martedì 1 maggio 2012

Serge Latouche, la decrescita è vitale. E il Mezzogiorno e le donne ne sono la linfa


L'economista Serge Latouche in uno scatto del 2000 (Credits: Imagoeconomica)
L'economista Serge Latouche in uno scatto del 2000 (Credits: Imagoeconomica)
C’era anche Serge Latouche lo scorso giovedì a Napoli, al seminario organizzato dalla Fics, Federazione Internazionale Città Sociale, rete di enti no-profit con una tradizione scientifica e culturale laica con base in Campania. Il professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud 11 è tornato sul tema della decrescita, contestualizzandolo questa volta nella realtà economico-sociale delle regioni meridionali italiane.
“Dovremmo tornare a una società che valorizza il ruolo femminile da contrapporre al produttivismo tipicamente maschile - ha dichiarato -. La decrescita sarà messa in atto dalle donne o non si realizzerà affatto”. E in vista di un cambio di passo dell’economia le realtà meridionali sarebbero in posizione di vantaggio: “La società americana senza il lavoro va in crisi, perchè lì si sono perse le relazioni umane. Ecco perchè il Mezzogiorno è più preparato alla crisi e qui sarà più facile attuare le politiche di decrescita”.
La spiegazione a quello che suona come un ossimoro paradossale si può trovare nel suo ultimo saggio, arrivato nelle librerie proprio a gennaio. Intitolato “Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita”, il libro mette sotto processo le teorie dello sviluppo infinito e la società dei consumi che ne è il prodotto e propone come alternativa la società conviviale: “Una società non più sottomessa alla sola legge del mercato, ma dove il dare, il ricevere e lo scambiare sono al centro delle relazioni sociali”.
Latouche, quindi, non poteva trovare palcoscenico migliore di quello di Napoli per rilanciare l’idea e richiamarsi all’economia civile napoletana di Antonio Genovesi, uno dei fautori della moderna economia politica. “Io non sono per l’austerità, sono per la solidarietà - ha precisato Latouche -, un valore tipico della società conviviale, nonchè via privilegiata per l’abbondanza”. Il richiamo è alle teorie di Marshall Sahlins: “Nel suo libro “Economia dell’età della pietra”, Sahlins dimostra che l’unica società dell’abbondanza della storia umana sia stata quella del paleolitico, perchè allora tutti gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare le loro necessità con due o tre ore di attività al giorno, il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme”.
L’anello debole della catena, dunque, è ancora il consumo: “Per consumare si deve creare uno stato di insoddisfazione permanente”, osserva il professore e auspica: “Dobbiamo tornare a un’economia informale in cui si può essere ingegnosi senza essere ingegneri, ragionevoli senza essere razionali”.
A ben guardare, dunque, non è detto che la decrescita debba coincidere con sostantivi di sottrazione, come già preconizzato, fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta dai pionieri della decrescita stessa, Ernst “Fritz” Schumacher in testa. Con il suo saggio “Piccolo è bello”, l’economista britannico aveva introdotto l’idea di “Economia Buddhista”, il cui scopo è massimizzare il benessere minimizzando il consumo.
E anche Latouche, il testimonial più noto delle economie a misura d’uomo, nasconde nelle pieghe di un discorso tenuto lo scorso febbraio all’auditorium dell’Università di Bologna, il denominatore comune in grado di conciliare le posizioni del mercato e di chi, dal lato opposto, auspica il meno-è-meglio. “L’obiettivo dell’economia della crescita è la crescita fine a se stessa, non la crescita per soddisfare dei bisogni”, dichiarava il professore, facendosi (inaspettatamente) portavoce della “decostruzione creativa”, una delle critiche liberaliste al tema della decrescita.
Ed è proprio sul tema del bisogno che lo spazio per la crescita rispettosa del pianeta potrebbe realizzarsi, facendo ricorso a risorse inesauribili: quel capitale di idee e di innovazione di cui - per esempio - il genio italiano è sempre stato particolarmente dotato. Anche al sud, come Antonio Genovesi dimostra.

