domenica 18 marzo 2012

GARIBALDI, CAVOUR, VITTORIO EMANUELE E FRANCESCHIELLO

di Biagio Corbelli


È proprio vero che il risorgimento è uno dei periodi storici meno conosciuti dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Altrimenti non si spiega come ancora oggi ci ostiniamo a chiamare padri della patria:

Giuseppe Garibaldi, ex marinaio poi mercenario e massone spacciato per eroe al soldo "anche del diavolo purché paghi"; fu definito sfondatore di porte aperte dai suoi contemporanei.

Camillo Benso Conte di Cavour, massone - proprietario di mulini- agli ordini di Mister Albert Pike capo della massoneria inglese e primo ministro di sua maestà britannica; il conte inoltre era famoso all'epoca perché speculatore senza scrupolo; non era mai stato più a sud di Firenze.

Vittorio Emanuele Il di Savoia, un re detto galantuomo il quale, appena quattro mesi prima della partenza di Garibaldi da Quarto scrisse a Francesco Il di Borbone: "La casa Savoia non è mossa da fini ambiziosi o da brama di signoreggiare l'Italia ... lungi dal volere e dal desiderare che sia turbato alla reale casa di Napoli il pacifico possesso degli Stati che le appartengono ... non sarebbe migliore salvaguardia dell'indipendenza d'Italia che il buon accordo fra i due maggiori potentati di essa".

Bugiardo e violatore del diritto internazionale in quanto invasore senza dichiarazione di guerra.

Tale padre della patria galantuomo, per ribadire l'annessione degli altri stati pre unitari al regno Sabaudo con il nome di regno d'Italia, è voluto rimanere con l'ordine dinastico Il, e per confondere gli ingenui in merito disse: " ... parevagli, qualora avesse assunto questo secondo titolo, (cioè Vittorio Emanuele I Re d'Italia ) commettere ingratitudine verso i gloriosi avi suoi, i quali certamente avevano col senno e con la spada apparecchiata a lui di lunga mano la corona che oggi gli cingeva il capo."

Ebbene tali padri della patria, ci dicono i libri scritti dai vinti, tutto avevano a cuore tranne il sentimento di unire un popolo - che in comune aveva solo la lingua scritta - sotto un unico stato. Il disegno politico e quello economico erano ben altri.
L'obbiettivo politico di Inghilterra e Francia, e non del popolo che abitava la penisola, era quello di contrastare e annientare le monarchie cattoliche, per sostituirle con uno stato laico.
Il Regno delle Due Sicilie, cattolicissimo, non era avviato al liberismo e quindi era nemico. Di conseguenza isolato. Rappresentava un cattivo esempio per i massoni liberali; era una nazione di 9.000.000 di abitanti ricca, con industria, economia e agricoltura fiorenti ed avviati e con un'emigrazione pari a zero. Vero è che i Borbone tarpavano le ali alla borghesia di pensiero liberale che voleva crescere economicamente con ogni mezzo, così come poi fece.

Attraverso l'azione di Ferdinando Il, che sapeva accogliere e tradurre in pratica le buone idee che provenivano da tutti i movimenti di pensiero di allora, tale Regno non sarebbe mai diventato libero mercato per speculatori o per l'Inghilterra. Quest'ultima importava gratis materie prime dalle sue colonie, le trasformava attraverso il suo sistema industriale già avviato e le rivendeva nei mercati di tutto il mondo. I prezzi praticati erano, di conseguenza, più competitivi di quelli degli artigiani locali. Tutto ciò successe poi anche nel neonato regno d'Italia. Il Regno delle Due Sicilie, vantava un sistema bancario efficiente, all'avanguardia e capace di comandare lavoro, ed era una nazione economicamente autonoma.

I suoi primati in tutti i settori sono noti oramai a tutti. Basta ricordare soltanto che prima dell'invasione piemontese il suo prodotto interno lordo era superiore a quello degli altri stati pre unitari.

