martedì 5 giugno 2012

Le verità scomode sugli Alleati - Su il "Roma" recensione dell'ultimo libro di Gigi di Fiore

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Fonte: Roma del 4 maggio pag.11



Di Vincenzo Nardiello


Il velo è strappato. Stavolta, però, è 
diverso. Lo squarcio è grande.
Chiunque può infilarci la testa e 
guardare - finalmente - cosa si nasconde
dall’altra parte. Nomi, date, 
luoghi, circostanze. E storie. Soprattutto
storie. Quelle cancellate da 
un’oleografia sulla Seconda guerra
mondiale troppe volte spacciata per 
verità rivelata; quelle negate al barbaro
grido di Brenno “guai ai vinti”; 
quelle sottratte all’ipocrisia e alla falsità
di chi, diviso il mondo in buoni 
e cattivi, ha condannato all’oblio decine
di migliaia di vittime e loro carnefici.
Storie di italiani offesi, violati 
e uccisi che adesso rivivono, raccolte
tutte insieme, sistematizzate nei 
loro drammi e miserie, nelle pagine
dense e a tratti struggenti di Gigi Di 
Fiore, inviato de “Il Mattino”, che ha
scritto una “Controstoria della Liberazione.
Le stragi e i crimini dimenticati 
degli Alleati nell’Italia del sud”

(Rizzoli), destinata a far discutere.
Di Fiore non teme le ombre. Anzi, le 
descrive minuziosamente, scoprendo
il volto nero degli angloamericani 
sotto la maschera dei liberatori: 
occupanti e conquistatori.
Protagonisti di crimini 
efferati. Dall’alleanza
con la mafia in Sicilia
alle fucilazioni a sangue
freddo di soldati italiani
arresisi; dai campi di
concentramento allestiti
dagli Alleati alle umiliazioni
patite dai nostri
soldati che, schieratisi al
fianco dei vecchi nemici,
furono considerati
combattenti di serie B;
dai bombardamenti indiscriminati 
sulle città 
del Sud ad armistizio firmato
che provocarono 
stragi di innocenti alle
donne stuprate: le tristemente
note “marocchinate”, prede di guerra
dei soldati “liberatori”.
E poi Napoli, la sua 
miseria, la sua borsa nera,
la città stracciona con madri e figlie
che si danno per fame, la camorra
in affari con i nuovi padroni:
gli angloamericani, ultimi di una lunga
serie. Finanche Pietro Secchia, 
importante dirigente del Pci, 
descrisse così le condizioni della città:
«Si vedeva abbastanza evidente che 
questo popolo era sceso al gradino
infimo della propria dignità. Nessuna 
meraviglia quindi ne sortiva quando veniva fermato un soldato 
angloamericano e richiesto di procurargli vino e signorine».
La Patria era morta davvero. E lo era 
ancora di più in quel Mezzogiorno
che già ottantatré anni prima aveva 
dovuto subire altre angherie, altre
violenze, altre invasioni. Risorgimentali 
le prime, “liberatrici” le seconde.
Un Mezzogiorno «dove i liberati 
- scrive Di Fiore - furono violati
dai liberatori, in una mistificazione 
dei ruoli tra aguzzini santificati e vittime zittite».
L’autore non dimentica la crudeltà, 
le condizioni orrende, i soprusi subiti
dagli italiani, civili e militari, che 
dissero no ai nemici diventati alleati
in una notte di settembre e per 
questo si ritrovarono nei campi di
Padula, Afragola, Aversa, Taranto, 
Coltano e altri ancora. Gli “inferni neri”,
dove civili e sacerdoti, ex politici 
e burocrati fascisti, funzionari e
semplici soldati della Rsi intrecciarono 
le loro vicende, miserie umane
e piccoli eroismi. Emergono così, tra 
tante, le figure dell’armatore napoletano
Achille Lauro o di Ezio Garibaldi, 
nipote di Giuseppe, o ancora dello
scrittore Ardengo Soffici. Ad Afragola, 
ricorda Di Fiore, i carcerieri inglesi «saltavano la distribuzione dei 
pasti o ricorrevano a percosse improvvise.
Metodi spicci per tenere 
soggiogati i detenuti e costringerli
ad ammettere colpe tutte da dimostrare
». Sistemi che ricordavano le

tristi pratiche dell’estorsione delle 
confessioni tanto in voga nella polizia politica sovietica.
Di Fiore riannoda i fili di una storia 
spezzata, tirandola fuori da quell’“armadio della vergogna” nel 
quale era stata confinata senza pietà
dai celebranti di un’ortodossia che 
non ammetteva eresie. Il merito di
questa “Controstoria della Liberazione” 
è proprio quello di far emergere
dalle viscere del nostro Meridione 
violentato la verità di fatti che
hanno profondamente segnato le popolazioni; 
le storie di decine di migliaia di famiglie che, dopo aver subito 
la violenza, sono state costrette
al silenzio dalla paura, dalla vergogna 
e dalla ragion di Stato del secondo
dopoguerra. Il calvario di una 
Nazione nella polvere, lacerata tra
due eserciti occupanti. Ricordare è 
un dovere. Perché l’infamia di chi fu
padrone in casa d’altri non cada in 
prescrizione.








