venerdì 27 agosto 2010

Le Regioni più povere aiutano le più ricche



Di Gianfranco Viesti

Negli ultimi anni sono molto cresciute in Italia forme di egoismo territoriale. Su di esse la Lega Nord ha basato le sue fortune elettorali. Le ha accentuate la crisi economica, l’aumento della disoccupazione, la preoccupazione per il futuro. Tutt’altro che infondata: i dati più recenti mostrano come l’Italia abbia le prospettive di crescita più contenute nei prossimi anni. Ha contribuito anche una accentuata deriva individualistica nella società italiana, ben documentata nelle rilevazioni di studiosi come Mannheimer e Diamanti: per gli italiani cioè che viene, sempre più, prima di tutto è il benessere della propria famiglia, del proprio territorio.

SOMMA ZERO. - Questo porta a concepire la politica e le politiche economiche sempre più come un gioco a somma zero: più a me, meno a te. E l’obiettivo diventa aumentare la propria quantità di risorse disponibili, a danno degli altri. In questo la Lega è maestra. Cattiva maestra. L’economia, per fortuna, non è come la ragioneria. Il problema non è solo quello di suddividere una torta di dimensioni date, e litigare sulla dimensione della propria fetta. Il problema è accrescere la dimensione della torta, a vantaggio di tutti.

Si fa un gran parlare della necessità di quantificare con precisione le risorse che vanno destinate ad ogni territorio. E’ una necessità giusta: per avere una distribuzione più equa; per poter avere certezza della disponibilità, e responsabilità nel loro utilizzo. Ma questo non può significare che tutte le risorse siano destinate a gestioni locali; e soprattutto che ognuno, nell’utilizzarle, possa e debba pensare solo a se stesso.

Si fa un gran parlare delle risorse “sottratte” al Nord: come se investire nel Mezzogiorno non portasse benefici all’intero paese, a cominciare dalle imprese del Nord che ottengono – giustamente – appalti o che intercettano i nuovi consumi. Ma ci sono anche casi molto interessanti – e di cui ben poco si parla – nei quali la solidarietà nazionale ha avuto forme diverse.

La crisi internazionale ha colpito in misura estremamente ampia il mercato del lavoro italiano. Il Governo ha deciso di puntare sull’utilizzo più ampio possibile della cassa integrazione guadagni (CIG): uno strumento per garantire il reddito dei lavoratori, nell’attesa di una ripresa delle imprese. Una strategia pericolosa; troppo basata sulla speranza di una ripresa che ancora non c’è a sufficienza. Una strategia che ancora una volta privilegia chi un lavoro, seppure a rischio, ce l’ha rispetto a chi non l’ha mai trovato. Una strategia molto costosa per le casse dello stato.

PROTEZIONE SOCIALE. -Ma comunque una protezione sociale, che è stata estesa (con la CIG cosiddetta in deroga) ai lavoratori a termine, agli apprendisti e ai parasubordinati. Ma dove trovare i soldi per finanziarla? Sono venuti dalla solidarietà nazionale. Con l’accordo del 12 febbraio 2009 sono stati
reperiti 8 miliardi. Il governo centrale ne ha stanziati solo 1,4 (dal fondo occupazione); 2,65 sono venuti dal Fondo Sociale Europeo, prevalentemente da risorse destinate alle regioni del Sud; 3,95 sono stati presi dal Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), che è destinato per l’85% alle regioni del Sud. Il nuovo finanziamento della CIG è venuto principalmente da risorse “me - ridionali”.

E ha finanziato prevalentemente lavoratori settentrionali. Nel 2009 sono state finanziate oltre 300.000 ore di CIG nel Nord-Ovest e oltre 150.000 nel Nord-Est, contro meno di 100.000 al Sud. Cifre imponenti: le ore di CIG corrispondono al 13,4% delle unità di lavoro dipendenti del Nord-Ovest (contro 7,3% al Sud). Nel 2010 il ricorso alla CIG ha continuato ad aumentare, specie al Centro-Nord. Questo ha consentito alle imprese di ridurre fortemente le ore lavorate, senza licenziamenti; e di porre a carico della collettività il costo delle retribuzioni. Al Sud, invece, per le caratteristiche settoriali e dimensionali delle imprese, e per le tipologie più deboli di lavoro, è aumentata più nettamente la disoccupazione.

Pur con tutti i dubbi sulla strategia complessiva, quella sul finanziamento è stata una decisione giusta. Una scelta solidale, di fronte ad una grande emergenza: le regioni più povere hanno destinato proprie risorse alle imprese e ai lavoratori delle regioni più ricche, colpiti dalla crisi, nell’interesse nazionale. Ricordarlo, ogni tanto, non farebbe male.


