martedì 21 febbraio 2012

Sud Italia, questo non è un Paese per donne

Nel Meridione italiano oltre mezzo milione di donne sfugge alle statistiche della disoccupazione ufficiale, così da portare il tasso di disoccupazione corretto nel 2010 al 30,6 percento. A queste vanno aggiunte 575mila persone disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro. Mentre le poche assunte regolarmente (tra le giovani meno di una su quattro) hanno uno stipendio inferiore di oltre il 30 percento rispetto a un uomo del Centro-Nord.

I dati di una ricerca condotta dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) rivelano in maniera preoccupante come, in due anni, in Italia, dal 2008 al 2010, oltre centomila donne hanno perso il posto di lavoro. Il Mezzogiorno è un caso unico: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 percento, rispetto al 54,8 percento del Centro-Nord. Un divario dal resto d’Europa di quasi trenta punti (la media europea nel 2010 è 58,2 percento).

A fare la differenza tra il tasso di disoccupazione ufficiale del 15,4 percento e quello ‘corretto’ sono le donne che non risultano né tra gli occupati né tra i disoccupati, ma che “informalmente’ si barcamenano tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso. In questo senso, includendo queste categorie, il tasso di disoccupazione corretto femminile al Sud nel 2010 schizzerebbe al 30,6 percento, il doppio di quello ufficiale. In cifre, i valori si triplicano: le 393 mila disoccupate ufficiali, unite alle 560 mila implicite, diventano 953mila.

Discorso a parte, poi, per le ‘scoraggiate’, disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro, in base alla definizione Istat. Delle 893 mila donne italiane che si trovano in questa condizione, per la ricerca Svimez 575 mila sono al Sud.

Su una popolazione di donne di età compresa tra i 15 e i 64 anni al Sud solo meno di una su tre, pari al 30,5 percento, lavora regolarmente. “Situazione ancora più critica se si considerano le donne under 34: qui il tasso di occupazione crolla al 23,3 percento, pari a meno di una su quattro”, si legge nel comunicato dell’istituto di ricerca.

A complicare ulteriormente il quadro, la differenza di stipendio. In base all’analisi Svimez, a parità di qualifica, il margine tra donna del Sud e uomo del Centro-Nord supererebbe il 30 percento. In valori assoluti, a fronte di uno stipendio di un maschio del Centro-Nord di 19.149 euro, una donna del Sud porterebbe a casa solo 13.361 euro al mese.

Dallo studio dello Svimez emerge poi un altro dato preoccupante: studiare serve a poco. Nonostante sul totale della popolazione le ragazze del Sud diplomate siano passate dall’85,1 percento del 2000 al 94 percento del 2009 (circa un punto percentuale in più rispetto al Centro-Nord), e le laureate siano il 18,9 percento sul totale della popolazione tra 30 i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 percento), pur se distante dalla performance del Centro-Nord (27,1 percento), studiare non basta: tra le dipendenti sono troppo poche le dirigenti (appena il 26 percento rispetto a una quota di occupazione femminile totale del 35 percento; tra le lavoratrici autonome, sono troppo bassi i livelli di libere professioniste e lavoratrici in proprio, di associate in cooperativa, mentre spicca il livello abnorme di lavoratrici co.co.co (il 65 percento del totale è donna, contro il 55,6 nel Centro-Nord)..

Infine, il rapporto sottolinea che il sistema di welfare familiare e informale che ancora in molti casi è dominante nel Mezzogiorno si regge sulla donna, non lavoratrice, costretta ad un ruolo casalingo secondo un modello sociale tradizionale: allevare i bambini e accudire gli anziani.

Nel 2009, la percentuale di bambini da 0 a 3 anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia (essenzialmente asili nido) è stata pari al 5 percento al Sud, contro il 17,9 percento del Centro-Nord.

Nel 2008, in base a elaborazioni Svimez, la spesa comunale per interventi e servizi sociali è stata al Nord Est di 155 euro pro capite, al Sud di 52 euro, tre volte di meno. Spicca su tutti il caso dell’assistenza ai disabili, che vede il Nord Est con oltre 5 mila euro a testa a fronte dei 657 del Sud.

Se vogliono trovare maggiori possibilità di impiego, le donne sono costrette ad emigrare. Nel 2010, 55.500 donne hanno lasciato il Sud trasferendo la residenza al Centro-Nord, pari al 48 percento del totale emigrante.

A cura di: Luca Galassi
Fonte: eilmensile.it
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Nel Meridione italiano oltre mezzo milione di donne sfugge alle statistiche della disoccupazione ufficiale, così da portare il tasso di disoccupazione corretto nel 2010 al 30,6 percento. A queste vanno aggiunte 575mila persone disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro. Mentre le poche assunte regolarmente (tra le giovani meno di una su quattro) hanno uno stipendio inferiore di oltre il 30 percento rispetto a un uomo del Centro-Nord.

I dati di una ricerca condotta dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) rivelano in maniera preoccupante come, in due anni, in Italia, dal 2008 al 2010, oltre centomila donne hanno perso il posto di lavoro. Il Mezzogiorno è un caso unico: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 percento, rispetto al 54,8 percento del Centro-Nord. Un divario dal resto d’Europa di quasi trenta punti (la media europea nel 2010 è 58,2 percento).

