giovedì 27 gennaio 2022

Gettati nel mucchio dei vinti

 di Natale Cuccurese

“Nella prefazione al suo più famoso romanzo, I Malavoglia, Giovanni Verga espose una duplice visione del progresso: da un lato, un generale avanzamento del benessere e delle opportunità, dall’altra un susseguirsi di rivolgimenti sociali che tende a travolgere i più deboli. I Malavoglia sono una famiglia laboriosa di pescatori, con una barca simbolicamente chiamata «Provvidenza». A dispetto della loro intraprendenza, la «fiumana» del progresso finisce tuttavia per sopraffarli: una serie di eventi imprevedibili getta i personaggi nel mucchio dei «vinti”.

Inizia così un approfondimento a firma Maurizio Ferrera sull’inserto domenicale del “Corriere della Sera”- “La Lettura”, in prossimità del 27 gennaio centenario della scomparsa di Giovanni Verga. Una visione disincantata della società, che non dà molta speranza ai “vinti” se non quella di affidarsi alla “provvidenza”, visto che Verga registra nel racconto oggettivamente i fatti, senza che il narratore sovrapponga ad essi le proprie opinioni, ma utile socialmente e mediaticamente, nel mettere in luce le condizioni di vita degli umili, degli emarginati e diseredati, delle classi sociali più povere e sfruttate dell’Italia meridionale, in uno scontro circolare ma senza sbocchi fra modernità e antichi valori, ma fornendo l’assist,  vent’anni dopo la pubblicazione dei Malavoglia, a Giuseppe Pellizza da Volpedo per riprendere la metafora della fiumana nel suo celebre quadro Il Quarto Stato”. “Anche in questo caso si tratta di perdenti, ma non più rassegnati alla miseria ed anzi impegnati a combatterla collettivamente. Ripudiando sfortuna o destino e convinti che il loro “stato” dipenda esclusivamente dai rapporti di potere fra le classi. Se Verga ha il merito di sdoganare lo stato miserabile degli ultimi, Pellizza da Volpedo indica con precisione la pretesa di inclusione nel mondo dei vincitori da parte degli oppressi”. Questi due aspetti sono stati fra loro sinergici nel corso del ‘900 portando ad una prima fase di rivolta, a Nord come a Sud, per combattere lo stato di miseria e di abietto sfruttamento da parte delle classi dominanti per poi sfociare nella seconda parte del secolo scorso, grazie alla Resistenza da cui discende la Costituzione, nella creazione dei sistemi pubblici di welfare e una maggiore pace sociale.

In segno di riconoscenza la Ministra Mariastella Gelmini, attuale “pasionaria” dell’Autonomia differenziata, durante il Governo Berlusconi IV non escluse Verga dai programmi didattici a differenza di altri autori meridionali  quali Gesualdo Bufalino, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, Salvatore Quasimodo, Matilde Serao, Anna Maria Ortese, con gravi ripercussioni sul piano culturale, visto che propone agli studenti una visione viziosa ed incompleta della letteratura italiana dato che, a parte Verga, Pirandello ed Elsa Morante, sono stati ben 17 gli scrittori meridionali cancellati dai programmi scolastici, palesando una netta esclusione di un pezzo significativo della cultura del nostro Paese. Confermando che quando si parla di “razzismo di Stato” nei confronti del Mezzogiorno il termine usato non è solo centrato ma persino moderato. Ma anche questo è un esempio della cancellazione che dal 1861 opprime i “vinti”, in questo caso quelli del Risorgimento.