Il che ne faceva un formidabile concorrente economico a livello europeo. In merito al disegno economico, il regno sabaudo era stato in quegli anni più volte vicino al fallimento e nel 1859 era piegato dai debiti. Il grande statista aveva contratto debiti con i banchieri Rothschild per finanziare la cacciata dal lombardo veneto degli Austro-ungarici.
Doveva in tutti i modi allargare la base dei contribuenti per pagare i debiti. Inoltre i futuri aspiranti capitalisti vicini al Conte di Cavour, avevano bisogno della materia prima per finanziare la crescita dell'allora modesto apparato industriale del triangolo Torino-Genova- Milano. Nel Regno delle Due Sicilie c'era tutto ciò di cui egli aveva bisogno. Bisognava solamente strapparlo con la forza ai legittimi proprietari con una scusa credibile e con avventurieri disposti a correre il rischio per lui. Il conte non voleva apparire agli occhi dell'Europa come un invasore. Pensate che mentre Garibaldi era in viaggio verso la Sicilia, a scanso di equivoci si dissociò dall'azione del Nizzardo, rispondendo così alle proteste dei diplomatici che chiedevano conto della partita da Quarto dei 1089. "Uomo abbieftissimo"lo ha definito Giacinto de Sivo nella sua "Storia delle Due Sicilie da/1847 a/1863".

Ma i tempi erano maturi per i massoni liberali. L'opera di discredito verso i Borbone, iniziata alcuni decenni prima, era al culmine. Ferdinando Il è morto da un anno, gli è successo un ragazzo di 23 anni. Questi è circondato da traditori della patria del calibro di Liborio Romano, suo ministro dell'interno, primo e insuperabile esempio di come trasformare la camorra in una istituzione del regno d'Italia; da generali come Acton, Landi e Lanza autori - con il loro immobilismo pagato dal cassiere di Garibaldi Ippolito Nievo poi misteriosamente scomparso - del buon fine delle gesta del planetario eroe. Tali generali, con il loro comportamento da traditori, hanno fatto sì che fosse addossato il dispregiativo di "esercito di Franceschiello " ad un esercito che non vedeva l'ora di prendere Garibaldi ed i 1088 per fargli la festa in quanto invasori della loro patria. E ci sarebbe facilmente riuscito se, i sopra citati generali, non lo avesse prima tradito e poi trattenuto. Il De Sivo in merito offre delle pagine esilaranti sulle disavventure dei mille al loro sbarco in Sicilia.
Orbene, dopo che la borghesia delle Due Sicilie fu liberata dal giogo dei Borbone, che ne è stato del Bel Reame? Francesco Il visto l'orda barbarica che arrivava, non volendo lasciare morte e distruzione nella splendida Napoli allora capitale di livello europeo, e dopo 150 anni di governo dei fratelli d'Italia diventata invece capitale mondiale della spazzatura su strada, decise di difendere il suo regno nella fortezza di Gaeta. Ma non prima di aver detto al traditore Liborio Romano di far attenzione al suo collo ed una frase profetica ed attualissima: "I piemontesi non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere".

Questo ragazzo di 25 anni insieme a sua moglie ed al suo esercito, inviso e deriso dalla storia scritta dai vincitori, apostrofato con tanti soprannomi, resiste tre mesi a Gaeta sotto le bombe dei piemontesi comandate da un criminale di guerra chiamato Cialdini, il quale continua a bombardare la fortezza nonostante siano in corso le trattative per la resa.

Resa decisa a causa di una epidemia di tifo e dalla impossibilità di curare i feriti ed i malati.
Il poeta Russo raccogliendo la testimonianza di un sopravvissuto di Gaeta e raccontata nel 'O surdato e Gaeta', mostra la vera personalità di Francesco Il, vero eroe insieme a sua moglie Maria Sofia. Per Vittorio Emanuele III di Savoia, che nel 1943 lascia il paese allo sbando e se la fila alla chetichella, a confronto non c'è dispregiativo che gli si addica.
A questo punto i padri della patria avevano: il bottino di guerra, nove milioni di contribuenti in più e tantissimo oro da drenare dal Regno delle Due Sicilie.

Su 640.700.000 di lire-oro che costitui il capitale del neonato regno d'Italia, 445.200.000 furono razziati dal Regno delle Due Sicilie. Ma questo fu il meno.

