motto nella prima metà dell’Ottocento. Se la mangiarono in un solo boccone dopo che Garibaldi e Cavour gliel’avevano conquistata, e la insanguinarono subito con una guerra civile (la cosiddetta lotta al brigantaggio) che aggravò, invece di risolvere, i problemi meridionali.
I guasti più dannosi all’immagine della loro casata, però, li hanno fatti gli ex piccoli esiliati, Vittorio Emanuele e Emanuele Filiberto. Il primo ha brillato con un colpo di fucile sparato da uno yacht e il suo senso degli affari; il secondo con la leggiadria danzerina e la compiaciuta ignoranza.
Riammessi in Italia, hanno chiesto risarcimenti e seggi parlamentari.
Invece Otto il seggio se lo conquistò per vent’anni filati, nel parlamento europeo, lavorando sul serio. Perché era un Asburgo.
I Savoia, oltre a essere Savoia, non si sono minimamente interessati a apparire - non dico essere - migliori di quel che sono, non si sono presi cura dell’immagine propria e di quella dinastica.
Perché non hanno alcun interesse a ciò che gli italiani pensano di loro.
Li si ricambia, evviva, con la stessa moneta.
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