domenica 25 novembre 2018

26 NOVEMBRE 2018 - SCOMPARE NEL SILENZIO DI ISTITUZIONI E MEDIA IL BANCO DI NAPOLI: UNA ”RAPINA” BEN CONFEZIONATA CHE RENDE IL SUD ANCORA PIÙ INDIFESO ED ANCORA PIÙ COLONIA


Di Natale Cuccurese

Cala il sipario sul Banco di Napoli, che da domani 26 novembre verra’ definitivamente incorporato in Intesa Sanpaolo. Non scomparira’ pero’ il logo che restera’ nelle insegne delle filiali.

Fondato nel 1539, il Banco di Napoli è una delle più antiche banche d’Italia, segnando tra alterne vicende la storia del Paese. Nel 1794, Ferdinando IV di Borbone riunì tutti i pubblici banchi in un unico Banco nazionale di Napoli. Nel dicembre del 1808, Gioacchino Murat divenuto re di Napoli, tentò di creare un banco sotto forma di società per azioni sul modello della Banca di Francia. Successivamente, dal 1861 al 1926 è stato istituto di emissione e definito Istituto di credito di diritto pubblico. Le sue origini risalgono ai cosiddetti banchi pubblici dei luoghi pii, sorti all’ombra del Vesuvio tra il XVI e il XVII secolo, in particolare ad un monte di pietà, il Banco della Pietà, fondato nel 1539 con lo scopo filantropico di concedere prestiti su pegno ai cittadini senza interessi. Prima ancora che la crisi caratterizzasse la storia recente, nel 1994 il Banco fu investito da una fase difficile causata da prestiti finiti in sofferenza; una situazione che determinò due anni più tardi l’intervento dello Stato con la nascita della Sga (1997) con 12.378 miliardi di vecchie lire di questi crediti e la privatizzazione tramite asta pubblica: il controllo fu svenduto nel 1997 alla cordata INA-BNL (Banca Nazionale del Lavoro) per la ridicola cifra di 61,4 miliardi di lire (circa 30 milioni di euro), fu rivenduto nel novembre 2000 al Sanpaolo-Imi di Torino, poi confluito nel gruppo Intesa Sanpaolo. Il 31 dicembre 2002 il Banco di Napoli fu incorporato nel Sanpaolo-Imi. La storia gloriosa del Banco di Napoli finì allora. I manager del Sanpaolo di Torino fecero sparire anche il nome ed il logo della Banca napoletana tra il 2003 ed il 2007. Poi furono costretti a riprenderne il marchio, quando si accorsero della forza commerciale che aveva. Il logo, che riportava gli stemmi degli antichi banchi che si fusero tra loro per dare vita al Banco di Napoli, fu comunque sostituito da anonimi archi.
Passano gli anni e si arriva al 2016, quando in seguito a un decreto del ministero dell’Economia lo Stato esercita un vecchio diritto di pegno e compra da Intesa Sanpaolo il 100 per cento delle azioni della Sga. Dai cui bilanci risulta un utile di 500 milioni di euro, frutto del recupero del 90 per cento dei crediti che, a questo punto, dovrebbero essere considerati tutt’altro che inesigibili.

La Sga (società per la gestione delle attività, ndr) del Banco di Napoli ha infatti ottenuto enormi utili dalla riscossione dei crediti considerati inesigibili e grazie a questo profitto ha potuto creare il Fondo Atlante con cui sono state recentemente salvate le banche del Nord.
Un paradosso considerato anche un altro aspetto molto grave, quello relativo alle posizioni degli azionisti del Banco di Napoli che non hanno ottenuto alcun risarcimento nonostante l’enorme utile accumulato dalla Sga. Il tutto si consuma nel silenzio, complice, delle istituzioni.