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Fonte: Roma del 4 maggio pag.11



Di Vincenzo Nardiello


Il velo è strappato. Stavolta, però, è 
diverso. Lo squarcio è grande.
Chiunque può infilarci la testa e 
guardare - finalmente - cosa si nasconde
dall’altra parte. Nomi, date, 
luoghi, circostanze. E storie. Soprattutto
storie. Quelle cancellate da 
un’oleografia sulla Seconda guerra
mondiale troppe volte spacciata per 
verità rivelata; quelle negate al barbaro
grido di Brenno “guai ai vinti”; 
quelle sottratte all’ipocrisia e alla falsità
di chi, diviso il mondo in buoni 
e cattivi, ha condannato all’oblio decine
di migliaia di vittime e loro carnefici.
Storie di italiani offesi, violati 
e uccisi che adesso rivivono, raccolte
tutte insieme, sistematizzate nei 
loro drammi e miserie, nelle pagine
dense e a tratti struggenti di Gigi Di 
Fiore, inviato de “Il Mattino”, che ha
scritto una “Controstoria della Liberazione.
Le stragi e i crimini dimenticati 
degli Alleati nell’Italia del sud”

(Rizzoli), destinata a far discutere.
Di Fiore non teme le ombre. Anzi, le 
descrive minuziosamente, scoprendo
il volto nero degli angloamericani 
sotto la maschera dei liberatori: 
occupanti e conquistatori.
Protagonisti di crimini 
efferati. Dall’alleanza
con la mafia in Sicilia
alle fucilazioni a sangue
freddo di soldati italiani
arresisi; dai campi di
concentramento allestiti
dagli Alleati alle umiliazioni
patite dai nostri
soldati che, schieratisi al
fianco dei vecchi nemici,
furono considerati
combattenti di serie B;
dai bombardamenti indiscriminati 
sulle città 
del Sud ad armistizio firmato
che provocarono 
stragi di innocenti alle
donne stuprate: le tristemente
note “marocchinate”, prede di guerra
dei soldati “liberatori”.
E poi Napoli, la sua 
miseria, la sua borsa nera,
la città stracciona con madri e figlie
che si danno per fame, la camorra
in affari con i nuovi padroni:
gli angloamericani, ultimi di una lunga
serie. Finanche Pietro Secchia, 
importante dirigente del Pci, 
descrisse così le condizioni della città:
«Si vedeva abbastanza evidente che 
questo popolo era sceso al gradino
infimo della propria dignità. Nessuna 
meraviglia quindi ne sortiva quando veniva fermato un soldato 
angloamericano e richiesto di procurargli vino e signorine».
La Patria era morta davvero. E lo era 
ancora di più in quel Mezzogiorno
che già ottantatré anni prima aveva 
dovuto subire altre angherie, altre
violenze, altre invasioni. Risorgimentali 
le prime, “liberatrici” le seconde.
Un Mezzogiorno «dove i liberati 
- scrive Di Fiore - furono violati
dai liberatori, in una mistificazione 
dei ruoli tra aguzzini santificati e vittime zittite».
L’autore non dimentica la crudeltà, 
le condizioni orrende, i soprusi subiti
dagli italiani, civili e militari, che 
dissero no ai nemici diventati alleati
in una notte di settembre e per 
questo si ritrovarono nei campi di
Padula, Afragola, Aversa, Taranto, 
Coltano e altri ancora. Gli “inferni neri”,
dove civili e sacerdoti, ex politici 
e burocrati fascisti, funzionari e
semplici soldati della Rsi intrecciarono 
le loro vicende, miserie umane
e piccoli eroismi. Emergono così, tra 
tante, le figure dell’armatore napoletano
Achille Lauro o di Ezio Garibaldi, 
nipote di Giuseppe, o ancora dello
scrittore Ardengo Soffici. Ad Afragola, 
ricorda Di Fiore, i carcerieri inglesi «saltavano la distribuzione dei 
pasti o ricorrevano a percosse improvvise.
Metodi spicci per tenere 
soggiogati i detenuti e costringerli
ad ammettere colpe tutte da dimostrare
». Sistemi che ricordavano le

tristi pratiche dell’estorsione delle 
confessioni tanto in voga nella polizia politica sovietica.
Di Fiore riannoda i fili di una storia 
spezzata, tirandola fuori da quell’“armadio della vergogna” nel 
quale era stata confinata senza pietà
dai celebranti di un’ortodossia che 
non ammetteva eresie. Il merito di
questa “Controstoria della Liberazione” 
è proprio quello di far emergere
dalle viscere del nostro Meridione 
violentato la verità di fatti che
hanno profondamente segnato le popolazioni; 
le storie di decine di migliaia di famiglie che, dopo aver subito 
la violenza, sono state costrette
al silenzio dalla paura, dalla vergogna 
e dalla ragion di Stato del secondo
dopoguerra. Il calvario di una 
Nazione nella polvere, lacerata tra
due eserciti occupanti. Ricordare è 
un dovere. Perché l’infamia di chi fu
padrone in casa d’altri non cada in 
prescrizione.








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