mercoledì 29 febbraio 2012

Le opere del Prof. Gennaro Pisco in mostra a Gaeta ( Hotel Serapo) Sabato 10 Marzo 2012 dalle ore 15,30 : " Unità senza Verità. Insorgenze visive".


" BRIGANTI a CAMPO di GIOVE "

Un artista irriverente

Verità storiche forse sgradite, imbarazzanti. Scomode ma ricche di problematiche attuali, soprattutto ora che si celebra il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Le rivela Gennaro Pisco con la parola e con il segno, per la sua capacità di rigoroso e sistematico ricercatore di storia meridionale e di colto artista. La parola scritta va di pari passo con l’immagine, in un rapporto nuziale, affabile. Non è solo la scrittura un inesauribile campo di analisi e di esperienze. Anche il segno si offre come elemento di conoscenza, perché efficace nel delineare descrittivamente, pur con variazioni e sottili incroci di elementi fantastici, i confini di un accadimento, di vicende individuali o collettive. Vicende riguardanti i Borbone che Pisco intende, almeno in parte, “riabilitare”, prendendo le distanze dalla denigratoria propaganda post-risorgimentale e dall’iconografia ufficiale.
Il ricercatore-artista napoletano più che avanzare ipotesi, ama ricostruire fatti realmente accaduti. Diventa irriverente nei confronti della maggior parte della storiografia protocollare, celebrativa, antiborbonica, nel segnalare episodi che si caratterizzano per aspetti umani, eroici, non privi di garbata ironia che sa di giocosa benevolenza.
Il lavoro di “revisione” che lo studioso napoletano conduce da una ventina d’anni tende a ricostruire e a raccontare cose su cui altri hanno taciuto, rivendicando l’autenticità di “pagine” di una storia diversa che, in ogni caso, occorrerebbe giudicare con rispetto. Pagine che si sostanziano, in questa occasione espositiva, soprattutto del segno che, come evidenza strutturale dell’immagine, dà certezza di figurazione, per sostenere una maggiore conoscenza dei fatti. Il segno, che nutre l’acquaforte e acquatinta, ma anche la xilografia, si fa recupero storico, individuando e mantenendo vivo il reale tessuto delle vicende passate, e evidenziando la coscienza di un impegno di ricerca storica, anche corale, che Pisco porta avanti con scrupolosità di attento studioso per un coerente senso di verità.
La lunga consuetudine con il segno, capace di determinare presenze di eccezionale nitidezza, consente all’artista una folgorante corrispondenza tra l’idea e il suo incarnarsi nell’immagine che assume una sua distinta fisionomia nel rappresentare una nuova proposta di civiltà e nell’affermare la cultura della libertà di ricerca che, in questo caso, fa luce su episodi sconosciuti del Risorgimento visti attraverso la “storia dei vinti”.

E al segno, come pratica d’arte mai decaduta a semplice esercizio estetico, viene affidato, per sua natura diretta, il compito di presa immediata sul dato di verità. Una sorta di riconoscimento critico può essere, quindi, attribuito al disegno che è fondamento di tutta l’esperienza estetica ed umana dell’autore. Per formazione e per vocazione. Infatti Gennaro Pisco (Napoli 1945) è docente, da molti anni, di arte della grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte “Adolfo Venturi” di Modena. Fondamentale la lezione di Nicola Gambedotti, dal quale ha appreso presso l’Istituto d’Arte “F. Palazzi” di Napoli la tecnica della xilografia; ma anche l’insegnamento della pittura di Armando De Stefano, docente di pittura all’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano. Il suo debutto sulla scena espositiva nel 1986 avviene come xilografo, con la mostra “L’alchimia come rimorso. La scienza tradita” presso il Centro Studi Muratori di Modena. Seguono partecipazioni ad altre rassegne al Castello dei Pio di Carpi che privilegiano la xilografia.
Il disegno, come evidenza immediata di anatomia analitica, sarà sostanza delle 120 caricature che Pisco fa dei suoi colleghi, docenti all’Istituto Venturi, nella mostra “Se la memoria non m’inganna”, nel 2009, presso lo “Spazio Venturi” di Modena. L’attuale esposizione, costituita da incisioni, presso il Centro Museale “Casa Quaranta”, (sec. XIV), al Campo di Giove (L’Aquila) legittima ancora una volta il valore autonomo dell’esperienza disegnativa.
Con la mostra a Campo di Giove l’artista pare interrogare i luoghi, i personaggi ai quali conferisce possibilità narrative in un segno forte nel risultato, nelle luci, nel racconto realista e fantasioso, proprio di un disegnatore puntiglioso, caldo interprete di tematiche imbarazzanti su cui molti hanno preferito e preferiscono tacere. E l’opera punta a restare testimonianza in modo definitivo di un tempo “oscuro” in cui il segno di Pisco riesce ad aprire porte di comunicazione e di illuminazione, per accedere ai segreti più reconditi.
Si delinea un percorso entro varie problematiche storiche che una mostra non può esaurire. Per questo l’artista concepisce il suo lavoro come “work in progress”. Nel senso che alle opere presentate in questa esposizione si aggiungeranno, nel tempo e nelle prossime rassegne, altre incisioni di vigile controllo mentale per una più efficace adesione ad un realtà viva, passata per molti decenni, deliberatamente, sotto silenzio. Anche il linguaggio grafico, come la ricerca “trasgressiva” del cultore di storia, passa attraverso un processo di rottura della sfera convenzionale, rinunciando alla rigidità di rappresentazione e sostenendo un criterio di selezione dell’immagine per un rilevamento dentro una rete ampia di punti di osservazione, di rapporti, di vita pulsante, di nuovi orizzonti. In questo Pisco riconosce la propria vera identità di artista, un’arte come desiderio e speranza di verità.

