sabato 11 febbraio 2012

Lavare le scale a 1 euro l’ora. Il miracolo/modello dell’occupazione tedesca


La riforma Schröder sui lavori a paga molto bassa funziona così bene che ora Merkel vuole mitigarne gli effetti

di Daniele Raineri
Fonte: Il Foglio

Grazie alle riforme del mercato del lavoro, la disoccupazione in Germania è al minimo degli ultimi venti anni e il miracolo economico tedesco è citato come modello per gli altri paesi europei. Una lunga corrispondenza Reuters di Sarah Marsh e Holger Hansen racconta però che le riforme hanno schiacciato verso il basso la paga minima e allargato il settore dei lavori poco pagati e temporanei, creando enormi disparità tra lavoratori. Chi pulisce pavimenti o lava i piatti prende due euro all’ora e ci sono fasce di “guadagno” peggiori, soprattutto nelle regioni che appartenevano alla Germania est: un euro l’ora e anche più giù, fino a cinquantacinque centesimi di euro l’ora. I dati dell’ufficio del lavoro mostrano che il settore a salario molto basso è cresciuto tre volte più rapidamente che le altre categorie di posti di lavoro nei cinque anni prima del 2010, spiegando perché il “miracolo occupazione” in Germania non stimola i tedeschi a spendere più che nel passato. I posti di lavoro aumentano, ma non il volume degli acquisti. “La mia compagnia mi sfrutta – dice Anja, 50 anni, a Reuters, senza dare il suo cognome per paura di essere licenziata – negli ultimi sei anni ho lavato pavimenti, sempre per due euro l’ora. Se trovassi qualcosa di meglio, me ne sarei già andata da un bel po’”. Stralsund, dove abita, è una bella cittadina sul mare, con locali e caffè tipici, ma – dice Anja – “io non ci posso entrare, non me lo posso permettere”.

Da Bruxelles i dati dell’Ufficio statistico europeo dimostrano che chi lavora in Germania è leggermente meno esposto al rischio povertà rispetto agli altri lavoratori nell’Eurozona, ma che questo rischio sta salendo: ora è al 7,2 per cento, nel 2005 era al 4,8 per cento. Per ora è più basso della media europea di povertà, 8,2 per cento, ma il numero dei lavoratori poveri è cresciuto in Germania più rapidamente che nel blocco Ue preso per intero. Per questo, mentre il resto d’Europa corre verso la deregolamentazione, il governo conservatore di Angela Merkel tenta di attutire le conseguenze di alcune riforme del lavoro portate dal predecessore Gerhard Schröder. L’anno scorso, per la prima volta, il numero degli occupati ha superato i 41 milioni e il tasso di disoccupazione, che subito dopo la riunificazione nel 1990 era del 20 per cento, ha cominciato a scendere regolarmente a partire dal 2005, fino a toccare l’attuale 6,7 per cento, contro il 23 per cento della Spagna e il 18 per cento della Grecia. In Francia il presidente Nicolas Sarkozy ha citato l’“Agenda 2010” di Schröder come modello per le riforme del lavoro, e anche in Spagna e Portogallo si prende ispirazione da lì. Tra le misure, c’è l’assenza di una soglia minima garantita di paga, che è lasciata al mercato, e la fine per i lavoratori della possibilità di scegliere tra sussidio di disoccupazione o lavoro poco pagato: oggi, anche se il lavoro rende meno del sussidio, il lavoratore deve accettarlo, l’indennità è destinata soltanto a chi proprio non trova un posto.
La presenza di una grande fascia di lavoratori da due euro l’ora compressa in fondo alla scala delle paghe era l’obiettivo di Schröder, che puntava proprio all’assorbimento dentro il mercato della grande forza lavoro poco qualificata. “Abbiamo messo in piedi uno dei migliori settori a paga bassa d’Europa”, disse al forum economico mondiale di Davos nel 2005.

I critici dicono che i “minijob” poco pagati hanno creato un mondo del lavoro spezzato in due, dove la disuguaglianza – che in Germania e nei paesi del nord Europa era tradizionalmente bassa – ora è seconda soltanto a Stati Uniti e Corea del sud (considerando i paesi avanzati). Uno su cinque posti di lavoro è uno di questi minijob che al massimo rende quattrocento euro al mese senza tasse. Per cinque milioni di lavoratori è la fonte di guadagno principale. I redditi depressi tengono anche spento il mercato domestico, che “è il tallone d’Achille dell’economia tedesca export-dipendente, per la disperazione dei paesi vicini. Se gli altri paesi facessero lo stesso, non ci sarebbe nessuno verso cui esportare”. Merkel vorrebbe reintrodurre la paga minima e il ministro del Lavoro, Ursula von der Leyen, sostiene che i lavoratori a tempo determinato dovrebbero essere pagati più di quelli a tempo indeterminato. “Il fatto che sia un governo conservatore – dice Enzo Weber dell’Istituto tedesco di ricerca sull’occupazione – spiega tutto”.

