domenica 20 novembre 2011

Il Governo Monti e il meridionalismo che non c'è



Di Ivan Esposito

Il Governo Monti è partito, ed in attesa che attui il suo programma, ha già operato un grande passaggio simbolico e concreto insieme. La sovranità degli Stati nazionali, o almeno la loro agenda politica, è eterodeterminata da flussi finanziari e relative emergenze, probabilmente create ad arte.
Che i soggetti finanziari avessero più potere dei singoli cittadini, e delle loro organizzazioni politiche e sociali, non è una novità. Tuttavia, mai come ora questo scarto era stato così sfacciatamente palesato.
Di fronte a questo mutamento, che chiude definitivamente Otto e Novecento, come reagisce il meridionalismo? Chiedendo un maggiore intervento della buon'anima dello Stato nazionale, oppure vaneggiando intorno a mitizzazioni premoderne sulle coste mediterranee.
Questi ultimi vadano a cercare la loro dimensione tra gli hobbit, ché il Tavoliere, la Sila o il Cilento non sono Pufflandia, né lo sono stati prima del 1860.
I primi invece dovrebbero spiegare a quale Stato fanno appello e a quale Mezzogiorno fanno riferimento: possibile che dopo un secolo si invochino politiche nittiane? possibile che le rapine leghiste di questi ultimi anni - dalla scalata alle Fondazioni bancarie alle mire su Finmeccanica - non abbiano insegnato nulla?
Pare che Monti abbia incontrato, durante le consultazioni, quattro o cinque sigle con Sud nel nome. Non so cosa abbiano chiesto, ma non credo abbiano provato a sfruttare questo momento di svolta per fare del Mezzogiorno un esempio di differente modello di sviluppo. Né credo che, al loro posto, lo avrebbe fatto la sinistra. Il meridionalismo che ritiene destra e sinistra solo indicazioni stradali potrebbe sostenere un programma di liberalizzazioni che sostenga il tessuto produttivo e intellettuale del Mezzogiorno.

Vediamo qualche esempio:
- forfait fiscali per nuove attività, con adempimenti semplificati;
- detassazione di investimenti obbligazionari e di rischio affidati a circuiti aziendali o consortili, privi della debordante intermediazione bancaria;
- parziale riduzione dell'Irap a fronte di un pari gettito verso fondazioni di comunità od onlus territorialmente radicate;
- dimezzamento dell'Iva per i prodotti a km zero;
- liberalizzazione dei circuiti distributivi alternativi come i gruppi d'acquisto;
- sostegno all'abolizione delle pensioni di anzianità - peraltro già cancellate dal fatto che nessun giovane, e giovani sono soprattutto i meridionali, agguanta un posto fisso a contribuzione piena prima dei 25 anni - condizionato al recupero dei trasferimenti agli enti locali e alle Regioni;
- redistribuzione della proprietà delle imprese pubbliche tra Regioni e stato, con assegnazione di pacchetti azionari calibrati sulla provenienza delle materie prime e sul consumo dei servizi.

Se domani queste proposte diventassero legge dello Stato, a trarne i maggiori benefici sarebbe probabilmente il Nord. E questo non perché si tratti di proposte antimeridionali - anzi! - ma perché qui abbiamo investito e invesitiamo pochissimo nella crescita della fiducia e della consapevolezza delle nostre comunità: poco Terzo Settore indipendente dalla - sempre più esigua - spesa pubblica politicamente diretta; Pubblica Opinione debole; scimmiottamento di conflitti sociali e di posizioni politiche che poco hanno a che fare con la nostra struttura sociale.

Che facciamo, ne riparliamo tra 150 anni?

Fonte: Ivan Esposito

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Di Ivan Esposito

Il Governo Monti è partito, ed in attesa che attui il suo programma, ha già operato un grande passaggio simbolico e concreto insieme. La sovranità degli Stati nazionali, o almeno la loro agenda politica, è eterodeterminata da flussi finanziari e relative emergenze, probabilmente create ad arte.
Che i soggetti finanziari avessero più potere dei singoli cittadini, e delle loro organizzazioni politiche e sociali, non è una novità. Tuttavia, mai come ora questo scarto era stato così sfacciatamente palesato.
Di fronte a questo mutamento, che chiude definitivamente Otto e Novecento, come reagisce il meridionalismo? Chiedendo un maggiore intervento della buon'anima dello Stato nazionale, oppure vaneggiando intorno a mitizzazioni premoderne sulle coste mediterranee.
Questi ultimi vadano a cercare la loro dimensione tra gli hobbit, ché il Tavoliere, la Sila o il Cilento non sono Pufflandia, né lo sono stati prima del 1860.
I primi invece dovrebbero spiegare a quale Stato fanno appello e a quale Mezzogiorno fanno riferimento: possibile che dopo un secolo si invochino politiche nittiane? possibile che le rapine leghiste di questi ultimi anni - dalla scalata alle Fondazioni bancarie alle mire su Finmeccanica - non abbiano insegnato nulla?
Pare che Monti abbia incontrato, durante le consultazioni, quattro o cinque sigle con Sud nel nome. Non so cosa abbiano chiesto, ma non credo abbiano provato a sfruttare questo momento di svolta per fare del Mezzogiorno un esempio di differente modello di sviluppo. Né credo che, al loro posto, lo avrebbe fatto la sinistra. Il meridionalismo che ritiene destra e sinistra solo indicazioni stradali potrebbe sostenere un programma di liberalizzazioni che sostenga il tessuto produttivo e intellettuale del Mezzogiorno.

Vediamo qualche esempio:
- forfait fiscali per nuove attività, con adempimenti semplificati;
- detassazione di investimenti obbligazionari e di rischio affidati a circuiti aziendali o consortili, privi della debordante intermediazione bancaria;
- parziale riduzione dell'Irap a fronte di un pari gettito verso fondazioni di comunità od onlus territorialmente radicate;
- dimezzamento dell'Iva per i prodotti a km zero;
- liberalizzazione dei circuiti distributivi alternativi come i gruppi d'acquisto;
- sostegno all'abolizione delle pensioni di anzianità - peraltro già cancellate dal fatto che nessun giovane, e giovani sono soprattutto i meridionali, agguanta un posto fisso a contribuzione piena prima dei 25 anni - condizionato al recupero dei trasferimenti agli enti locali e alle Regioni;
- redistribuzione della proprietà delle imprese pubbliche tra Regioni e stato, con assegnazione di pacchetti azionari calibrati sulla provenienza delle materie prime e sul consumo dei servizi.

Se domani queste proposte diventassero legge dello Stato, a trarne i maggiori benefici sarebbe probabilmente il Nord. E questo non perché si tratti di proposte antimeridionali - anzi! - ma perché qui abbiamo investito e invesitiamo pochissimo nella crescita della fiducia e della consapevolezza delle nostre comunità: poco Terzo Settore indipendente dalla - sempre più esigua - spesa pubblica politicamente diretta; Pubblica Opinione debole; scimmiottamento di conflitti sociali e di posizioni politiche che poco hanno a che fare con la nostra struttura sociale.

Che facciamo, ne riparliamo tra 150 anni?

Fonte: Ivan Esposito

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