Carlo Bombrini genovese governatore della Banca Nazionale, poi diventata Banca d'Italia, aveva un ben preciso disegno in testa owiamente in accordo con il conte. Disse, con riferimento agli imprenditori del Regno delle Due Sicilie: "Non dovranno mai più essere in grado di intraprendere".
Così fu e così continua ad essere tutt'ora.
Apparato industriale dismesso, tanto per fare un esempio le commeSSE;l non erano date più all'opificio di Pietrarsa con 2000 addetti, ma bensì all'Ansaldo di Genova con 500 addetti. Alle prime manifestazioni di protesta degli operai napoletani, i patriottici bersaglieri di Vittorio Emanuele II spararono sui dimostranti facendo morti e feriti. Il Banco delle due Sicilie, privato del potere di emissione di denaro, insieme al drenaggio dell'oro circolante attraverso il corso forzoso dei biglietti di carta della Banca Nazionale, fu privato del ruolo di protagonista e promotore del commercio del regno delle Due Sicilie e quindi del potere di comandare lavoro. Resistette finché poté, ma l'economia locale andava distrutta.

Infatti, per esempio, Carlo Bombrini figura tra gli esportatori genovesi che si impadronirono del mercato oleario meridionale, fonte generosa di valuta estera.
L'invasione di piemontesi nei posti chiave della nuova amministrazione nell'area duosiciliana, l'aumento ed istituzione di nuove tasse, dazi sulle merci a protezione di quelle prodotte nel nord Italia, e i bersaglieri comandati da barbari assassini fanno il resto.
Da una nazione che non conosceva disoccupazione, che sapeva guardare al futuro proteggendo tutte le classi sociali, il Regno delle Due Sicilie è trasformato dai padri della patria in una colonia. Dal 1861 ad oggi sono 25.000.000 le persone nate nell'ex Regno delle Due Sicilie ed emigrate in tutto il mondo per lavoro.
Questa forza lavoro ha contribuito alla crescita economica di stati europei, delle americhe e del continente Australiano insieme a tanti altri emigrati di altri paesi del mondo.
Ma quello che sfugge a tanti è che una parte di essa ha contribuito da sola alla crescita economica dell'Italia del nord. Penso a chi, ancora oggi, beneficia degli effetti dello scempio realizzato più di 150 anni fa a danno dell'ex Regno delle Due Sicilie, che magari legge libri, articoli e pubblicazioni inneggianti ai cosiddetti padri della patria, e se la ride pensando agli ingenui che credono alle favole del patriottismo e dell'Italia una ed indivisibile.
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di Biagio Corbelli


È proprio vero che il risorgimento è uno dei periodi storici meno conosciuti dalla stragrande maggioranza degli italiani.
Altrimenti non si spiega come ancora oggi ci ostiniamo a chiamare padri della patria:

Giuseppe Garibaldi, ex marinaio poi mercenario e massone spacciato per eroe al soldo "anche del diavolo purché paghi"; fu definito sfondatore di porte aperte dai suoi contemporanei.

Camillo Benso Conte di Cavour, massone - proprietario di mulini- agli ordini di Mister Albert Pike capo della massoneria inglese e primo ministro di sua maestà britannica; il conte inoltre era famoso all'epoca perché speculatore senza scrupolo; non era mai stato più a sud di Firenze.

Vittorio Emanuele Il di Savoia, un re detto galantuomo il quale, appena quattro mesi prima della partenza di Garibaldi da Quarto scrisse a Francesco Il di Borbone: "La casa Savoia non è mossa da fini ambiziosi o da brama di signoreggiare l'Italia ... lungi dal volere e dal desiderare che sia turbato alla reale casa di Napoli il pacifico possesso degli Stati che le appartengono ... non sarebbe migliore salvaguardia dell'indipendenza d'Italia che il buon accordo fra i due maggiori potentati di essa".

Bugiardo e violatore del diritto internazionale in quanto invasore senza dichiarazione di guerra.

Tale padre della patria galantuomo, per ribadire l'annessione degli altri stati pre unitari al regno Sabaudo con il nome di regno d'Italia, è voluto rimanere con l'ordine dinastico Il, e per confondere gli ingenui in merito disse: " ... parevagli, qualora avesse assunto questo secondo titolo, (cioè Vittorio Emanuele I Re d'Italia ) commettere ingratitudine verso i gloriosi avi suoi, i quali certamente avevano col senno e con la spada apparecchiata a lui di lunga mano la corona che oggi gli cingeva il capo."

