venerdì 21 febbraio 2014

PUR’IO VOGLIO RIFLETTERE!

di Bruno Pappalardo

Come ben è ben noto non sono un illuminato studioso e, dunque, non posseggo sussiego perché in genere mi pongo umile e remissivo e sempre assai rispettoso per chi, al contrario, è profondo pozzo di “sapere”.

Anch’io tuttavia vorrò porre delle riflessioni
Non so se ne sarò capace!!?. 

Posseggo qualche libro di epoca passata e non tutti partigiani o esaltati della sinistra che fu o addirittura e perfino aggiungo, del “comunismo”
Posseggo, ad esempio, la Questione (che G. scrive quistione) meridionale” di Gramsci, … una edizione del 1970 di EE. RR. di Franco De Felice e Valentina Parlato. 

Allora avevo 18 anni e fu l’anno che per la prima volta potevo toccare il cielo con un dito attraversando la soglia di un seggio elettorale; ero nel partito comunista da almeno due anni (FGCI) e per me era un momento magico.
Ricordo bene la faccenda della gestione di un quartiere o territorio o regione se poteva acquisire una propria autonomia con dei propri uomini del posto o, sempre, veramente sempre, questi dovevano fare ed eseguire gli ordini disposti dalla segreteria generale del Partito.
Le disposizioni giungevano nelle numerose sezioni come quel dispositivo inventato da Totò quando, affamato, calava dalla sua finestra, una fune con un gancio all’estremità per afferrare un prosciutto o un provolone esposto dalla salumaio di sotto.
I provoloni eravamo noi!
Quello che tiravano su erano le nostre anime e cervelli. 

C’era poco margine e generalmente gli ordini non si discutevano. Se me parlava eccome e quante critiche suscitavano quelle disposizioni. Il segretario di sezione redigeva un verbale circostanziato ( più o meno) che inviava al “provinciale” e poi al “regionale” fino a Botteghe Oscure. Era certo che venivano lette perché c’era sempre qualcuno che veniva chiamato alla sede dello UNITA’ per ridiscutere velocemente della questione e poi spedito alle Frattocchie ossia la Scuola Centrale del Partito Comunista o dei “quadri” detto anche Istituto “Palmiro Togliatti”.

Insomma spero di riuscire a dare, tutti giorni o appena potrò nella settimana, degli spunti sul mondo del meridionalismo (…e non solo) proposto da uomini di rilevante interesse politico del passato ma da suscitare (spero) delle rielaborazioni, ripensamenti, raggiustamenti, smussature delle proprie mille convinzioni, tenute per anni, invece da ottundere, insomma spianare un piccolissimo percorso tra la sabbia nell’ aspettazione che resti qualcosa a tutti.

Mi piacerebbe iniziare a scrivere e discorrere ad esempio ( anche da studiare) proprio di Giorgio Amendola e di come volle giudicare, il Sud, come risorsa che ultimamente mi è giunto, letto altrove, come vera rivelazione. Spero, soprattutto di riuscire e di non rompere troppo!!



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di Bruno Pappalardo

Come ben è ben noto non sono un illuminato studioso e, dunque, non posseggo sussiego perché in genere mi pongo umile e remissivo e sempre assai rispettoso per chi, al contrario, è profondo pozzo di “sapere”.

Anch’io tuttavia vorrò porre delle riflessioni
Non so se ne sarò capace!!?. 

Posseggo qualche libro di epoca passata e non tutti partigiani o esaltati della sinistra che fu o addirittura e perfino aggiungo, del “comunismo”
Posseggo, ad esempio, la Questione (che G. scrive quistione) meridionale” di Gramsci, … una edizione del 1970 di EE. RR. di Franco De Felice e Valentina Parlato. 

Allora avevo 18 anni e fu l’anno che per la prima volta potevo toccare il cielo con un dito attraversando la soglia di un seggio elettorale; ero nel partito comunista da almeno due anni (FGCI) e per me era un momento magico.
Ricordo bene la faccenda della gestione di un quartiere o territorio o regione se poteva acquisire una propria autonomia con dei propri uomini del posto o, sempre, veramente sempre, questi dovevano fare ed eseguire gli ordini disposti dalla segreteria generale del Partito.
Le disposizioni giungevano nelle numerose sezioni come quel dispositivo inventato da Totò quando, affamato, calava dalla sua finestra, una fune con un gancio all’estremità per afferrare un prosciutto o un provolone esposto dalla salumaio di sotto.
I provoloni eravamo noi!
Quello che tiravano su erano le nostre anime e cervelli. 

C’era poco margine e generalmente gli ordini non si discutevano. Se me parlava eccome e quante critiche suscitavano quelle disposizioni. Il segretario di sezione redigeva un verbale circostanziato ( più o meno) che inviava al “provinciale” e poi al “regionale” fino a Botteghe Oscure. Era certo che venivano lette perché c’era sempre qualcuno che veniva chiamato alla sede dello UNITA’ per ridiscutere velocemente della questione e poi spedito alle Frattocchie ossia la Scuola Centrale del Partito Comunista o dei “quadri” detto anche Istituto “Palmiro Togliatti”.

Insomma spero di riuscire a dare, tutti giorni o appena potrò nella settimana, degli spunti sul mondo del meridionalismo (…e non solo) proposto da uomini di rilevante interesse politico del passato ma da suscitare (spero) delle rielaborazioni, ripensamenti, raggiustamenti, smussature delle proprie mille convinzioni, tenute per anni, invece da ottundere, insomma spianare un piccolissimo percorso tra la sabbia nell’ aspettazione che resti qualcosa a tutti.

Mi piacerebbe iniziare a scrivere e discorrere ad esempio ( anche da studiare) proprio di Giorgio Amendola e di come volle giudicare, il Sud, come risorsa che ultimamente mi è giunto, letto altrove, come vera rivelazione. Spero, soprattutto di riuscire e di non rompere troppo!!



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