Fonte: Panorama

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L'economista Serge Latouche in uno scatto del 2000 (Credits: Imagoeconomica)
L'economista Serge Latouche in uno scatto del 2000 (Credits: Imagoeconomica)
C’era anche Serge Latouche lo scorso giovedì a Napoli, al seminario organizzato dalla Fics, Federazione Internazionale Città Sociale, rete di enti no-profit con una tradizione scientifica e culturale laica con base in Campania. Il professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud 11 è tornato sul tema della decrescita, contestualizzandolo questa volta nella realtà economico-sociale delle regioni meridionali italiane.
“Dovremmo tornare a una società che valorizza il ruolo femminile da contrapporre al produttivismo tipicamente maschile - ha dichiarato -. La decrescita sarà messa in atto dalle donne o non si realizzerà affatto”. E in vista di un cambio di passo dell’economia le realtà meridionali sarebbero in posizione di vantaggio: “La società americana senza il lavoro va in crisi, perchè lì si sono perse le relazioni umane. Ecco perchè il Mezzogiorno è più preparato alla crisi e qui sarà più facile attuare le politiche di decrescita”.
La spiegazione a quello che suona come un ossimoro paradossale si può trovare nel suo ultimo saggio, arrivato nelle librerie proprio a gennaio. Intitolato “Per un’abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita”, il libro mette sotto processo le teorie dello sviluppo infinito e la società dei consumi che ne è il prodotto e propone come alternativa la società conviviale: “Una società non più sottomessa alla sola legge del mercato, ma dove il dare, il ricevere e lo scambiare sono al centro delle relazioni sociali”.
Latouche, quindi, non poteva trovare palcoscenico migliore di quello di Napoli per rilanciare l’idea e richiamarsi all’economia civile napoletana di Antonio Genovesi, uno dei fautori della moderna economia politica. “Io non sono per l’austerità, sono per la solidarietà - ha precisato Latouche -, un valore tipico della società conviviale, nonchè via privilegiata per l’abbondanza”. Il richiamo è alle teorie di Marshall Sahlins: “Nel suo libro “Economia dell’età della pietra”, Sahlins dimostra che l’unica società dell’abbondanza della storia umana sia stata quella del paleolitico, perchè allora tutti gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare le loro necessità con due o tre ore di attività al giorno, il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa, allo stare insieme”.
L’anello debole della catena, dunque, è ancora il consumo: “Per consumare si deve creare uno stato di insoddisfazione permanente”, osserva il professore e auspica: “Dobbiamo tornare a un’economia informale in cui si può essere ingegnosi senza essere ingegneri, ragionevoli senza essere razionali”.
A ben guardare, dunque, non è detto che la decrescita debba coincidere con sostantivi di sottrazione, come già preconizzato, fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta dai pionieri della decrescita stessa, Ernst “Fritz” Schumacher in testa. Con il suo saggio “Piccolo è bello”, l’economista britannico aveva introdotto l’idea di “Economia Buddhista”, il cui scopo è massimizzare il benessere minimizzando il consumo.
E anche Latouche, il testimonial più noto delle economie a misura d’uomo, nasconde nelle pieghe di un discorso tenuto lo scorso febbraio all’auditorium dell’Università di Bologna, il denominatore comune in grado di conciliare le posizioni del mercato e di chi, dal lato opposto, auspica il meno-è-meglio. “L’obiettivo dell’economia della crescita è la crescita fine a se stessa, non la crescita per soddisfare dei bisogni”, dichiarava il professore, facendosi (inaspettatamente) portavoce della “decostruzione creativa”, una delle critiche liberaliste al tema della decrescita.
Ed è proprio sul tema del bisogno che lo spazio per la crescita rispettosa del pianeta potrebbe realizzarsi, facendo ricorso a risorse inesauribili: quel capitale di idee e di innovazione di cui - per esempio - il genio italiano è sempre stato particolarmente dotato. Anche al sud, come Antonio Genovesi dimostra.

Fonte: Panorama

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