Ebbene tali padri della patria, ci dicono i libri scritti dai vinti, tutto avevano a cuore tranne il sentimento di unire un popolo - che in comune aveva solo la lingua scritta - sotto un unico stato. Il disegno politico e quello economico erano ben altri.
L'obbiettivo politico di Inghilterra e Francia, e non del popolo che abitava la penisola, era quello di contrastare e annientare le monarchie cattoliche, per sostituirle con uno stato laico.
Il Regno delle Due Sicilie, cattolicissimo, non era avviato al liberismo e quindi era nemico. Di conseguenza isolato. Rappresentava un cattivo esempio per i massoni liberali; era una nazione di 9.000.000 di abitanti ricca, con industria, economia e agricoltura fiorenti ed avviati e con un'emigrazione pari a zero. Vero è che i Borbone tarpavano le ali alla borghesia di pensiero liberale che voleva crescere economicamente con ogni mezzo, così come poi fece.

Attraverso l'azione di Ferdinando Il, che sapeva accogliere e tradurre in pratica le buone idee che provenivano da tutti i movimenti di pensiero di allora, tale Regno non sarebbe mai diventato libero mercato per speculatori o per l'Inghilterra. Quest'ultima importava gratis materie prime dalle sue colonie, le trasformava attraverso il suo sistema industriale già avviato e le rivendeva nei mercati di tutto il mondo. I prezzi praticati erano, di conseguenza, più competitivi di quelli degli artigiani locali. Tutto ciò successe poi anche nel neonato regno d'Italia. Il Regno delle Due Sicilie, vantava un sistema bancario efficiente, all'avanguardia e capace di comandare lavoro, ed era una nazione economicamente autonoma.

I suoi primati in tutti i settori sono noti oramai a tutti. Basta ricordare soltanto che prima dell'invasione piemontese il suo prodotto interno lordo era superiore a quello degli altri stati pre unitari.

Il che ne faceva un formidabile concorrente economico a livello europeo. In merito al disegno economico, il regno sabaudo era stato in quegli anni più volte vicino al fallimento e nel 1859 era piegato dai debiti. Il grande statista aveva contratto debiti con i banchieri Rothschild per finanziare la cacciata dal lombardo veneto degli Austro-ungarici.
Doveva in tutti i modi allargare la base dei contribuenti per pagare i debiti. Inoltre i futuri aspiranti capitalisti vicini al Conte di Cavour, avevano bisogno della materia prima per finanziare la crescita dell'allora modesto apparato industriale del triangolo Torino-Genova- Milano. Nel Regno delle Due Sicilie c'era tutto ciò di cui egli aveva bisogno. Bisognava solamente strapparlo con la forza ai legittimi proprietari con una scusa credibile e con avventurieri disposti a correre il rischio per lui. Il conte non voleva apparire agli occhi dell'Europa come un invasore. Pensate che mentre Garibaldi era in viaggio verso la Sicilia, a scanso di equivoci si dissociò dall'azione del Nizzardo, rispondendo così alle proteste dei diplomatici che chiedevano conto della partita da Quarto dei 1089. "Uomo abbieftissimo"lo ha definito Giacinto de Sivo nella sua "Storia delle Due Sicilie da/1847 a/1863".

Ma i tempi erano maturi per i massoni liberali. L'opera di discredito verso i Borbone, iniziata alcuni decenni prima, era al culmine. Ferdinando Il è morto da un anno, gli è successo un ragazzo di 23 anni. Questi è circondato da traditori della patria del calibro di Liborio Romano, suo ministro dell'interno, primo e insuperabile esempio di come trasformare la camorra in una istituzione del regno d'Italia; da generali come Acton, Landi e Lanza autori - con il loro immobilismo pagato dal cassiere di Garibaldi Ippolito Nievo poi misteriosamente scomparso - del buon fine delle gesta del planetario eroe. Tali generali, con il loro comportamento da traditori, hanno fatto sì che fosse addossato il dispregiativo di "esercito di Franceschiello " ad un esercito che non vedeva l'ora di prendere Garibaldi ed i 1088 per fargli la festa in quanto invasori della loro patria. E ci sarebbe facilmente riuscito se, i sopra citati generali, non lo avesse prima tradito e poi trattenuto. Il De Sivo in merito offre delle pagine esilaranti sulle disavventure dei mille al loro sbarco in Sicilia.
Orbene, dopo che la borghesia delle Due Sicilie fu liberata dal giogo dei Borbone, che ne è stato del Bel Reame? Francesco Il visto l'orda barbarica che arrivava, non volendo lasciare morte e distruzione nella splendida Napoli allora capitale di livello europeo, e dopo 150 anni di governo dei fratelli d'Italia diventata invece capitale mondiale della spazzatura su strada, decise di difendere il suo regno nella fortezza di Gaeta. Ma non prima di aver detto al traditore Liborio Romano di far attenzione al suo collo ed una frase profetica ed attualissima: "I piemontesi non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere".

