domenica 30 marzo 2014

Il Partito del Sud risponde ai gratuiti attacchi de "La Repubblica"

repubblica_lombroso

Ha sollevato un polverone l’articolo de "La Repubblica",  ieri, a firma di un giornalista poco informato non solo sulle vicende post-unitarie, ma sui dettami forensi dell’antropologia criminale, in cui è stato attaccato con incalzante tono denigratorio e diffamatorio il Partito Del Sud ed i movimenti a tutela della dignità della storia.
Ad essere citato in tale articolo è stato proprio uno dei responsabili della sezione lametina, il Prof. Francesco Antonio Cefalì, senza che l’interessato sia stato messo a conoscenza o abbia fornito dettagli precisi, all’autore del pezzo, su argomentazioni d’interesse. 
Non è stata posta offesa al Professore lametino, ma sono stati utilizzati solo i toni di discredito culturale verso il senso della dignità di chi, storicamente, è riuscito a dimostrare la deportazione dei meridionali e dei calabresi da parte dei Savoia, verso il lager di Fenestrelle. 
Un attacco negazionista, al servizio del negazionismo, che utilizza ancora una volta la scusante del cranio di Villella per coprire crimini efferati del passato. Un attacco che utilizza la pseudo-scienza, fornendola al servizio di ideologie e tesi abberranti che nulla hanno a che fare con la storia, i diritti umani e la scienza stessa. 
Un attacco denigratorio che non ha risparmiato nemmeno il Comitato No Lombroso, la cui finalità di tutela verso il genere umano e rifiuto verso l’eugenetica criminale (quest’ultima attivata dal Lombroso), è stata artificiosamente sostituita e bollata come causa anti-nazionale e nostalgicamente borbonica. 
Nulla di più falso. 
Questa è la risposta della sezione calabrese del Partito Del Sud a firma di Francesco Antonio Cefalì (Coordinatore Sezione Michelina De Cesare Partito del Sud Lamezia Terme) e Franco Gallo (Coordinatore Provinciale Partito del Sud Catanzaro)

Continuano le falsità sul popolo meridionale.

Oggi, leggendo su Repubblica l’articolo “L’ultima polemica su Lombroso, minacce alla studiosa che lo difende”, scritto da un giornalista che, a mio sommesso avviso, farebbe meglio a documentarsi prima di scrivere, ho capito che continuano le falsità sul popolo meridionale.
Come si fa a negare la realtà e dire che “esponenti di quei movimenti neo-borbonici e antiunitari che da tempo, mediante un sostanziale stravolgimento e una manipolazione della storia d’Italia e del Risorgimento, impazzano sul web, attaccando e insultando chiunque non la pensi come loro”?
Le nostre contestazioni, come Partito del Sud, sono state e sempre saranno improntate al rispetto ed alla civiltà. Anzi prendiamo fermamente le distanze da tutti coloro che eventualmente abbiano proferito insulti o minacce all’indirizzo della Dott.ssa Milicia alla quale facciamo pervenire, pur nella diversità delle idee, la nostra più sentita solidarietà umana. Tuttavia ci corre l’obbligo di sottolineare quanto segue:
Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato pre-unitario più prospero, dove l'emigrazione era sconosciuta e la cui popolazione non aveva alcun desiderio di unirsi alla restante parte della penisola. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e la sua politica di fiera indipendenza, cozzavano con gli interessi delle grandi potenze europee e dei Savoia.
Prima dell’annessione forzata, il Regno delle Due Sicilie aveva una riserva aurea di ben 443,2 in milioni di lire (Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso, Il Sud e l'Unità d'Italia; dati ricavato da: Francesco Saverio Nitti, Scienze delle Finanze) contro gli 8,1 milioni di lire della Lombardia ed i 27,00 del Piemonte. Quindi, il Regno delle Due Sicilie aveva quasi due volte più monete di tutti gli altri Stati della Penisola uniti assieme.
Dai dati ufficiali del primo censimento del Regno d’Italia del 1861 si evince che:                      
- La regione con la più alta percentuale di popolazione attiva occupata nell’industria era la Calabria (28,8%) seguita dalla Campania (23,2%) e dalla Sicilia (23,1%). 
- La più alta percentuale di occupati nell’agricoltura era in Valle d’Aosta (90%), seguiva il Friuli Venezia Giulia (81,8%) e in fine Piemonte e Umbria (81,1%). 
Nel 1859 il Regno di Napoli aveva un debito pubblico (Giacomo Savarese 1862) di 411.475.000 milioni contro i 1.121.430.000 milioni del Piemonte (59,03 debito pro-capite nel Regno di Napoli contro i 261,86 del Piemonte).
Fino al 1860 l’emigrazione riguardava: Veneto (17,90 %), Friuli-Venezia Giulia (16,1%) e Piemonte (13,50%), mentre era quasi sconosciuta al Sud.
Nessuno ha mai detto che Giuseppe Villella di Motta S. Lucia sia stato un eroe; tutti invece pensiamo che sia stato uno dei tanti martiri del Risorgimento.
Infatti, il “presunto brigante” Giuseppe Villella, nacque a Motta S. Lucia nel 1795, secondo quanto scrisse Cesare Lombroso nella relativa autopsia del 16 agosto 1864, riportata integralmente dal direttore del Museo Universitario Silvano Montaldo nel suo libro, scritto insieme a Paolo Tappero (pag. 5). Ebbene, consultando gli archivi dei processi, dal 1816 al 1862, svolti dalla Gran Corte Criminale di Catanzaro e da quella di Cosenza nonché i processi dei Tribunali di Nicastro e di Cosenza del 1863 e 1864, si può affermare con assoluta certezza che, il Giuseppe Villella in oggetto, non fu un brigante ma un uomo totalmente estraneo a fatti malavitosi. 
E’ pure vero che un Giuseppe Villella, di Pietro, di Motta S. Lucia nato intorno al 1804, fu coinvolto in un solo processo nel 1844, per un reato talmente lieve da essere condannato solo alla relegazione “….per avere assistito e facilitato Carmine Ajello, la notte del 29 luglio 1843, ad un furto, inferiore a trenta carlini, ai danni di Nicola Gigliotti suo compaesano….”
Giuseppe Villella, di Pietro, però morì all'Ospedale S. Matteo di Pavia il 15 Novembre del 1864, in una data e per una malattia diversa da quella indicata dall’antropologo.
Voglio sottolineare, da ultimo, che la storia scritta dai vincitori non ci interessa e non ci convince più. Vogliamo la verità storica sul risorgimento. Vogliamo che i nostri giovani sappiano che si è trattato di un massacro con annessa rapina. Pontelandolfo e Casalduni, le altre stragi, le fucilazioni e gli stupri ai danni di meridionali civili inermi non sono più nascosti. Uno stato civile e progredito come l’Italia non può più nascondere la verità dietro gli scritti di “pennivendoli salariati”, anzi, per dirla con Antonio Gramsci: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti”. Domenico Romeo