A fare la differenza tra il tasso di disoccupazione ufficiale del 15,4 percento e quello ‘corretto’ sono le donne che non risultano né tra gli occupati né tra i disoccupati, ma che “informalmente’ si barcamenano tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso. In questo senso, includendo queste categorie, il tasso di disoccupazione corretto femminile al Sud nel 2010 schizzerebbe al 30,6 percento, il doppio di quello ufficiale. In cifre, i valori si triplicano: le 393 mila disoccupate ufficiali, unite alle 560 mila implicite, diventano 953mila.

Discorso a parte, poi, per le ‘scoraggiate’, disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro, in base alla definizione Istat. Delle 893 mila donne italiane che si trovano in questa condizione, per la ricerca Svimez 575 mila sono al Sud.

Su una popolazione di donne di età compresa tra i 15 e i 64 anni al Sud solo meno di una su tre, pari al 30,5 percento, lavora regolarmente. “Situazione ancora più critica se si considerano le donne under 34: qui il tasso di occupazione crolla al 23,3 percento, pari a meno di una su quattro”, si legge nel comunicato dell’istituto di ricerca.

A complicare ulteriormente il quadro, la differenza di stipendio. In base all’analisi Svimez, a parità di qualifica, il margine tra donna del Sud e uomo del Centro-Nord supererebbe il 30 percento. In valori assoluti, a fronte di uno stipendio di un maschio del Centro-Nord di 19.149 euro, una donna del Sud porterebbe a casa solo 13.361 euro al mese.

Dallo studio dello Svimez emerge poi un altro dato preoccupante: studiare serve a poco. Nonostante sul totale della popolazione le ragazze del Sud diplomate siano passate dall’85,1 percento del 2000 al 94 percento del 2009 (circa un punto percentuale in più rispetto al Centro-Nord), e le laureate siano il 18,9 percento sul totale della popolazione tra 30 i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 percento), pur se distante dalla performance del Centro-Nord (27,1 percento), studiare non basta: tra le dipendenti sono troppo poche le dirigenti (appena il 26 percento rispetto a una quota di occupazione femminile totale del 35 percento; tra le lavoratrici autonome, sono troppo bassi i livelli di libere professioniste e lavoratrici in proprio, di associate in cooperativa, mentre spicca il livello abnorme di lavoratrici co.co.co (il 65 percento del totale è donna, contro il 55,6 nel Centro-Nord)..

Infine, il rapporto sottolinea che il sistema di welfare familiare e informale che ancora in molti casi è dominante nel Mezzogiorno si regge sulla donna, non lavoratrice, costretta ad un ruolo casalingo secondo un modello sociale tradizionale: allevare i bambini e accudire gli anziani.

Nel 2009, la percentuale di bambini da 0 a 3 anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia (essenzialmente asili nido) è stata pari al 5 percento al Sud, contro il 17,9 percento del Centro-Nord.

Nel 2008, in base a elaborazioni Svimez, la spesa comunale per interventi e servizi sociali è stata al Nord Est di 155 euro pro capite, al Sud di 52 euro, tre volte di meno. Spicca su tutti il caso dell’assistenza ai disabili, che vede il Nord Est con oltre 5 mila euro a testa a fronte dei 657 del Sud.

Se vogliono trovare maggiori possibilità di impiego, le donne sono costrette ad emigrare. Nel 2010, 55.500 donne hanno lasciato il Sud trasferendo la residenza al Centro-Nord, pari al 48 percento del totale emigrante.

A cura di: Luca Galassi
Fonte: eilmensile.it

2 commenti:

giuseppina pulcrano ha detto...

Quale cittadinanza per le donne?

di Giuseppina Pulcrano

INTERVISTA A CHIARA SARACENO SU “CITTADINI A METÀ”

Chiara Saraceno, già ordinario di sociologia della famiglia presso l’Università di Torino, è autrice di numerosi testi sul cambiamento della famiglia e sulle politiche famigliari, sulle povertà, sulle politiche sociali e sulle problematiche di genere e femminili. Il suo libro più recente, Cittadini a metà: come hanno rubato i diritti agli italiani, invita alla riflessione su temi che possono sembrare scontati ma che costituiscono i pilastri mancanti per una vera democrazia. Perché la parità tra uomo e donna, solo dichiarata e non applicata nel lavoro, nella politica e nell’economia, marca la linea di separazione tra uno stato democratico e uno stato a metà.
http://jekyll.sissa.it/

giuseppina pulcrano ha detto...

Quale cittadinanza per le donne?

di Giuseppina Pulcrano

INTERVISTA A CHIARA SARACENO SU “CITTADINI A METÀ”

Chiara Saraceno, già ordinario di sociologia della famiglia presso l’Università di Torino, è autrice di numerosi testi sul cambiamento della famiglia e sulle politiche famigliari, sulle povertà, sulle politiche sociali e sulle problematiche di genere e femminili. Il suo libro più recente, Cittadini a metà: come hanno rubato i diritti agli italiani, invita alla riflessione su temi che possono sembrare scontati ma che costituiscono i pilastri mancanti per una vera democrazia. Perché la parità tra uomo e donna, solo dichiarata e non applicata nel lavoro, nella politica e nell’economia, marca la linea di separazione tra uno stato democratico e uno stato a metà.
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