domenica 6 febbraio 2011

Note su Napoli

di Erri De Luca

La cronaca atroce ribadisce l'azzardo di vivere a Napoli e dintorni. La reazione immediata è lo sconforto, l'ira, condensate nella parola d'ordine: andarsene da qui. Lasciarla alla malora: si può fare ma non porta sollievo questa specie di esilio avvelenato. Non si attecchisce meglio altrove, anzi non si attecchisce affatto. Ovunque vada, uno che è nato a Napoli si porta dietro i fili strappati che non si riannodano da nessun'altra parte. Chi è nato qui ha il destino alle spalle. Non mi riferisco a me, che mi staccai a diciotto anni senza porte sbattute alle spalle, senza addio. Ero un'ombra che si staccava in silenzio dal corpo.
Andarsene per sdegno non è meglio. Starsene lontani, con la parlata chiusa in bocca, ricoperta da una lingua seconda che non avvicina, utile al solo scambio di superficie. Quando tra noi di Napoli ci rivolgiamo il nostro vocabolario scivoloso, sciuliariello, unto e rauco di voci che ce l' hanno trasmesso, ci scambiamo la più forte intimità. Quando ascoltiamo il grido, l'invettiva, il saluto, la canzone, torniamo al quartiere dell'infanzia. Parlo napoletano con ognuno che abbia in comune l' origine, ma fuori di lì è una lingua di cospiratori che usano a difesa il loro gergo separato. Ho portato il mazzo di carte napoletane pure in Himalaya, ma per farci i solitari.
Andarsene da Napoli augurandosi una fuga in massa è un'invettiva nell'ora del dolore, va rispettata per questo ma non è via maestra. Per sua forza invincibile Napoli non sarà deserta, non più di quanto è stata nel 1900, secolo delle grandi emigrazioni. Napoli non sarà di nuovo milionaria di addii. Si appartiene alla città con viscere contorte pure dentro l'insulto, la bestemmia, lo smarrimento e il lutto. Non siamo figli di Disneyland ma di un vulcano del Mediterraneo. Le case sono fatte di lava spenta, il sangue è il nostro simbolo araldico, rappreso e liquefatto sottovetro dal santo del miracolo periodico. Pure la spazzatura, lo sfregio sulla pelle della città, non è solo rifiuto tralasciato, ma ferita in suppurazione, piaga che chiede aiuto al cielo esalando il tanfo come una preghiera. Napoli oggi è una madre che basta a cento figli, ma nessuno dei suoi cento basta a lei. Napoli è un avamposto, oltre che l'unica capitale europea dentro l'Italia. La sua insonnia è veglia. Che sia un'ottusa statistica a collocarla all'ultimo posto tra le città vivibili in Italia. Ignora il parametro del vento, 'o viento, che l'investe da mare, ignora la musica di cui è impregnata l'aria, il teatro che accompagna i gesti e le battute, ignora la bellezza tanto più sfrontata quanto più è calpestata. Lascio le ultime parole a un forestiero che venne, si fermò e lasciò scritto:" Portami fuori amico/ al sole che scalda la piazza/ al vento celeste che spazza/ il mio golfo infinito".

Fonte : www.facebook.com bacheca di Erri De Luca
(su segnalazione di Ivan Esposito - Partito del Sud - Napoli)

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di Erri De Luca

La cronaca atroce ribadisce l'azzardo di vivere a Napoli e dintorni. La reazione immediata è lo sconforto, l'ira, condensate nella parola d'ordine: andarsene da qui. Lasciarla alla malora: si può fare ma non porta sollievo questa specie di esilio avvelenato. Non si attecchisce meglio altrove, anzi non si attecchisce affatto. Ovunque vada, uno che è nato a Napoli si porta dietro i fili strappati che non si riannodano da nessun'altra parte. Chi è nato qui ha il destino alle spalle. Non mi riferisco a me, che mi staccai a diciotto anni senza porte sbattute alle spalle, senza addio. Ero un'ombra che si staccava in silenzio dal corpo.
Andarsene per sdegno non è meglio. Starsene lontani, con la parlata chiusa in bocca, ricoperta da una lingua seconda che non avvicina, utile al solo scambio di superficie. Quando tra noi di Napoli ci rivolgiamo il nostro vocabolario scivoloso, sciuliariello, unto e rauco di voci che ce l' hanno trasmesso, ci scambiamo la più forte intimità. Quando ascoltiamo il grido, l'invettiva, il saluto, la canzone, torniamo al quartiere dell'infanzia. Parlo napoletano con ognuno che abbia in comune l' origine, ma fuori di lì è una lingua di cospiratori che usano a difesa il loro gergo separato. Ho portato il mazzo di carte napoletane pure in Himalaya, ma per farci i solitari.
Andarsene da Napoli augurandosi una fuga in massa è un'invettiva nell'ora del dolore, va rispettata per questo ma non è via maestra. Per sua forza invincibile Napoli non sarà deserta, non più di quanto è stata nel 1900, secolo delle grandi emigrazioni. Napoli non sarà di nuovo milionaria di addii. Si appartiene alla città con viscere contorte pure dentro l'insulto, la bestemmia, lo smarrimento e il lutto. Non siamo figli di Disneyland ma di un vulcano del Mediterraneo. Le case sono fatte di lava spenta, il sangue è il nostro simbolo araldico, rappreso e liquefatto sottovetro dal santo del miracolo periodico. Pure la spazzatura, lo sfregio sulla pelle della città, non è solo rifiuto tralasciato, ma ferita in suppurazione, piaga che chiede aiuto al cielo esalando il tanfo come una preghiera. Napoli oggi è una madre che basta a cento figli, ma nessuno dei suoi cento basta a lei. Napoli è un avamposto, oltre che l'unica capitale europea dentro l'Italia. La sua insonnia è veglia. Che sia un'ottusa statistica a collocarla all'ultimo posto tra le città vivibili in Italia. Ignora il parametro del vento, 'o viento, che l'investe da mare, ignora la musica di cui è impregnata l'aria, il teatro che accompagna i gesti e le battute, ignora la bellezza tanto più sfrontata quanto più è calpestata. Lascio le ultime parole a un forestiero che venne, si fermò e lasciò scritto:" Portami fuori amico/ al sole che scalda la piazza/ al vento celeste che spazza/ il mio golfo infinito".

Fonte : www.facebook.com bacheca di Erri De Luca
(su segnalazione di Ivan Esposito - Partito del Sud - Napoli)

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