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Ha sollevato un polverone l’articolo de "La Repubblica",  ieri, a firma di un giornalista poco informato non solo sulle vicende post-unitarie, ma sui dettami forensi dell’antropologia criminale, in cui è stato attaccato con incalzante tono denigratorio e diffamatorio il Partito Del Sud ed i movimenti a tutela della dignità della storia.
Ad essere citato in tale articolo è stato proprio uno dei responsabili della sezione lametina, il Prof. Francesco Antonio Cefalì, senza che l’interessato sia stato messo a conoscenza o abbia fornito dettagli precisi, all’autore del pezzo, su argomentazioni d’interesse. 
Non è stata posta offesa al Professore lametino, ma sono stati utilizzati solo i toni di discredito culturale verso il senso della dignità di chi, storicamente, è riuscito a dimostrare la deportazione dei meridionali e dei calabresi da parte dei Savoia, verso il lager di Fenestrelle. 
Un attacco negazionista, al servizio del negazionismo, che utilizza ancora una volta la scusante del cranio di Villella per coprire crimini efferati del passato. Un attacco che utilizza la pseudo-scienza, fornendola al servizio di ideologie e tesi abberranti che nulla hanno a che fare con la storia, i diritti umani e la scienza stessa. 
Un attacco denigratorio che non ha risparmiato nemmeno il Comitato No Lombroso, la cui finalità di tutela verso il genere umano e rifiuto verso l’eugenetica criminale (quest’ultima attivata dal Lombroso), è stata artificiosamente sostituita e bollata come causa anti-nazionale e nostalgicamente borbonica. 
Nulla di più falso. 
Questa è la risposta della sezione calabrese del Partito Del Sud a firma di Francesco Antonio Cefalì (Coordinatore Sezione Michelina De Cesare Partito del Sud Lamezia Terme) e Franco Gallo (Coordinatore Provinciale Partito del Sud Catanzaro)

Continuano le falsità sul popolo meridionale.

