martedì 14 gennaio 2014

Le loro colpe e le nostre responsabilità

Parte la collaborazione mensile di Giovanni Cutolo con Webnapoli24 per la rubrica "Riflessioni meridionaliste"...





catalognaNella vita, in quella degli uomini come in quella dei popoli, alle volte si vince e altre invece si perde. Occorre però sottolineare che si può vincere bene o male, così come si può perdere bene o male. 

Alla luce di questa premessa dovremmo convenire sul fatto che la vicenda storica che condusse all’unità d’Italia soffrì, ha molto sofferto e ancora molto soffre, del mediocre comportamento di entrambe i contendenti. Andrebbe da parte nostra onestamente riconosciuto con autocritico coraggio il fatto incontrovertibile che, se da un lato i piemontesi si comportarono come dei pessimi vincitori, dall’altro noi napoletani fummo dei pessimi perdenti, che si comportarono in maniera forse ancora peggiore. 

Resisto alla tentazione di ritornare sulle malefatte e sulle innumerevoli prove dell’inopportuna crudeltà dell’esercito piemontese in quella che fu a tutti gli effetti una guerra civile e sulle ancora più numerose prove della ottusità politica dei piemontesi come vincitori. Sono tutte cose documentate, ampiamente descritte e variamente raccontate da autori come Ciano, Di Fiore, Aprile, Patruno e tanti altri, meritori protagonisti della stagione di quel nuovo revisionismo storico venuto alla ribalta da una decina di anni a questa parte. 

Vorrei invece fare una riflessione rispetto al comportamento tenuto da noi perdenti, napoletani e altre genti del Sud, a partire dal momento in cui, centocinquantaquattro anni fa, perdemmo la guerra e con essa un’indipendenza (?) durata oltre settecento anni. 

Poco meno di centocinquanta anni prima, per l’esattezza l’11 Settembre 1714, i catalani perdevano la loro indipendenza, sconfitti militarmente dalle truppe spagnole guidate da Filippo V di Borbone (sic!). 
Trecento anni fa i catalani persero la guerra contro gli spagnoli e furono espropriati di quasi tutto; persero il diritto all’autogoverno e con esso dovettero rinunciare all’utilizzo dei simboli caratteristici della propria autonomia. Per oltre quarant’anni, essendosi macchiati della colpa di aver combattuto contro la dittatura franchista come catalani, ma anche e soprattutto come anarchici, comunisti e socialisti, furono privati persino della bandiera, della lingua e del diritto di riunione in numero superiore a cinque individui e addirittura di danzare la sardana all’uscita dalla chiesa la domenica. 

Trecento anni fa i catalani persero militarmente ma non civilmente, essendo riusciti a conservare sino a oggi un diffuso e orgoglioso senso di appartenenza che li ha aiutati a rimanere catalani. Da oltre cento anni in Catalogna l’11 Settembre è giornata di festa (sic!) per ricordare la sconfitta, ripeto, la sconfitta subita nel 1714! Nelle scuole di Barcellona, dalle materne all’Università si parla e si studia in catalano e lo spagnolo è obbligatorio, ma è la seconda lingua soltanto. 

Oggi la Catalogna gode di una notevole autonomia ma ancora si batte per ottenere il riconoscimento di nazione e l’indipendenza e poi, chissà, riunirsi alla Spagna all’interno di un nuovo patto federale. Sono passati trecento anni e i catalani continuano a lottare politicamente e, per conservare la propria memoria storica, continuano a celebrare una sconfitta!!! E noi?

Giovanni Cutolo



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Parte la collaborazione mensile di Giovanni Cutolo con Webnapoli24 per la rubrica "Riflessioni meridionaliste"...





catalognaNella vita, in quella degli uomini come in quella dei popoli, alle volte si vince e altre invece si perde. Occorre però sottolineare che si può vincere bene o male, così come si può perdere bene o male. 

Alla luce di questa premessa dovremmo convenire sul fatto che la vicenda storica che condusse all’unità d’Italia soffrì, ha molto sofferto e ancora molto soffre, del mediocre comportamento di entrambe i contendenti. Andrebbe da parte nostra onestamente riconosciuto con autocritico coraggio il fatto incontrovertibile che, se da un lato i piemontesi si comportarono come dei pessimi vincitori, dall’altro noi napoletani fummo dei pessimi perdenti, che si comportarono in maniera forse ancora peggiore. 

Resisto alla tentazione di ritornare sulle malefatte e sulle innumerevoli prove dell’inopportuna crudeltà dell’esercito piemontese in quella che fu a tutti gli effetti una guerra civile e sulle ancora più numerose prove della ottusità politica dei piemontesi come vincitori. Sono tutte cose documentate, ampiamente descritte e variamente raccontate da autori come Ciano, Di Fiore, Aprile, Patruno e tanti altri, meritori protagonisti della stagione di quel nuovo revisionismo storico venuto alla ribalta da una decina di anni a questa parte. 

Vorrei invece fare una riflessione rispetto al comportamento tenuto da noi perdenti, napoletani e altre genti del Sud, a partire dal momento in cui, centocinquantaquattro anni fa, perdemmo la guerra e con essa un’indipendenza (?) durata oltre settecento anni. 

Poco meno di centocinquanta anni prima, per l’esattezza l’11 Settembre 1714, i catalani perdevano la loro indipendenza, sconfitti militarmente dalle truppe spagnole guidate da Filippo V di Borbone (sic!). 
Trecento anni fa i catalani persero la guerra contro gli spagnoli e furono espropriati di quasi tutto; persero il diritto all’autogoverno e con esso dovettero rinunciare all’utilizzo dei simboli caratteristici della propria autonomia. Per oltre quarant’anni, essendosi macchiati della colpa di aver combattuto contro la dittatura franchista come catalani, ma anche e soprattutto come anarchici, comunisti e socialisti, furono privati persino della bandiera, della lingua e del diritto di riunione in numero superiore a cinque individui e addirittura di danzare la sardana all’uscita dalla chiesa la domenica. 

Trecento anni fa i catalani persero militarmente ma non civilmente, essendo riusciti a conservare sino a oggi un diffuso e orgoglioso senso di appartenenza che li ha aiutati a rimanere catalani. Da oltre cento anni in Catalogna l’11 Settembre è giornata di festa (sic!) per ricordare la sconfitta, ripeto, la sconfitta subita nel 1714! Nelle scuole di Barcellona, dalle materne all’Università si parla e si studia in catalano e lo spagnolo è obbligatorio, ma è la seconda lingua soltanto. 

Oggi la Catalogna gode di una notevole autonomia ma ancora si batte per ottenere il riconoscimento di nazione e l’indipendenza e poi, chissà, riunirsi alla Spagna all’interno di un nuovo patto federale. Sono passati trecento anni e i catalani continuano a lottare politicamente e, per conservare la propria memoria storica, continuano a celebrare una sconfitta!!! E noi?

Giovanni Cutolo



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