 “Nel corso del Novecento, industrializzazione e mercato hanno moltiplicato la ricchezza, mentre il welfare state ha attutito l’impatto sociale dei cambiamenti”. Non è infatti un caso se l’unico momento di “miracolo economico” e di boom demografico l’Italia l’ha vissuto negli anni ’60, quando l’incontro fra due anime, quella democristiana clientelare e quella comunista più attenta agli aspetti sociali, si sono incontrate, pur marciando su binari paralleli e spesso conflittuali, ma nei fatti comunque remando, finchè han potuto, a favore dello sviluppo del Paese. Stagione poi bruscamente interrotta con la tragedia Moro. Una stagione, la sola, che non a caso ha visto costruire anche nel Mezzogiorno infrastrutture come mai prima e soprattutto dopo, visto quello che sta accadendo in questi mesi con le continue sottrazioni di risorse al Sud, a favore del Nord, dei fondi del Pnrr in aperto contrasto dalle indicazioni europee, volte ad un riequilibrio dello spaventoso differenziali economico ed infrastrutturale Nord/Sud e ha portato L’Ue a far sì che per l’Italia sia stata stanziata la quota più alta di fondi del Recovery Plan fra tutti i Paesi europei (191,5 Miliardi), ma che già si profila come l’ennesima occasione persa per il Mezzogiorno.

 Con la caduta del muro di Berlino, lo scenario è bruscamente cambiato, “la transizione post-industriale, la globalizzazione, la cosiddetta quarta rivoluzione tecnologica sono diventati i motori di una seconda “Grande Trasformazione”. La nascita della Lega Nord, la morte della DC e lo spostamento degli eredi del PCI nel campo liberista han fatto del tutto collassare quel bilanciamento, che pur fra mille contrasti aveva permesso di far raggiungere al Paese conquiste sociali e di crescita economica difficilmente replicabili.  “L’apertura economica e la globalizzazione impattano diversamente sulla struttura produttiva: penalizzano i vecchi settori, le piccole e piccolissime imprese, i territori geograficamente più periferici. La finanziarizzazione del capitalismo e la formazione di grandi conglomerati multinazionali moltiplicano invece le opportunità per i detentori di capitale”, unito all’entrata nella Unione Europea, con conseguente crisi di molte aziende nazionali unito alle privatizzazioni selvagge delle stesse e alle delocalizzazioni hanno comportato uno sbilanciamento totale di fondi nazionali e di risorse ed investimenti solo a favore del territori Locomotiva del Nord, nella fallace speranza di restare agganciati alle regioni europee più ricche. In poche parole si ripresenta una nuova “rivoluzione” per l’Italia, ma è solo quella che Salvemini definiva “Rivoluzione del ricco”, cioè utile solo a certe classi sociali e che già in passato sono state utili a determinare la nascita, crescita ed espansione del capitalismo di stampo padano e a danno dei territori “conquistati” dal nuovo Stato unitario e che con l’Autonomia differenziata potrebbe facilmente portare alla divisione del Paese.