Oggi, leggendo su Repubblica l’articolo “L’ultima polemica su Lombroso, minacce alla studiosa che lo difende”, scritto da un giornalista che, a mio sommesso avviso, farebbe meglio a documentarsi prima di scrivere, ho capito che continuano le falsità sul popolo meridionale.
Come si fa a negare la realtà e dire che “esponenti di quei movimenti neo-borbonici e antiunitari che da tempo, mediante un sostanziale stravolgimento e una manipolazione della storia d’Italia e del Risorgimento, impazzano sul web, attaccando e insultando chiunque non la pensi come loro”?
Le nostre contestazioni, come Partito del Sud, sono state e sempre saranno improntate al rispetto ed alla civiltà. Anzi prendiamo fermamente le distanze da tutti coloro che eventualmente abbiano proferito insulti o minacce all’indirizzo della Dott.ssa Milicia alla quale facciamo pervenire, pur nella diversità delle idee, la nostra più sentita solidarietà umana. Tuttavia ci corre l’obbligo di sottolineare quanto segue:
Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato pre-unitario più prospero, dove l'emigrazione era sconosciuta e la cui popolazione non aveva alcun desiderio di unirsi alla restante parte della penisola. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e la sua politica di fiera indipendenza, cozzavano con gli interessi delle grandi potenze europee e dei Savoia.
Prima dell’annessione forzata, il Regno delle Due Sicilie aveva una riserva aurea di ben 443,2 in milioni di lire (Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso, Il Sud e l'Unità d'Italia; dati ricavato da: Francesco Saverio Nitti, Scienze delle Finanze) contro gli 8,1 milioni di lire della Lombardia ed i 27,00 del Piemonte. Quindi, il Regno delle Due Sicilie aveva quasi due volte più monete di tutti gli altri Stati della Penisola uniti assieme.
Dai dati ufficiali del primo censimento del Regno d’Italia del 1861 si evince che:                      
- La regione con la più alta percentuale di popolazione attiva occupata nell’industria era la Calabria (28,8%) seguita dalla Campania (23,2%) e dalla Sicilia (23,1%). 
- La più alta percentuale di occupati nell’agricoltura era in Valle d’Aosta (90%), seguiva il Friuli Venezia Giulia (81,8%) e in fine Piemonte e Umbria (81,1%). 
Nel 1859 il Regno di Napoli aveva un debito pubblico (Giacomo Savarese 1862) di 411.475.000 milioni contro i 1.121.430.000 milioni del Piemonte (59,03 debito pro-capite nel Regno di Napoli contro i 261,86 del Piemonte).
Fino al 1860 l’emigrazione riguardava: Veneto (17,90 %), Friuli-Venezia Giulia (16,1%) e Piemonte (13,50%), mentre era quasi sconosciuta al Sud.
Nessuno ha mai detto che Giuseppe Villella di Motta S. Lucia sia stato un eroe; tutti invece pensiamo che sia stato uno dei tanti martiri del Risorgimento.
Infatti, il “presunto brigante” Giuseppe Villella, nacque a Motta S. Lucia nel 1795, secondo quanto scrisse Cesare Lombroso nella relativa autopsia del 16 agosto 1864, riportata integralmente dal direttore del Museo Universitario Silvano Montaldo nel suo libro, scritto insieme a Paolo Tappero (pag. 5). Ebbene, consultando gli archivi dei processi, dal 1816 al 1862, svolti dalla Gran Corte Criminale di Catanzaro e da quella di Cosenza nonché i processi dei Tribunali di Nicastro e di Cosenza del 1863 e 1864, si può affermare con assoluta certezza che, il Giuseppe Villella in oggetto, non fu un brigante ma un uomo totalmente estraneo a fatti malavitosi. 
E’ pure vero che un Giuseppe Villella, di Pietro, di Motta S. Lucia nato intorno al 1804, fu coinvolto in un solo processo nel 1844, per un reato talmente lieve da essere condannato solo alla relegazione “….per avere assistito e facilitato Carmine Ajello, la notte del 29 luglio 1843, ad un furto, inferiore a trenta carlini, ai danni di Nicola Gigliotti suo compaesano….”
Giuseppe Villella, di Pietro, però morì all'Ospedale S. Matteo di Pavia il 15 Novembre del 1864, in una data e per una malattia diversa da quella indicata dall’antropologo.
Voglio sottolineare, da ultimo, che la storia scritta dai vincitori non ci interessa e non ci convince più. Vogliamo la verità storica sul risorgimento. Vogliamo che i nostri giovani sappiano che si è trattato di un massacro con annessa rapina. Pontelandolfo e Casalduni, le altre stragi, le fucilazioni e gli stupri ai danni di meridionali civili inermi non sono più nascosti. Uno stato civile e progredito come l’Italia non può più nascondere la verità dietro gli scritti di “pennivendoli salariati”, anzi, per dirla con Antonio Gramsci: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti”. Domenico Romeo

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