di Daniele Raineri
Fonte: Il Foglio

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La riforma Schröder sui lavori a paga molto bassa funziona così bene che ora Merkel vuole mitigarne gli effetti

di Daniele Raineri
Fonte: Il Foglio

Grazie alle riforme del mercato del lavoro, la disoccupazione in Germania è al minimo degli ultimi venti anni e il miracolo economico tedesco è citato come modello per gli altri paesi europei. Una lunga corrispondenza Reuters di Sarah Marsh e Holger Hansen racconta però che le riforme hanno schiacciato verso il basso la paga minima e allargato il settore dei lavori poco pagati e temporanei, creando enormi disparità tra lavoratori. Chi pulisce pavimenti o lava i piatti prende due euro all’ora e ci sono fasce di “guadagno” peggiori, soprattutto nelle regioni che appartenevano alla Germania est: un euro l’ora e anche più giù, fino a cinquantacinque centesimi di euro l’ora. I dati dell’ufficio del lavoro mostrano che il settore a salario molto basso è cresciuto tre volte più rapidamente che le altre categorie di posti di lavoro nei cinque anni prima del 2010, spiegando perché il “miracolo occupazione” in Germania non stimola i tedeschi a spendere più che nel passato. I posti di lavoro aumentano, ma non il volume degli acquisti. “La mia compagnia mi sfrutta – dice Anja, 50 anni, a Reuters, senza dare il suo cognome per paura di essere licenziata – negli ultimi sei anni ho lavato pavimenti, sempre per due euro l’ora. Se trovassi qualcosa di meglio, me ne sarei già andata da un bel po’”. Stralsund, dove abita, è una bella cittadina sul mare, con locali e caffè tipici, ma – dice Anja – “io non ci posso entrare, non me lo posso permettere”.

Da Bruxelles i dati dell’Ufficio statistico europeo dimostrano che chi lavora in Germania è leggermente meno esposto al rischio povertà rispetto agli altri lavoratori nell’Eurozona, ma che questo rischio sta salendo: ora è al 7,2 per cento, nel 2005 era al 4,8 per cento. Per ora è più basso della media europea di povertà, 8,2 per cento, ma il numero dei lavoratori poveri è cresciuto in Germania più rapidamente che nel blocco Ue preso per intero. Per questo, mentre il resto d’Europa corre verso la deregolamentazione, il governo conservatore di Angela Merkel tenta di attutire le conseguenze di alcune riforme del lavoro portate dal predecessore Gerhard Schröder. L’anno scorso, per la prima volta, il numero degli occupati ha superato i 41 milioni e il tasso di disoccupazione, che subito dopo la riunificazione nel 1990 era del 20 per cento, ha cominciato a scendere regolarmente a partire dal 2005, fino a toccare l’attuale 6,7 per cento, contro il 23 per cento della Spagna e il 18 per cento della Grecia. In Francia il presidente Nicolas Sarkozy ha citato l’“Agenda 2010” di Schröder come modello per le riforme del lavoro, e anche in Spagna e Portogallo si prende ispirazione da lì. Tra le misure, c’è l’assenza di una soglia minima garantita di paga, che è lasciata al mercato, e la fine per i lavoratori della possibilità di scegliere tra sussidio di disoccupazione o lavoro poco pagato: oggi, anche se il lavoro rende meno del sussidio, il lavoratore deve accettarlo, l’indennità è destinata soltanto a chi proprio non trova un posto.
La presenza di una grande fascia di lavoratori da due euro l’ora compressa in fondo alla scala delle paghe era l’obiettivo di Schröder, che puntava proprio all’assorbimento dentro il mercato della grande forza lavoro poco qualificata. “Abbiamo messo in piedi uno dei migliori settori a paga bassa d’Europa”, disse al forum economico mondiale di Davos nel 2005.

I critici dicono che i “minijob” poco pagati hanno creato un mondo del lavoro spezzato in due, dove la disuguaglianza – che in Germania e nei paesi del nord Europa era tradizionalmente bassa – ora è seconda soltanto a Stati Uniti e Corea del sud (considerando i paesi avanzati). Uno su cinque posti di lavoro è uno di questi minijob che al massimo rende quattrocento euro al mese senza tasse. Per cinque milioni di lavoratori è la fonte di guadagno principale. I redditi depressi tengono anche spento il mercato domestico, che “è il tallone d’Achille dell’economia tedesca export-dipendente, per la disperazione dei paesi vicini. Se gli altri paesi facessero lo stesso, non ci sarebbe nessuno verso cui esportare”. Merkel vorrebbe reintrodurre la paga minima e il ministro del Lavoro, Ursula von der Leyen, sostiene che i lavoratori a tempo determinato dovrebbero essere pagati più di quelli a tempo indeterminato. “Il fatto che sia un governo conservatore – dice Enzo Weber dell’Istituto tedesco di ricerca sull’occupazione – spiega tutto”.

di Daniele Raineri
Fonte: Il Foglio

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