Sotto altre spoglie, è un po’ la sindrome dei Malavoglia: la costante vulnerabilità esistenziale rispetto a eventi imprevedibili. E, come ai tempi di Pellizza da Volpedo, questa vulnerabilità è distribuita in modo fortemente diseguale. Le opportunità si concentrano in un «Primo Stato» di tecnocrati privilegiati, in grado di catturare un surplus di opzioni, mentre i rischi tendono sempre a concentrarsi nel “Quarto Stato”, spesso privo di risorse sufficienti e con alte probabilità di rimanere intrappolato nella deprivazione e nella marginalità che non a caso vede in questi giorni un aggravarsi della propria condizione che addirittura investe anche la scuola pubblica, da tempo chiaramente abbandonata e allo sbando, che si dibatte fra sottofinanziamento e privatizzazioni e ora con l’arrivo della “Secessione dei Ricchi” perderà inevitabilmente la propria connotazione di collante nazionale, di uniformità e universalità. Proprio in questi giorni la tragedia che ha investito un ragazzo di Udine impegnato in quella che è chiamata Alternanza scuola-lavoro fa ben capire come per questo Stato la crescita culturale dei cittadini è secondaria rispetto alla creazione di sudditi che abbiano da subito introiettato la precarietà e subalternità, così da poterli sfruttare bestialmente come nella Londra dell’800 di Dickens. Le manganellate sulle testa degli studenti inferte dalla polizia il giorno dopo la tragedia confermano l’arroganza governativa e fanno ben capire come la deriva tecnocratica in atto sia pericolosa. Si palesa così la volontà da parte del potere politico, sempre più ademocratico, ad un eterno ritorno al passato, con una umanità travolta dalla «fiumana» del progresso senza la forza o gli strumenti per coglierne le (poche) opportunità in un opprimente senso della vita combattuta senza speranza giorno dopo giorno e che non a caso sta portando interi territori del Mezzogiorno, ma non solo, alla desertificazione demografica, alla fuga dei nuovi “vinti” verso l’estero in cerca di un futuro, visto che in Italia semplicemente non c’è e non c’è nessuna volontà di progettarlo dato il disinteresse totale dei circoli e camarille di potere finanziario, politico e mediaticoUn ritorno a Verga che ne certifica l’attualità. Assistiamo così a una pura e semplice, quasi compiaciuta, dissoluzione del Paese nel nulla di un passato che non passa e che ritorna come in un gioco dell’oca sempre allo stesso punto di partenza, stancamente ed inutilmente per i “vinti”.

Ciliegina sulla torta la pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione, provocando danni sociali enormi e creando un clima di allarme che le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale non avevano mai sperimentato. S’è diffusa un’incertezza assoluta sia livello individuale che collettivo. Come uscirne e come affrancare le generazioni dei “vinti” è l’obiettivo che una sinistra non compromessa unita ad un meridionalismo progressista devi darsi rapidamente al fine di una “Rivoluzione del cittadino”, non visto più nella sola forma di contribuente e/o consumatore come vorrebbe il racconto di politici e media, che possa dare un futuro credibile al Paese prima di una dissoluzione che appare inevitabile ed ormai dietro l’angolo.

Fonte: Transform!italia




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 di Natale Cuccurese

“Nella prefazione al suo più famoso romanzo, I Malavoglia, Giovanni Verga espose una duplice visione del progresso: da un lato, un generale avanzamento del benessere e delle opportunità, dall’altra un susseguirsi di rivolgimenti sociali che tende a travolgere i più deboli. I Malavoglia sono una famiglia laboriosa di pescatori, con una barca simbolicamente chiamata «Provvidenza». A dispetto della loro intraprendenza, la «fiumana» del progresso finisce tuttavia per sopraffarli: una serie di eventi imprevedibili getta i personaggi nel mucchio dei «vinti”.

Inizia così un approfondimento a firma Maurizio Ferrera sull’inserto domenicale del “Corriere della Sera”- “La Lettura”, in prossimità del 27 gennaio centenario della scomparsa di Giovanni Verga. Una visione disincantata della società, che non dà molta speranza ai “vinti” se non quella di affidarsi alla “provvidenza”, visto che Verga registra nel racconto oggettivamente i fatti, senza che il narratore sovrapponga ad essi le proprie opinioni, ma utile socialmente e mediaticamente, nel mettere in luce le condizioni di vita degli umili, degli emarginati e diseredati, delle classi sociali più povere e sfruttate dell’Italia meridionale, in uno scontro circolare ma senza sbocchi fra modernità e antichi valori, ma fornendo l’assist,  vent’anni dopo la pubblicazione dei Malavoglia, a Giuseppe Pellizza da Volpedo per riprendere la metafora della fiumana nel suo celebre quadro Il Quarto Stato”. “Anche in questo caso si tratta di perdenti, ma non più rassegnati alla miseria ed anzi impegnati a combatterla collettivamente. Ripudiando sfortuna o destino e convinti che il loro “stato” dipenda esclusivamente dai rapporti di potere fra le classi. Se Verga ha il merito di sdoganare lo stato miserabile degli ultimi, Pellizza da Volpedo indica con precisione la pretesa di inclusione nel mondo dei vincitori da parte degli oppressi”. Questi due aspetti sono stati fra loro sinergici nel corso del ‘900 portando ad una prima fase di rivolta, a Nord come a Sud, per combattere lo stato di miseria e di abietto sfruttamento da parte delle classi dominanti per poi sfociare nella seconda parte del secolo scorso, grazie alla Resistenza da cui discende la Costituzione, nella creazione dei sistemi pubblici di welfare e una maggiore pace sociale.

