
di LINO PATRUNO
Natale è il tempo del ritorno dei ragazzi. O quello, col poeta Montale,
Dell’unità si è parlato, si parla e si riparlerà per i 150 anni. Ma il lavoro che non c’è continua a pesare come una ferita nel gran bel Paese in cui un giovane su tre al Sud non ce l’ha. In cui il 10% della popolazione detiene il 45% di tutta la ricchezza, roba da repubblica delle banane. E in cui i fratelli d’Italia sono piuttosto fratellastri, se quello settentrionale ha un reddito del 40% in più di quello meridionale. Per completare l’incredibile Ingiustizia italiana.
Un tempo si chiamavano emigranti, da quando prendevano i piroscafi per
Ora è l’era di Internet. E i nostri ragazzi nascono col trolley alla mano e il viaggio nel sangue. Vanno e vengono. Conoscono le lingue, prenotano
Ma dalle Americhe salvarono l’Italia. Le loro rimesse, i soldi che mandavano a casa, fecero schizzare il valore della lira di carta al di sopra di quella d’oro, mai più avvenuto. Questo non preservò da una feroce tassazione quei denari della fatica e del dolore. E c’è qualche storico nordista odierno che continua a scriverne come traditori e furbi: per stare meglio, dicono, fecero stare peggio gli altri. Ovviamente una infamia, in un’Italia disunita che li costrinse ad andarsene. Ed erano i più forti e capaci, ciò che fece pagare al Sud anche questo impoverimento.
Si è calcolato che le loro rimesse siano state cinquanta volte più alte di tutta la spesa della Cassa per il Mezzogiorno. E anche ora è così, il Sud perde un patrimonio immenso, proprio quello che gli servirebbe per dare qualità ai suoi sforzi di sviluppo. Hanno tutti un titolo di studio, in gran parte laureati, vanno via i cervelli mentre prima andavano via le braccia. E anche se sono più randagi che legati al filo d’erba, gente di mondo, è uno scandalo anzitutto umanitario e poi economico che siano costretti a farlo. Come una fatalità.
Anche ora non è vano ripetere un calcolo che li riguarda. Ne vanno via 50 mila all’anno. E per capire ciò che il Sud regala, basta partire dalla spesa sostenuta dalle famiglie e dalle università meridionali per formarli: fra i 50 mila e i 100 mila euro ciascuno. Senza contare che chi va a lavorare altrove, deve cambiare residenza, spendendo e pagando anche le tasse lì. Il Sud si sacrifica per loro, altri ne beneficiano graziosamente. Anzi chiamandoli pure terroni.
Quando buona parte dell’attuale lavoro del mondo si farà via Internet, allora forse non partiranno più. Perché allora quei cervelli ora pendolari potranno rimanere a casa. Varrà più il loro talento davanti a una tastiera ovunque sia, che un territorio attrezzato per la produzione: proprio quel territorio non competitivo che ora li manda a cercare altrove. Ma nel frattempo una generazione avrà pagato ancòra un prezzo, una generazione di passaggio dal fisso al mobile e non solo telefonicamente. La generazione della precarietà spacciata per flessibilità. La generazione che non può prendere famiglia e casa perché nessuno sa dopo sei mesi di contratto cosa succede.
Ma anche le feste sono cambiate, quei ragazzi staranno un po’ in famiglia ma poi via con gli amici prima di riempire di nuovo il trolley con i jeans dei giramondo e la frittata della mamma. Forse poco a poco perderanno il richiamo della propria terra, diventeranno altro anche da sé e dai loro desideri di un tempo. E ricorderanno il luogo dal quale sono andati via come quello dei curriculum e dell’attesa di una chiamata. Così il Sud sarà sempre meno speranza dei giovani e sempre più delusione dei vecchi. Sarà un addio e un silenzio.
www.linopatruno.com
Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno del 24/12/2010
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