mercoledì 5 marzo 2008

Terrone di Padania



La Stampa
5/3/2008


Nel commentare la sconvolgente notizia che non tutti i candidati del centrosinistra in Lombardia sono nati in Lombardia (pare che uno risieda a Parma Sud, pur avendo la nonna a Busto Arsizio) il senatore Calderoli della corrente illuminata della Lega ha dichiarato che il partito democratico non è «la forza dei meridionali, sostenuti dal Mpa di Lombardo, ma la forza dei terùn, ovvero di quelli che si fanno mantenere dagli altri a Roma». Si tratta di una rottura con il passato, quando per la Lega tutte le popolazioni situate al di là del confine morale di Abbiategrasso erano una massa indistinta di parassiti dediti a procreare figli dalla carnagione olivastra e ad appendere agli e caciotte sui davanzali. Con il coraggio dei visionari, il Calderoli si libera dello stereotipo. Continua, è vero, a situare Roma nel Corno d’Africa. Però ammette che persino fra i terùn esistano degli esseri umani e li promuove al rango di «meridionali». Elettori del partito autonomista di Lombardo. Il quale è siculo, ma un siculo alleato di Calderoli, che in un afflato di bontà deve avergli cambiato il cognome (quello originale era Montalbano-Sono) come si faceva con gli schiavi nelle piantagioni di cotone. La storica svolta ci costringe a rivedere la logora definizione di terùn: è ancora tale solo il meridionale che non lavora. Resta da trovare un nome per il suo omologo del Nord: il settentrionale che non ha mai combinato un tubo in vita sua, se si esclude una legge elettorale scriteriata e uno spogliarello di canottiere maomettane in tv. Che ne dite di «calderulùn»?

Mario Gramellini

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La Stampa
5/3/2008


Nel commentare la sconvolgente notizia che non tutti i candidati del centrosinistra in Lombardia sono nati in Lombardia (pare che uno risieda a Parma Sud, pur avendo la nonna a Busto Arsizio) il senatore Calderoli della corrente illuminata della Lega ha dichiarato che il partito democratico non è «la forza dei meridionali, sostenuti dal Mpa di Lombardo, ma la forza dei terùn, ovvero di quelli che si fanno mantenere dagli altri a Roma». Si tratta di una rottura con il passato, quando per la Lega tutte le popolazioni situate al di là del confine morale di Abbiategrasso erano una massa indistinta di parassiti dediti a procreare figli dalla carnagione olivastra e ad appendere agli e caciotte sui davanzali. Con il coraggio dei visionari, il Calderoli si libera dello stereotipo. Continua, è vero, a situare Roma nel Corno d’Africa. Però ammette che persino fra i terùn esistano degli esseri umani e li promuove al rango di «meridionali». Elettori del partito autonomista di Lombardo. Il quale è siculo, ma un siculo alleato di Calderoli, che in un afflato di bontà deve avergli cambiato il cognome (quello originale era Montalbano-Sono) come si faceva con gli schiavi nelle piantagioni di cotone. La storica svolta ci costringe a rivedere la logora definizione di terùn: è ancora tale solo il meridionale che non lavora. Resta da trovare un nome per il suo omologo del Nord: il settentrionale che non ha mai combinato un tubo in vita sua, se si esclude una legge elettorale scriteriata e uno spogliarello di canottiere maomettane in tv. Che ne dite di «calderulùn»?

Mario Gramellini

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