In segno di riconoscenza la Ministra Mariastella Gelmini, attuale “pasionaria” dell’Autonomia differenziata, durante il Governo Berlusconi IV non escluse Verga dai programmi didattici a differenza di altri autori meridionali  quali Gesualdo Bufalino, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, Salvatore Quasimodo, Matilde Serao, Anna Maria Ortese, con gravi ripercussioni sul piano culturale, visto che propone agli studenti una visione viziosa ed incompleta della letteratura italiana dato che, a parte Verga, Pirandello ed Elsa Morante, sono stati ben 17 gli scrittori meridionali cancellati dai programmi scolastici, palesando una netta esclusione di un pezzo significativo della cultura del nostro Paese. Confermando che quando si parla di “razzismo di Stato” nei confronti del Mezzogiorno il termine usato non è solo centrato ma persino moderato. Ma anche questo è un esempio della cancellazione che dal 1861 opprime i “vinti”, in questo caso quelli del Risorgimento.

 “Nel corso del Novecento, industrializzazione e mercato hanno moltiplicato la ricchezza, mentre il welfare state ha attutito l’impatto sociale dei cambiamenti”. Non è infatti un caso se l’unico momento di “miracolo economico” e di boom demografico l’Italia l’ha vissuto negli anni ’60, quando l’incontro fra due anime, quella democristiana clientelare e quella comunista più attenta agli aspetti sociali, si sono incontrate, pur marciando su binari paralleli e spesso conflittuali, ma nei fatti comunque remando, finchè han potuto, a favore dello sviluppo del Paese. Stagione poi bruscamente interrotta con la tragedia Moro. Una stagione, la sola, che non a caso ha visto costruire anche nel Mezzogiorno infrastrutture come mai prima e soprattutto dopo, visto quello che sta accadendo in questi mesi con le continue sottrazioni di risorse al Sud, a favore del Nord, dei fondi del Pnrr in aperto contrasto dalle indicazioni europee, volte ad un riequilibrio dello spaventoso differenziali economico ed infrastrutturale Nord/Sud e ha portato L’Ue a far sì che per l’Italia sia stata stanziata la quota più alta di fondi del Recovery Plan fra tutti i Paesi europei (191,5 Miliardi), ma che già si profila come l’ennesima occasione persa per il Mezzogiorno.

 Con la caduta del muro di Berlino, lo scenario è bruscamente cambiato, “la transizione post-industriale, la globalizzazione, la cosiddetta quarta rivoluzione tecnologica sono diventati i motori di una seconda “Grande Trasformazione”. La nascita della Lega Nord, la morte della DC e lo spostamento degli eredi del PCI nel campo liberista han fatto del tutto collassare quel bilanciamento, che pur fra mille contrasti aveva permesso di far raggiungere al Paese conquiste sociali e di crescita economica difficilmente replicabili.  “L’apertura economica e la globalizzazione impattano diversamente sulla struttura produttiva: penalizzano i vecchi settori, le piccole e piccolissime imprese, i territori geograficamente più periferici. La finanziarizzazione del capitalismo e la formazione di grandi conglomerati multinazionali moltiplicano invece le opportunità per i detentori di capitale”, unito all’entrata nella Unione Europea, con conseguente crisi di molte aziende nazionali unito alle privatizzazioni selvagge delle stesse e alle delocalizzazioni hanno comportato uno sbilanciamento totale di fondi nazionali e di risorse ed investimenti solo a favore del territori Locomotiva del Nord, nella fallace speranza di restare agganciati alle regioni europee più ricche. In poche parole si ripresenta una nuova “rivoluzione” per l’Italia, ma è solo quella che Salvemini definiva “Rivoluzione del ricco”, cioè utile solo a certe classi sociali e che già in passato sono state utili a determinare la nascita, crescita ed espansione del capitalismo di stampo padano e a danno dei territori “conquistati” dal nuovo Stato unitario e che con l’Autonomia differenziata potrebbe facilmente portare alla divisione del Paese.