E i dipendenti che fine faranno? Emigreranno!
Nel Gruppo Intesa Sanpaolo entro il 2020 “andranno in pensione, sfruttando gli scivoli previsti per i dipendenti bancari, una cifra pari a 9 mila addetti”. Quanti di questi saranno dipendenti del Sud? Almeno un terzo, forse di più, visto che Intesa Sanpaolo annuncia la chiusura di “circa 170 sportelli nei prossimi anni, soprattutto nelle aree meno redditizie di Campania e Calabria”.
A fronte di questi tagli, l’annuncio della Banca: “abbiamo deciso di assumere come Gruppo 1500 persone (…) una componente significativa sarà nelle regioni meridionali”.
La realtà è che poiché la legge di stabilità 2018 prevede il “Bonus Sud” (sgravio dei contributi al 100% per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani al di sotto dei 25 anni e disoccupati da almeno sei mesi) Intesa Sanpaolo ne approfitterà per ulteriori risparmi: qualche centinaio di nuove assunzioni al Sud, esenti da contributi, in cambio di 2-3 mila uscite. Ma dove andranno a lavorare i neo-assunti ? Lo anticipa Il Mattino (23.12.2017): “Per il personale l’incorporazione del Banco di Napoli vuol dire che i confini regionali dal 2018 non esisteranno più.” Ciò significa che “i trasferimenti non avverranno necessariamente a livello di area Sud ma nell’ambito dell’intero gruppo, quindi anche verso il Centro e il Nord (…)” saranno soggetti a “eventuali spostamenti “ (…) “soprattutto i più giovani e i 1500 che saranno assunti”.
A Napoli non resterà neanche una direzione generale. “Le circa 50 persone che vi lavorano dovrebbero essere dimezzate nel giro di un anno. Molte di loro matureranno i requisiti per andare in pensione. Le altre saranno trasferite”.

Una vicenda, questa del Banco di Napoli, emblematica delle ruberie che continuano senza sosta, da sempre, ai danni del Mezzogiorno. Ha dichiarato pochi giorni fa l’ex Presidente Napolitano:”Nel momento in cui si è ritenuto che il soddisfacimento di esigenze incontestabili di razionalità ed efficienza, in un contesto molto difficile per l’intero sistema bancario italiano, si debba spingere fino al punto di cancellare, almeno sul piano giuridico-formale, lo storico istituto di credito del Mezzogiorno, non posso non esprimere rammarico e preoccupazione. Ritengo che si debba rendere omaggio alla storia del Banco, che ha costituito una grande realtà rappresentativa dei ceti produttivi e del popolo dei risparmiatori delle regioni meridionali, dando – pur tra non pochi alti e bassi – contributi essenziali nel contrastare lo squilibrio tra Nord e Sud, ovvero la principale tara dello sviluppo nazionale. Non vorrei che questo doloroso commiato riflettesse un ulteriore indebolimento dell’attenzione e della comprensione, a livello nazionale, per gli attuali ancor oggi cosi’ gravi problemi di Napoli e del Mezzogiorno”.
E se lo dice anche lui vuol proprio dire che questa vicenda è, oltre che preoccupante, veramente scandalosa per come è avvenuta, almeno per chi conserva ancora un minimo di onestà intellettuale...

Fonti: Il Mattino, Editoriale il Giglio,Il Denaro, Affari Italiani



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Di Natale Cuccurese

Cala il sipario sul Banco di Napoli, che da domani 26 novembre verra’ definitivamente incorporato in Intesa Sanpaolo. Non scomparira’ pero’ il logo che restera’ nelle insegne delle filiali.

Fondato nel 1539, il Banco di Napoli è una delle più antiche banche d’Italia, segnando tra alterne vicende la storia del Paese. Nel 1794, Ferdinando IV di Borbone riunì tutti i pubblici banchi in un unico Banco nazionale di Napoli. Nel dicembre del 1808, Gioacchino Murat divenuto re di Napoli, tentò di creare un banco sotto forma di società per azioni sul modello della Banca di Francia. Successivamente, dal 1861 al 1926 è stato istituto di emissione e definito Istituto di credito di diritto pubblico. Le sue origini risalgono ai cosiddetti banchi pubblici dei luoghi pii, sorti all’ombra del Vesuvio tra il XVI e il XVII secolo, in particolare ad un monte di pietà, il Banco della Pietà, fondato nel 1539 con lo scopo filantropico di concedere prestiti su pegno ai cittadini senza interessi. Prima ancora che la crisi caratterizzasse la storia recente, nel 1994 il Banco fu investito da una fase difficile causata da prestiti finiti in sofferenza; una situazione che determinò due anni più tardi l’intervento dello Stato con la nascita della Sga (1997) con 12.378 miliardi di vecchie lire di questi crediti e la privatizzazione tramite asta pubblica: il controllo fu svenduto nel 1997 alla cordata INA-BNL (Banca Nazionale del Lavoro) per la ridicola cifra di 61,4 miliardi di lire (circa 30 milioni di euro), fu rivenduto nel novembre 2000 al Sanpaolo-Imi di Torino, poi confluito nel gruppo Intesa Sanpaolo. Il 31 dicembre 2002 il Banco di Napoli fu incorporato nel Sanpaolo-Imi. La storia gloriosa del Banco di Napoli finì allora. I manager del Sanpaolo di Torino fecero sparire anche il nome ed il logo della Banca napoletana tra il 2003 ed il 2007. Poi furono costretti a riprenderne il marchio, quando si accorsero della forza commerciale che aveva. Il logo, che riportava gli stemmi degli antichi banchi che si fusero tra loro per dare vita al Banco di Napoli, fu comunque sostituito da anonimi archi.
Passano gli anni e si arriva al 2016, quando in seguito a un decreto del ministero dell’Economia lo Stato esercita un vecchio diritto di pegno e compra da Intesa Sanpaolo il 100 per cento delle azioni della Sga. Dai cui bilanci risulta un utile di 500 milioni di euro, frutto del recupero del 90 per cento dei crediti che, a questo punto, dovrebbero essere considerati tutt’altro che inesigibili.

