martedì 28 aprile 2009

Privatizzare i profitti e socializzare le perdite


Di Antonio Raimondi



La crisi economica, nonostante timidi segnali di ripresa, sta ancora causando una riduzione dei posti di lavoro: il calo dei consumi costringe le aziende a ridurre il proprio personale in attività.
Quando si attraversa un periodo di recessione economica, purtroppo, è normale perdere posti di lavoro: la produzione diminuisce e c’è bisogno di meno addetti in tutti i settori. In questo caso le aziende cercano di minimizzare le perdite tagliando sui costi del personale: i primi a pagare dei momenti negativi sono sempre gli ultimi, quelli che hanno più difficoltà ad ottenere un impiego e, di conseguenza, a rientrare nel ciclo produttivo.

C’è anche da dire, però, che alcune aziende approfittano deliberatamente della crisi per mettere in pratica una “cura dimagrante”. Le notizie di lavoratori messi in cassa integrazione o in mobilità sono ormai all’ordine del giorno e i costi degli ammortizzatori sociali vengono finanziati dalle tasse dei cittadini italiani. Il maggiore ricorso a questi strumenti, dunque, significa destinare una quantità maggiore di risorse a sostenere le persone in difficoltà lavorativa che è giusto.

Non è tollerabile, però, che alcune ditte sfruttino queste numerose situazioni di disagio per sgravare i loro bilanci dalle spese per il personale e, di conseguenza, minare la pace sociale: i licenziamenti di massa e il ricorso agli ammortizzatori sociali sta gettando la popolazione lavorativa in un clima molto cupo. Questo comportamento, quando ci sarà la ripresa economica, sarà totalmente a favore delle aziende che con il personale ridotto riusciranno, senza assumere, a mantenere la produzione al livello richiesto e, quindi, a massimizzare i profitti, senza distribuire la ricchezza ad altre parti di popolazione che potrebbero beneficiare del miglioramento generale dell’economia, e a socializzare le perdite quando la tendenza del mercato dovesse tornare negativa.

È inaccettabile un comportamento del tipo “privatizzare i profitti e condividere le perdite” perché a pagare è sempre e solo lo Stato, ovvero tutti noi. Le imprese devono ricordare che sono tali se hanno anche una responsabilità sociale. La proprietà privata è legittima e deve essere rivolta al bene comune: la creazione di posti di lavoro, la tutela della sicurezza dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente sono precise responsabilità delle imprese nei confronti della società. In un momento così difficile e delicato, come questa recessione, non è tollerabile che le imprese possano minare la pace sociale. Sono già tanti gli episodi di violenza verso i dirigenti aziendali sia negli Stati Uniti che in Europa e vorremo che questo non accadesse anche in Italia. Però c’è bisogno, per questo, la buona volontà di tutti invece di continuare ad esasperare gli animi di chi non arriva nemmeno alla terza settimana del mese.
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Di Antonio Raimondi



La crisi economica, nonostante timidi segnali di ripresa, sta ancora causando una riduzione dei posti di lavoro: il calo dei consumi costringe le aziende a ridurre il proprio personale in attività.
Quando si attraversa un periodo di recessione economica, purtroppo, è normale perdere posti di lavoro: la produzione diminuisce e c’è bisogno di meno addetti in tutti i settori. In questo caso le aziende cercano di minimizzare le perdite tagliando sui costi del personale: i primi a pagare dei momenti negativi sono sempre gli ultimi, quelli che hanno più difficoltà ad ottenere un impiego e, di conseguenza, a rientrare nel ciclo produttivo.

C’è anche da dire, però, che alcune aziende approfittano deliberatamente della crisi per mettere in pratica una “cura dimagrante”. Le notizie di lavoratori messi in cassa integrazione o in mobilità sono ormai all’ordine del giorno e i costi degli ammortizzatori sociali vengono finanziati dalle tasse dei cittadini italiani. Il maggiore ricorso a questi strumenti, dunque, significa destinare una quantità maggiore di risorse a sostenere le persone in difficoltà lavorativa che è giusto.

Non è tollerabile, però, che alcune ditte sfruttino queste numerose situazioni di disagio per sgravare i loro bilanci dalle spese per il personale e, di conseguenza, minare la pace sociale: i licenziamenti di massa e il ricorso agli ammortizzatori sociali sta gettando la popolazione lavorativa in un clima molto cupo. Questo comportamento, quando ci sarà la ripresa economica, sarà totalmente a favore delle aziende che con il personale ridotto riusciranno, senza assumere, a mantenere la produzione al livello richiesto e, quindi, a massimizzare i profitti, senza distribuire la ricchezza ad altre parti di popolazione che potrebbero beneficiare del miglioramento generale dell’economia, e a socializzare le perdite quando la tendenza del mercato dovesse tornare negativa.

È inaccettabile un comportamento del tipo “privatizzare i profitti e condividere le perdite” perché a pagare è sempre e solo lo Stato, ovvero tutti noi. Le imprese devono ricordare che sono tali se hanno anche una responsabilità sociale. La proprietà privata è legittima e deve essere rivolta al bene comune: la creazione di posti di lavoro, la tutela della sicurezza dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente sono precise responsabilità delle imprese nei confronti della società. In un momento così difficile e delicato, come questa recessione, non è tollerabile che le imprese possano minare la pace sociale. Sono già tanti gli episodi di violenza verso i dirigenti aziendali sia negli Stati Uniti che in Europa e vorremo che questo non accadesse anche in Italia. Però c’è bisogno, per questo, la buona volontà di tutti invece di continuare ad esasperare gli animi di chi non arriva nemmeno alla terza settimana del mese.

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