Sotto altre spoglie, è un po’ la sindrome dei Malavoglia: la costante vulnerabilità esistenziale rispetto a eventi imprevedibili. E, come ai tempi di Pellizza da Volpedo, questa vulnerabilità è distribuita in modo fortemente diseguale. Le opportunità si concentrano in un «Primo Stato» di tecnocrati privilegiati, in grado di catturare un surplus di opzioni, mentre i rischi tendono sempre a concentrarsi nel “Quarto Stato”, spesso privo di risorse sufficienti e con alte probabilità di rimanere intrappolato nella deprivazione e nella marginalità che non a caso vede in questi giorni un aggravarsi della propria condizione che addirittura investe anche la scuola pubblica, da tempo chiaramente abbandonata e allo sbando, che si dibatte fra sottofinanziamento e privatizzazioni e ora con l’arrivo della “Secessione dei Ricchi” perderà inevitabilmente la propria connotazione di collante nazionale, di uniformità e universalità. Proprio in questi giorni la tragedia che ha investito un ragazzo di Udine impegnato in quella che è chiamata Alternanza scuola-lavoro fa ben capire come per questo Stato la crescita culturale dei cittadini è secondaria rispetto alla creazione di sudditi che abbiano da subito introiettato la precarietà e subalternità, così da poterli sfruttare bestialmente come nella Londra dell’800 di Dickens. Le manganellate sulle testa degli studenti inferte dalla polizia il giorno dopo la tragedia confermano l’arroganza governativa e fanno ben capire come la deriva tecnocratica in atto sia pericolosa. Si palesa così la volontà da parte del potere politico, sempre più ademocratico, ad un eterno ritorno al passato, con una umanità travolta dalla «fiumana» del progresso senza la forza o gli strumenti per coglierne le (poche) opportunità in un opprimente senso della vita combattuta senza speranza giorno dopo giorno e che non a caso sta portando interi territori del Mezzogiorno, ma non solo, alla desertificazione demografica, alla fuga dei nuovi “vinti” verso l’estero in cerca di un futuro, visto che in Italia semplicemente non c’è e non c’è nessuna volontà di progettarlo dato il disinteresse totale dei circoli e camarille di potere finanziario, politico e mediaticoUn ritorno a Verga che ne certifica l’attualità. Assistiamo così a una pura e semplice, quasi compiaciuta, dissoluzione del Paese nel nulla di un passato che non passa e che ritorna come in un gioco dell’oca sempre allo stesso punto di partenza, stancamente ed inutilmente per i “vinti”.

Ciliegina sulla torta la pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione, provocando danni sociali enormi e creando un clima di allarme che le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale non avevano mai sperimentato. S’è diffusa un’incertezza assoluta sia livello individuale che collettivo. Come uscirne e come affrancare le generazioni dei “vinti” è l’obiettivo che una sinistra non compromessa unita ad un meridionalismo progressista devi darsi rapidamente al fine di una “Rivoluzione del cittadino”, non visto più nella sola forma di contribuente e/o consumatore come vorrebbe il racconto di politici e media, che possa dare un futuro credibile al Paese prima di una dissoluzione che appare inevitabile ed ormai dietro l’angolo.

Fonte: Transform!italia




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