La Sga (società per la gestione delle attività, ndr) del Banco di Napoli ha infatti ottenuto enormi utili dalla riscossione dei crediti considerati inesigibili e grazie a questo profitto ha potuto creare il Fondo Atlante con cui sono state recentemente salvate le banche del Nord.
Un paradosso considerato anche un altro aspetto molto grave, quello relativo alle posizioni degli azionisti del Banco di Napoli che non hanno ottenuto alcun risarcimento nonostante l’enorme utile accumulato dalla Sga. Il tutto si consuma nel silenzio, complice, delle istituzioni.

E i dipendenti che fine faranno? Emigreranno!
Nel Gruppo Intesa Sanpaolo entro il 2020 “andranno in pensione, sfruttando gli scivoli previsti per i dipendenti bancari, una cifra pari a 9 mila addetti”. Quanti di questi saranno dipendenti del Sud? Almeno un terzo, forse di più, visto che Intesa Sanpaolo annuncia la chiusura di “circa 170 sportelli nei prossimi anni, soprattutto nelle aree meno redditizie di Campania e Calabria”.
A fronte di questi tagli, l’annuncio della Banca: “abbiamo deciso di assumere come Gruppo 1500 persone (…) una componente significativa sarà nelle regioni meridionali”.
La realtà è che poiché la legge di stabilità 2018 prevede il “Bonus Sud” (sgravio dei contributi al 100% per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani al di sotto dei 25 anni e disoccupati da almeno sei mesi) Intesa Sanpaolo ne approfitterà per ulteriori risparmi: qualche centinaio di nuove assunzioni al Sud, esenti da contributi, in cambio di 2-3 mila uscite. Ma dove andranno a lavorare i neo-assunti ? Lo anticipa Il Mattino (23.12.2017): “Per il personale l’incorporazione del Banco di Napoli vuol dire che i confini regionali dal 2018 non esisteranno più.” Ciò significa che “i trasferimenti non avverranno necessariamente a livello di area Sud ma nell’ambito dell’intero gruppo, quindi anche verso il Centro e il Nord (…)” saranno soggetti a “eventuali spostamenti “ (…) “soprattutto i più giovani e i 1500 che saranno assunti”.
A Napoli non resterà neanche una direzione generale. “Le circa 50 persone che vi lavorano dovrebbero essere dimezzate nel giro di un anno. Molte di loro matureranno i requisiti per andare in pensione. Le altre saranno trasferite”.

Una vicenda, questa del Banco di Napoli, emblematica delle ruberie che continuano senza sosta, da sempre, ai danni del Mezzogiorno. Ha dichiarato pochi giorni fa l’ex Presidente Napolitano:”Nel momento in cui si è ritenuto che il soddisfacimento di esigenze incontestabili di razionalità ed efficienza, in un contesto molto difficile per l’intero sistema bancario italiano, si debba spingere fino al punto di cancellare, almeno sul piano giuridico-formale, lo storico istituto di credito del Mezzogiorno, non posso non esprimere rammarico e preoccupazione. Ritengo che si debba rendere omaggio alla storia del Banco, che ha costituito una grande realtà rappresentativa dei ceti produttivi e del popolo dei risparmiatori delle regioni meridionali, dando – pur tra non pochi alti e bassi – contributi essenziali nel contrastare lo squilibrio tra Nord e Sud, ovvero la principale tara dello sviluppo nazionale. Non vorrei che questo doloroso commiato riflettesse un ulteriore indebolimento dell’attenzione e della comprensione, a livello nazionale, per gli attuali ancor oggi cosi’ gravi problemi di Napoli e del Mezzogiorno”.
E se lo dice anche lui vuol proprio dire che questa vicenda è, oltre che preoccupante, veramente scandalosa per come è avvenuta, almeno per chi conserva ancora un minimo di onestà intellettuale...

Fonti: Il Mattino, Editoriale il Giglio,Il Denaro, Affari Italiani



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