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Di Gianfranco Viesti

Negli ultimi anni sono molto cresciute in Italia forme di egoismo territoriale. Su di esse la Lega Nord ha basato le sue fortune elettorali. Le ha accentuate la crisi economica, l’aumento della disoccupazione, la preoccupazione per il futuro. Tutt’altro che infondata: i dati più recenti mostrano come l’Italia abbia le prospettive di crescita più contenute nei prossimi anni. Ha contribuito anche una accentuata deriva individualistica nella società italiana, ben documentata nelle rilevazioni di studiosi come Mannheimer e Diamanti: per gli italiani cioè che viene, sempre più, prima di tutto è il benessere della propria famiglia, del proprio territorio.

SOMMA ZERO. - Questo porta a concepire la politica e le politiche economiche sempre più come un gioco a somma zero: più a me, meno a te. E l’obiettivo diventa aumentare la propria quantità di risorse disponibili, a danno degli altri. In questo la Lega è maestra. Cattiva maestra. L’economia, per fortuna, non è come la ragioneria. Il problema non è solo quello di suddividere una torta di dimensioni date, e litigare sulla dimensione della propria fetta. Il problema è accrescere la dimensione della torta, a vantaggio di tutti.

Si fa un gran parlare della necessità di quantificare con precisione le risorse che vanno destinate ad ogni territorio. E’ una necessità giusta: per avere una distribuzione più equa; per poter avere certezza della disponibilità, e responsabilità nel loro utilizzo. Ma questo non può significare che tutte le risorse siano destinate a gestioni locali; e soprattutto che ognuno, nell’utilizzarle, possa e debba pensare solo a se stesso.

Si fa un gran parlare delle risorse “sottratte” al Nord: come se investire nel Mezzogiorno non portasse benefici all’intero paese, a cominciare dalle imprese del Nord che ottengono – giustamente – appalti o che intercettano i nuovi consumi. Ma ci sono anche casi molto interessanti – e di cui ben poco si parla – nei quali la solidarietà nazionale ha avuto forme diverse.

La crisi internazionale ha colpito in misura estremamente ampia il mercato del lavoro italiano. Il Governo ha deciso di puntare sull’utilizzo più ampio possibile della cassa integrazione guadagni (CIG): uno strumento per garantire il reddito dei lavoratori, nell’attesa di una ripresa delle imprese. Una strategia pericolosa; troppo basata sulla speranza di una ripresa che ancora non c’è a sufficienza. Una strategia che ancora una volta privilegia chi un lavoro, seppure a rischio, ce l’ha rispetto a chi non l’ha mai trovato. Una strategia molto costosa per le casse dello stato.

PROTEZIONE SOCIALE. -Ma comunque una protezione sociale, che è stata estesa (con la CIG cosiddetta in deroga) ai lavoratori a termine, agli apprendisti e ai parasubordinati. Ma dove trovare i soldi per finanziarla? Sono venuti dalla solidarietà nazionale. Con l’accordo del 12 febbraio 2009 sono stati
reperiti 8 miliardi. Il governo centrale ne ha stanziati solo 1,4 (dal fondo occupazione); 2,65 sono venuti dal Fondo Sociale Europeo, prevalentemente da risorse destinate alle regioni del Sud; 3,95 sono stati presi dal Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), che è destinato per l’85% alle regioni del Sud. Il nuovo finanziamento della CIG è venuto principalmente da risorse “me - ridionali”.

E ha finanziato prevalentemente lavoratori settentrionali. Nel 2009 sono state finanziate oltre 300.000 ore di CIG nel Nord-Ovest e oltre 150.000 nel Nord-Est, contro meno di 100.000 al Sud. Cifre imponenti: le ore di CIG corrispondono al 13,4% delle unità di lavoro dipendenti del Nord-Ovest (contro 7,3% al Sud). Nel 2010 il ricorso alla CIG ha continuato ad aumentare, specie al Centro-Nord. Questo ha consentito alle imprese di ridurre fortemente le ore lavorate, senza licenziamenti; e di porre a carico della collettività il costo delle retribuzioni. Al Sud, invece, per le caratteristiche settoriali e dimensionali delle imprese, e per le tipologie più deboli di lavoro, è aumentata più nettamente la disoccupazione.

Pur con tutti i dubbi sulla strategia complessiva, quella sul finanziamento è stata una decisione giusta. Una scelta solidale, di fronte ad una grande emergenza: le regioni più povere hanno destinato proprie risorse alle imprese e ai lavoratori delle regioni più ricche, colpiti dalla crisi, nell’interesse nazionale. Ricordarlo, ogni tanto, non farebbe male.


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