Questo ragazzo di 25 anni insieme a sua moglie ed al suo esercito, inviso e deriso dalla storia scritta dai vincitori, apostrofato con tanti soprannomi, resiste tre mesi a Gaeta sotto le bombe dei piemontesi comandate da un criminale di guerra chiamato Cialdini, il quale continua a bombardare la fortezza nonostante siano in corso le trattative per la resa.

Resa decisa a causa di una epidemia di tifo e dalla impossibilità di curare i feriti ed i malati.
Il poeta Russo raccogliendo la testimonianza di un sopravvissuto di Gaeta e raccontata nel 'O surdato e Gaeta', mostra la vera personalità di Francesco Il, vero eroe insieme a sua moglie Maria Sofia. Per Vittorio Emanuele III di Savoia, che nel 1943 lascia il paese allo sbando e se la fila alla chetichella, a confronto non c'è dispregiativo che gli si addica.
A questo punto i padri della patria avevano: il bottino di guerra, nove milioni di contribuenti in più e tantissimo oro da drenare dal Regno delle Due Sicilie.

Su 640.700.000 di lire-oro che costitui il capitale del neonato regno d'Italia, 445.200.000 furono razziati dal Regno delle Due Sicilie. Ma questo fu il meno.

Carlo Bombrini genovese governatore della Banca Nazionale, poi diventata Banca d'Italia, aveva un ben preciso disegno in testa owiamente in accordo con il conte. Disse, con riferimento agli imprenditori del Regno delle Due Sicilie: "Non dovranno mai più essere in grado di intraprendere".
Così fu e così continua ad essere tutt'ora.
Apparato industriale dismesso, tanto per fare un esempio le commeSSE;l non erano date più all'opificio di Pietrarsa con 2000 addetti, ma bensì all'Ansaldo di Genova con 500 addetti. Alle prime manifestazioni di protesta degli operai napoletani, i patriottici bersaglieri di Vittorio Emanuele II spararono sui dimostranti facendo morti e feriti. Il Banco delle due Sicilie, privato del potere di emissione di denaro, insieme al drenaggio dell'oro circolante attraverso il corso forzoso dei biglietti di carta della Banca Nazionale, fu privato del ruolo di protagonista e promotore del commercio del regno delle Due Sicilie e quindi del potere di comandare lavoro. Resistette finché poté, ma l'economia locale andava distrutta.

Infatti, per esempio, Carlo Bombrini figura tra gli esportatori genovesi che si impadronirono del mercato oleario meridionale, fonte generosa di valuta estera.
L'invasione di piemontesi nei posti chiave della nuova amministrazione nell'area duosiciliana, l'aumento ed istituzione di nuove tasse, dazi sulle merci a protezione di quelle prodotte nel nord Italia, e i bersaglieri comandati da barbari assassini fanno il resto.
Da una nazione che non conosceva disoccupazione, che sapeva guardare al futuro proteggendo tutte le classi sociali, il Regno delle Due Sicilie è trasformato dai padri della patria in una colonia. Dal 1861 ad oggi sono 25.000.000 le persone nate nell'ex Regno delle Due Sicilie ed emigrate in tutto il mondo per lavoro.
Questa forza lavoro ha contribuito alla crescita economica di stati europei, delle americhe e del continente Australiano insieme a tanti altri emigrati di altri paesi del mondo.
Ma quello che sfugge a tanti è che una parte di essa ha contribuito da sola alla crescita economica dell'Italia del nord. Penso a chi, ancora oggi, beneficia degli effetti dello scempio realizzato più di 150 anni fa a danno dell'ex Regno delle Due Sicilie, che magari legge libri, articoli e pubblicazioni inneggianti ai cosiddetti padri della patria, e se la ride pensando agli ingenui che credono alle favole del patriottismo e dell'Italia una ed indivisibile.

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