Michele Fuoco


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" BRIGANTI a CAMPO di GIOVE "

Un artista irriverente

Verità storiche forse sgradite, imbarazzanti. Scomode ma ricche di problematiche attuali, soprattutto ora che si celebra il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Le rivela Gennaro Pisco con la parola e con il segno, per la sua capacità di rigoroso e sistematico ricercatore di storia meridionale e di colto artista. La parola scritta va di pari passo con l’immagine, in un rapporto nuziale, affabile. Non è solo la scrittura un inesauribile campo di analisi e di esperienze. Anche il segno si offre come elemento di conoscenza, perché efficace nel delineare descrittivamente, pur con variazioni e sottili incroci di elementi fantastici, i confini di un accadimento, di vicende individuali o collettive. Vicende riguardanti i Borbone che Pisco intende, almeno in parte, “riabilitare”, prendendo le distanze dalla denigratoria propaganda post-risorgimentale e dall’iconografia ufficiale.
Il ricercatore-artista napoletano più che avanzare ipotesi, ama ricostruire fatti realmente accaduti. Diventa irriverente nei confronti della maggior parte della storiografia protocollare, celebrativa, antiborbonica, nel segnalare episodi che si caratterizzano per aspetti umani, eroici, non privi di garbata ironia che sa di giocosa benevolenza.
Il lavoro di “revisione” che lo studioso napoletano conduce da una ventina d’anni tende a ricostruire e a raccontare cose su cui altri hanno taciuto, rivendicando l’autenticità di “pagine” di una storia diversa che, in ogni caso, occorrerebbe giudicare con rispetto. Pagine che si sostanziano, in questa occasione espositiva, soprattutto del segno che, come evidenza strutturale dell’immagine, dà certezza di figurazione, per sostenere una maggiore conoscenza dei fatti. Il segno, che nutre l’acquaforte e acquatinta, ma anche la xilografia, si fa recupero storico, individuando e mantenendo vivo il reale tessuto delle vicende passate, e evidenziando la coscienza di un impegno di ricerca storica, anche corale, che Pisco porta avanti con scrupolosità di attento studioso per un coerente senso di verità.
La lunga consuetudine con il segno, capace di determinare presenze di eccezionale nitidezza, consente all’artista una folgorante corrispondenza tra l’idea e il suo incarnarsi nell’immagine che assume una sua distinta fisionomia nel rappresentare una nuova proposta di civiltà e nell’affermare la cultura della libertà di ricerca che, in questo caso, fa luce su episodi sconosciuti del Risorgimento visti attraverso la “storia dei vinti”.

E al segno, come pratica d’arte mai decaduta a semplice esercizio estetico, viene affidato, per sua natura diretta, il compito di presa immediata sul dato di verità. Una sorta di riconoscimento critico può essere, quindi, attribuito al disegno che è fondamento di tutta l’esperienza estetica ed umana dell’autore. Per formazione e per vocazione. Infatti Gennaro Pisco (Napoli 1945) è docente, da molti anni, di arte della grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte “Adolfo Venturi” di Modena. Fondamentale la lezione di Nicola Gambedotti, dal quale ha appreso presso l’Istituto d’Arte “F. Palazzi” di Napoli la tecnica della xilografia; ma anche l’insegnamento della pittura di Armando De Stefano, docente di pittura all’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano. Il suo debutto sulla scena espositiva nel 1986 avviene come xilografo, con la mostra “L’alchimia come rimorso. La scienza tradita” presso il Centro Studi Muratori di Modena. Seguono partecipazioni ad altre rassegne al Castello dei Pio di Carpi che privilegiano la xilografia.
Il disegno, come evidenza immediata di anatomia analitica, sarà sostanza delle 120 caricature che Pisco fa dei suoi colleghi, docenti all’Istituto Venturi, nella mostra “Se la memoria non m’inganna”, nel 2009, presso lo “Spazio Venturi” di Modena. L’attuale esposizione, costituita da incisioni, presso il Centro Museale “Casa Quaranta”, (sec. XIV), al Campo di Giove (L’Aquila) legittima ancora una volta il valore autonomo dell’esperienza disegnativa.
Con la mostra a Campo di Giove l’artista pare interrogare i luoghi, i personaggi ai quali conferisce possibilità narrative in un segno forte nel risultato, nelle luci, nel racconto realista e fantasioso, proprio di un disegnatore puntiglioso, caldo interprete di tematiche imbarazzanti su cui molti hanno preferito e preferiscono tacere. E l’opera punta a restare testimonianza in modo definitivo di un tempo “oscuro” in cui il segno di Pisco riesce ad aprire porte di comunicazione e di illuminazione, per accedere ai segreti più reconditi.
Si delinea un percorso entro varie problematiche storiche che una mostra non può esaurire. Per questo l’artista concepisce il suo lavoro come “work in progress”. Nel senso che alle opere presentate in questa esposizione si aggiungeranno, nel tempo e nelle prossime rassegne, altre incisioni di vigile controllo mentale per una più efficace adesione ad un realtà viva, passata per molti decenni, deliberatamente, sotto silenzio. Anche il linguaggio grafico, come la ricerca “trasgressiva” del cultore di storia, passa attraverso un processo di rottura della sfera convenzionale, rinunciando alla rigidità di rappresentazione e sostenendo un criterio di selezione dell’immagine per un rilevamento dentro una rete ampia di punti di osservazione, di rapporti, di vita pulsante, di nuovi orizzonti. In questo Pisco riconosce la propria vera identità di artista, un’arte come desiderio e speranza di verità.

Michele Fuoco


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